Sabato 11 settembre 1999
ore 21
- Auditorium Giovanni Agnelli Lingotto

Bayerisches Staatsorchester
Soile Isokoski - soprano
Zubin Mehta - direttore

La Bayerisches Staatsorchester è l'Orchestra dell'Opera di Stato Bavarese. Nata nel 1523 come "Cantoria" di corte a Monaco, oggi l'attività principale della Bayerisches Staatsorchester, oltre a quella concertistica, è quella di orchestra dell'Opera di Stato, secondo una tradizione che risale al 1653, quando quest'ultima venne fondata.
Nel XVIII secolo la funzione principale dell'Orchestra era accompagnare le regolari rappresentazioni a corte di opere, ma nel 1811 i musicisti fondarono la loro Accademia Musicale, che inaugurò la consuetudine di tenere concerti viva ancora oggi. Mozart scrisse Idomeneo espressamente per la Bayerisches Staatsorchester, e questa è solo una delle molte opere ancora centrali nel repertorio dell'Orchestra cui è stata data prima esecuzione da parte di questa formazione. Sotto Luigi II di Baviera, Richard Wagner venne associato all'orchestra e l'allora Direttore musicale Hans von Bulow diresse le prime esecuzioni di Tristano e Isotta (1865) e Die Meistersinger (1868). Nomi illustri si sono alternati alla direzione dell'orchestra; tra loro si possono citare Hermann Levi, Richard Strauss, Bruno Walter, Clemens Krauss, Georg Solti, Rudolph Kempe, Joseph Keilberth e Wolfgang Sawallisch. Nel 1998 Zubin Mehta è diventato Direttore musicale Generale dell'Opera della Bayerisches Staatsorchester, con l'eredità dei suoi 450 anni di storia. La tournée di concerti dell'Orchestra di Stato Bavarese è sotto il patronato del Ministro di Stato Bavarese per scienze, ricerca e arte, Hans Zehetmair.

Soile Isokoski è nata in Finlandia. Si è diplomata all'Accademia Sibelius e nel 1986 ha fatto qui il suo concerto di debutto. Nel 1987, ha vinto il secondo premio nella competizione BBC Singer of The World a Cardiff, e in seguito ha vinto il primo premio ai concorsi internazionali di canto Elly Ameling e Tokyo International. Ha debuttato nell'opera nel ruolo di Mimì nella Bohème alla Finnish International Opera di Helsinki; da allora ha cantato in molti dei più importanti teatri d'opera del mondo, come La Scala, i teatri di Amburgo, Berlino, Monaco e Vienna, l'Opéra Bastille di Parigi e il Covent Garden. Il suo impegno operistico è affiancato da una intensa attività concertistica, supportata da un esteso repertorio che l'ha portata a esibirsi in tutta Europa, oltre che a Tokyo, San Pietroburgo e Mosca, accompagnata dalla sua partner pianistica stabile, Marita Viitasalo. Nel 1997 ha registrato con Claudio Abbado il Don Giovanni, nella parte di Donna Elvira.

Zubin Mehta è cresciuto in una famiglia di musicisti a Bombay, dove è nato nel 1936. Ha frequentato l'Accademia di Vienna dove ha studiato direzione d'orchestra con Hans Swarowsky. Ha vinto la Competizione Internazionale per Direttori d'Orchestra di Liverpool e ha ricevuto il primo premio al concorso Koussevitzky a Tanglewood. Intorno ai venticinque anni aveva già diretto le filarmoniche di Vienna e Berlino, instaurando stretti e duraturi legami con entrambe le orchestre. Zubin Mehta è stato Direttore musicale dell'Orchestra Sinfonica di Montreal dal 1961, divenendo Direttore musicale della Los Angeles Philharmonic nel 1962, incarico che ha mantenuto fino al 1978. Oltre a essere nominato nel 1981 Direttore musicale a vita dell'Orchestra Filarmonica di Israele, Zubin Mehta è stato per 13 anni Direttore musicale della New York Philharmonic, segnando la collaborazione più lunga nella storia dell'orchestra; nel 1985, è stato nominato Direttore stabile del Maggio Musicale Fiorentino. Dopo il suo debutto come direttore operistico nel 1964, con Tosca, a Montreal, ha diretto al Metropolitan di New York, alla Staatsopera di Vienna, alla Royal Opera House, al Covent Garden, alla Scala di Milano e al Festival di Salisburgo. Dal 1998, Zubin Mehta è Direttore musicale della Bayerisches Staatsopera e della Bayerisches Staatsorchester.

Bayerisches Staatsorchester

Orchestra chairman
Aldo Volpini
Maestro concertatore
Markus Wolf

VIOLINI PRIMI
Eva-Maria Nagora
Barbara Burgdorf
Wolfgang Leopolder
Arben Spahtu
Erich Pizca
Joachim Boruvka
Kai Bernhöft
Maria Moscher
Jan Gruszecki
Aldo Volpini
Rainer Sadlik
Dorothea Keller
Felix Gargerle
Markeljan Kocibelli
Richard Brunner

VIOLINI SECONDI
Adrian Lazar
Katharina Lindenbaum-Schwarz
Jürgen Frehde
Jiri Kveton
Walter Probst
Ulrich Grussendorf
Daniela Huber
Eckhart Hermann
Martin Klepper
Katrin Fechter
Markus Kern
Rudolph Schmidt
Florian Simons
Annabelle Segawa

VIOLE
Roland Metzger
Stephan Finkentey
Wolfgang Reschke
Roland Krüger
Esa Kamu
Florian Ruf
Andreas Grote
Christiane Arnold
Tilo Widenmeyer
Ruth Elena Schindel
Taia Lysy
Luitgard Rheinwald

VIOLONCELLI
Franz Amann
Yves Savary
Wolfram Reuthe
Friedrich Kleinknecht
Wolfgang Bergius
Oliver Göske
Udo Hendrichs
Rupert Buchner
Roswitha Timm
Eva Volpini

CONTRABBASSI
Michael Rieber
Alexander Rilling
Alfred Nickel
Peter Schell
Wolfram Schmid
Peter Müller
Uwe Thielmann
Reinhard Schmid

ARPE
Christine Gruber
Silvia Fuchs

FLAUTI
Olivier Tardy
Andrea Ikker
Piet De Boer
Katharina Kutnewsky

OBOI
Simon Dent
Paul van Der Merve
Gottfried Sirotek
Bernhard Emmerling
Elke Steinbrecher

CLARINETTI
Hans Schöneberger
Stefan Schneider
Jürgen Key
Jens Bischof

FAGOTTI
Karsten Nagel
Klaus Botzky
Katrin Hoffmann
Dieter Kallensee

CORNI
Hans Pizka
Siegfried Machata
Johannes Dengler
Jan Schröder
Karl-Heinz Fedder
Rainer Schmitz
Wolfram Sirotek
Manfred Neukirchner
Rolf Jürgen Eisermann
Maximilian Hochwimmer

TROMBE
Uwe Komischke
Lutz Randow
Ralph Scholtes
Friedemann Schuck
Andreas Kittlaus

TROMBONI
Ulrich Pförtsch
Andrea Conti
Thomas Klotz
Uwe Füssel
Richard Heunisch
Friedrich Winter

TUBE
Robert Tucci
Alexander von Puttkamer

TIMPANI
Gerd Quellmelz

PERCUSSIONI
Hermann Holler
Ralph Harrer
Dieter Pöll
Thomas März
Kurt Josef Kraus

CELESTA E ORGANO
Gregor Raquet

STAGE MANAGERS
Klaus Einfeld
Christoph Forster
Frank Ehrler
Vitantonio Leone

IL PROGRAMMA

Richard Strauss
(1864-1949)
Don Juan
poema sinfonico op. 20

Vier letze Lieder
Frühling
Sptember
Beim Schlafengehen
Im Abendrot

Eine Alpensinfonie op. 64
Nacht
(Notte)
Sonnenaufgang
(Il sorgere del sole)
Der Anstieg
(La salita)
Eintritt in den Wald
(L'entrata nel bosco)
Wanderung neben dem Bache
(Camminando lungo il ruscello)
Am Wasserfall
(Presso la cascata)
Erscheinung
(Apparizione)
Auf blumige Wiesen
(Sui prati in fiore)
Auf der Alm
(Agli alpeggi)
Durch Dickicht und Gerstrüpp auf Irrwegen
(Attraverso il boschetto e i cespugli sulla strada sbagliata)
Auf dem Gletscher
(Sul ghiacciaio)
Gefahrvolle Augenblicke
(Momenti di pericolo)
Auf dem Gipfel
(In cima)
Vision
(Visione)
Nebel steigen auf
(Bruma)
Die Sonne verdüstert sich allmählich
(Il sole progressivamente si oscura)
Elegie
(Elegia)
Stille vor dem Sturm
(La calma prima della della tempesta)
Gewitter und Sturm, Abstieg
(Tuoni, tempesta, discesa)
Sonnen untergang
(Il calar del sole)
Ausklang
(Finire del giorno...)
Nacht
(Notte)

Richard Strauss
(1864-1949)
Don Juan
, poema sinfonico op. 20
Nato dalla penna di un compositore ventiquattrenne, il Don Juan apre la stagione del poema sinfonico straussiano, segna un incredibile balzo in avanti rispetto ai primi lavori per orchestra, paragonabile alla baldanza dello slancio sonoro che ne contraddistingue l'attacco, così come l'individuazione di una inconfondibile cifra personale. È anche il lavoro da cui il pubblico di Weimar (e poco dopo quello di Berlino) si lascia conquistare: siamo alla fine dell'89 e, anche per la fortunosa coincidenza cronologica con la Prima Sinfonia di Mahler, il Don Juan sembra suggerire l'inizio di una nuova epoca, o la fine di un secolo, l'apertura a un rinnovamento musicale che pare esprimersi nell'energia inventiva di questo Don Giovanni sinfonico, in quel bergsoniano "spirito vitale" che tutto lo percorre.
Il "nuovo", tuttavia, passa ancora attraverso il "vecchio" genere del poema sinfonico che Liszt aveva battezzato quasi trent'anni prima; e come ogni buon poema sinfonico che si rispetti, anche questo di Strauss riporta il proprio programma letterario, citando tre frammenti tratti a loro volta da quel grande torso frammentario che è il Don Juan di Lenau, l'ultima opera del poeta, rimasta incompiuta e pubblicata postuma nel 1851. Ma tra Liszt e Strauss il dibattito sulla musica a programma si è fatto sentire, Wagner e gli scritti di Schopenhauer hanno dato il loro contributo, cosicché le idee di Strauss si attestano sulle posizioni estetiche più aggiornate. Il termine "musica a programma" gli suona così come una bestemmia, mentre non perde occasione per dichiarare la funzione accessoria dello spunto letterario, che potrà dare l'impulso alla concezione di un lavoro, ma non condizionarne la sostanza musicale e men che mai la logica interna.
Questa logica si coglie in una magistrale calibratura dei tempi, nel taglio sintetico che sovrintende lo svolgersi degli episodi, in quel quarto d'ora di musica costruita su un materiale tematico che un altro compositore avrebbe parsimoniosamente distribuito in più lavori. Il modello sonatistico può tutt'al più servire da schema di riferimento, con una parte espositiva giocata sul contrasto tra il piglio volitivo delle figure iniziali e l'episodio "amoroso", ampiamente sviluppato nei suoi tratti cantabili a partire dal disegno discendente del violino solo. Lo sviluppo contempla un profluvio di nuove idee, distinte in due episodi autonomi. Il primo è quasi un movimento lento in miniatura incastonato nel lavoro; è inaugurato dal colore autunnale di una lunga melodia all'oboe, si prolunga nei rimbalzi ad eco di altri legni concludendosi infine con un gesto risolutorio, un improvviso crescendo agli archi che si attestano su un pedale acuto mentre quattro corni all'unisono fanno udire il tema forse più famoso del Don Juan, vero sigillo, nel salto d'ottava ascendente, di vitalità inarrestabile. Una sorta di "principio del piacere" incarnato in musica.
Segue il secondo episodio, una "scena carnevalesca", poi la ripresa, con rapida e selettiva rassegna tematica al culmine della quale il torrenziale dinamismo del brano subisce un vero collasso: una ventina di battute che, comunque le si voglia leggere, la morte al culmine dell'ebbrezza oppure l'emergere improvviso di un senso di sazietà e disgusto della vita, nascono tutte sotto il segno di Lenau. Lo spunto letterario si riprende i propri diritti e detta questa straordinaria conclusione.

 

Vier letze Lieder, per soprano e orchestra
Chi aveva già trovato parole ultime nelle vertigini polifoniche di Metamorphosen, andrà a cercare analoghi smarrimenti in questi Vier letze Lieder, letteralmente "ultimi", conclusivi dell'intera produzione straussiana. Vi troverà piuttosto il senso di un grande commiato, forse meno distaccato e sereno di quanto le agiografie vogliono indurre a credere, ma comunque lontano da quel vuoto che alla fine del '45, l'anno di Metamorphosen, sembrava voler inghiottire vicende personali e di un'intera epoca.
Poiché Strauss non diede indicazioni sulla disposizione dei quattro brani, l'editore preferì ignorare l'ordine di composizione e seguire una parabola ideale: un percorso che dagli slanci appassionati e ancora tenacemente aggrappati alla vita di Frühling conducesse alle calde sonorità di September, al melodizzare voluttuoso della voce, ai timbri iridescenti che si attardano ad assumere tinte autunnali. E da lì passare attraverso l'avvio misterioso di Beim Schlafengehen, a un "notturno" che invece di sprofondare ascende col canto a mimare i voli dell'anima, fino a concludere con Im Abendrot, il primo in realtà a nascere dalla penna di Strauss e vero punto di orgine dell'intero ciclo. Fu infatti la bellissima poesia di Eichendorff, letta un paio d'anni prima e messa in musica nel maggio del '48, a richiamare intorno, quasi prolungamenti meditativi, gli altri tre Lieder su testi di Hermann Hesse che Strauss scrisse immediatamente dopo, tra giugno e settembre.
In quest'ordine, l'utimo verso di Eichendorff, "Siamo così stanchi del cammino/ è così, forse, che si muore?" chiude su un'interrogativo che nell'attardarsi della sillabazione, nelle pause del canto, nei suoni degli archi avviati al pianissimo, si traduce in indugio. Anche il tema famoso di Tod und Verklärung che Strauss cita proprio in coincidenza di quei versi, appare così timidamente ai corni da perdere ogni trionfale fiducia nella "trasfigurazione". Ne viene un graduale "scivolare nel sonno", come già diceva Hesse, un atto di separazione che guarda ancora alla vita e che l'orchestra si incarica di confortare con tutti i prodigi timbrici di cui è capace: alonando la voce coi suoni degli archi divisi (September), anticipandone il disegno melodico liberato in pura cantabilità (il violino solo in Beim Schlafengehen), circondandola di una sonorità spaziata e quasi attonita in Im Abendrot, selezionando i colori strumentali che più ne sottolineino ogni inflessione (si notino gli ingressi dei corni, o l'uso parsimonioso quanto infallibile della celesta).
In questa prova suprema di "camerismo" sinfonico e soprattutto in questa impensabile rigenerazione del linguaggio tonale, la fitta rete di motivi-timbro che intessono la partitura, il fraseggiare lunghissimo e via via più pacato del canto sembrano voler prolungare all'estremo il commiato, quasi a esorcizzare la voragine del silenzio.

 

Eine Alpensinfonie op. 64
È uno Strauss completamente assorbito dal teatro, quello della Alpensinfonie. La composizione di questa partitura inizia nel 1911, dopo che a Parigi si è tenuto a battesimo Der Rosenkavalier, prosegue a intermittenze sovrapponendosi alla stesura di Ariadne auf Naxos, e si conclude all'inizio del '15 quando il compositore sta già lavorando a Die Frau ohne Schatten (La donna senz'ombra). "Finalmente ho imparato a orchestrare", pare abbia dichiarato alla fine delle fatiche, e sicuramente, al di là della modestia, c'è qualcosa di vero se si pensa all'organico gigantesco con il quale ha voluto misurarsi. A stilarne un catalogo non si finirebbe più; basti quindi ricordare, oltre all'immenso parco fiati, la presenza di arpe, organo e celesta, la varietà delle percussioni e, per finire, un gruppo di quattordici ottoni fuori scena. Per non parlare della macchina del vento e del tuono.
Parrebbe un'ultima e tardiva propaggine dei poemi sinfonici, senonché, come già per la Domestica, ora Strauss preferisce il termine di "Sinfonia"; chissà poi perché, visto che si tratta di una lunga carrellata, in ventidue sezioni corredate di titoli che suggeriscono le diverse tappe di questa escursione montana. Si parte da "Notte" e il "Il sorgere del sole", concepite a mo' di introduzione, si passa all'Allegro di "La salita", si toccano luoghi ameni come boschi e cascate, o il terribile ghiacciaio, si affrontano tempeste e finalmente si ritorna a casa.
Incorporati in questo immenso edificio, si possono riconoscere i caratteri di uno scherzo, il momento dell'idillio ("Agli alpeggi") dove Strauss prende a prestito i campanacci della Sesta mahleriana, o il tempo lento; meglio tuttavia pensare la Alpensinfonie come una libera fantasia sinfonica dove la maestria di Strauss è disponibile a ogni tentazione, mentre l'esperienza di una Natura come forza incommensurabile rispetto all'umano, cede alla celebrazione delle proprie facoltà illustrative.

Laura Cosso

I TESTI

Vier letzte lieder

Frühling (H. Hesse)
In dämmrigen Grüften träumte ich lang
von deinen Baümen und blauen Lüften
von deinem Duft und Vogelsang.
Nun liegst du erschlossen in Gleiß und Zier,
von Licht übergossen wie ein Wunder vor mir.
Du kennst mich wieder, du lockst mich zart.
Es zittert durch all meine Glieder
deine selige Gegenwart.

September (H. Hesse)
Der Garten trauert
kühl sinkt in die Blumen der Regen.
Der Sommer schauert
still seinem Ende entgegen.
Golden tropft Blatt um Blatt
nieder vom hohen Akazienbaum,
Sommer lächelt erstaunt und matt
in den sterbenden Gartentraum.
Lange noch bei den Rosen
bleibt er stehen, sehnt sich nach Ruh.
Langsam tut er die großen
müdgewordenen Augen zu.

Beim Schlafengehen (H. Hesse)
Nun der Tag mich müd gemacht,
soll mein sehnliches Verlangen
freundlich die gestirnte Nacht
wie ein müdes Kind empfangen.
Hände laßt von allem Tun,
Stirn, vergiß du alles Denken,
alle meine Sinne nun
wollen sich in Schlummer senken.
Und die Seele, unbewacht,
will in freien Flügeln schweben,
um im Zauberkreis der Nacht
tief und tausendfach zu leben.

Im Abendrot (J. von Eichendorff)
Wir sind durch Not und Freude
gegangen Hand in Hand,
vom Wandern ruhen wir
nun überm stillen Land.
Rings sich die Täler neigen,
es dunkelt schon die Luft,
zwei Lerchen nur noch steigen
nachtträumend in den Duft.
Tritt her und laß sie schwirren,
bald ist es Schlafenszeit,
daß wir uns nicht verirren
in dieser Einsamkeit.
O weiter, stiller Friede,
so tief im Abendrot.
Wie sind wir wandermüde -
ist dies etwa der Tod?

Quattro ultimi lieder

Primavera
Quante volte ho sognato in stanze senza luce
i tuoi alberi, la tua aria azzurra,
il tuo profumo, il canto degli uccelli.
Ora sei qui, davanti a me, e ti schiudi
splendida, circonfusa di luce, come un prodigio.
Mi riconosci, mi attiri teneramente.
E per tutte le membra mi trema
la tua beata presenza.

Settembre
In lutto è il giardino, fresca
la pioggia cade sui fiori.
Con un brivido l'estate
va silenziosa verso la fine.
Gocce d'oro di foglia in foglia
cadono dall'alta acacia;
sorride l'estate, stupita ed esausta,
nel sogno morente del giardino.
Presso le rose indugia ancora
a lungo, sospirando il riposo.
Poi lentamente chiude
i suoi grandi occhi stanchi.

Andando a dormire
Sono stanco del giorno; ma ora
la gentile notte stellata
accolga i miei palpiti ardenti
come un bambino stanco.
Mani, lasciate i gesti;
fronte, dimentica i pensieri;
ora vogliono i miei sensi
scivolare tutti nel sonno.
E l'anima, senza custode,
volerà su libere ali,
nel cerchio magico della notte
vivrà mille vite arcane.
Al tramonto
Attraverso la gioia e il dolore
siamo andati, mano nella mano
ora riposeremo del cammino
su questa terra silenziosa.
Il pendio della valle si addolcisce
intorno, e l'aria si fa scura
solo due allodole si alzano,
sognando la notte, tra i profumi.
Vieni vicino, e lasciale frullare;
presto sarà tempo di dormire;
altrimenti noi ci perderemmo
in questa distesa solitaria.
O pace vasta e silenziosa,
pace profonda del tramonto.
Siamo così stanchi del cammino -
è così, forse, che si muore?

Traduzione di Andrea Casalegno tratta da Lieder, a cura di Vanna Massarotti Piazza, Vallardi - Garzanti 1982.


 

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