Mercoledì 22 settembre 1999
ore 17 - Piccolo Regio Giacomo Puccini

Ensemble Europeo Antidogma Musica
Yoichi Sugijama - direttore


Ensemble Europeo Antidogma Musica
Michele Mo
, flauto
Elena Miglietta, oboe
Rocco Parisi, clarinetto
Alberto Brondello, fagotto
Claudio Gazzola, corno
Thierry Miroglio, percussione
Marinella Tarenghi, pianoforte
Leonardo Boero, violino
Gisella Tamagno, violino
Alma Mandolesi, viola
Massimo Barrera, violoncello
Massimo Bindi, contrabbasso

Mario Brusa, voce recitante

Yoichi Sugijama,direttore

Il Festival e l'Ensemble Antidogma Musica rappresentano un importante punto di riferimento nell'ambito della cultura musicale in Italia e all'estero. Costituitosi nel 1977 ad opera di giovani concertisti, compositori e uomini di cultura, Antidogma è ormai riconosciuto come uno dei pochi organismi capaci di produrre ed esportare in tutto il mondo brani solistici e composizioni per ensemble di autori noti o non ancora affermati, dando vita a un continuo confronto con i più prestigiosi gruppi dediti all'esecuzione di musica contemporanea. L'Ensemble, a geometria variabile, si presenta in diverse formazioni, dal solista alla piccola orchestra da camera, con un repertorio che spazia dall'antico al contemporaneo in un appassionante e problematico confronto fra la tradizione e la musica d'oggi: un continuo interscambio di artisti ed esperienze anche attraverso composizioni appositamente commissionate a musicisti italiani e stranieri. Antidogma ha effettuato numerose tournée in Europa e negli altri quattro continenti partecipando a importanti rassegne internazionali ed esibendosi fra l'altro a Buenos Aires (Teatro Colon), Rio de Janeiro, Lisbona, Zagabria, Amsterdam (Gaudeamus), Amburgo (Musikhalle), Sofia, Pesaro (Rossini Opera Festival), Roma, Pittsburg, Parigi (Centre Pompidou), Melbourne, Lipsia (Gewandhaus), Salisburgo e al Festival Donatoni di Città del Messico. L'Ensemble ha realizzato vari progetti multimediali e registrazioni per radio e televisioni di tutto il mondo, pubblicando 4 lp e un cd. Nel 1997 ha realizzato il grande evento "Il Re di pietra" al Pian del Re, sotto il Monviso.

Mario Brusa, nato a Torino nel 1946, ha iniziato la sua carriera di attore radiofonico e teatrale ben prima di diplomarsi, nel 1966, presso l'Accademia d'Arte drammatica "Silvio D'Amico" di Roma, lavorando con le compagnie del "Teatro delle dieci" e di Macario e con il Teatro Stabile di Torino. Per le reti radiofoniche della RAI ha lavorato all'Aria che tira, alle commedie Vita di Bohème, e Prima che il gallo canti e presentato quiz come Mister radio e Alta definizione. In televisione ha partecipato a varietà e riviste oltre che alla goldoniana Bottega del caffè e alla Casta fanciulla di Cheepside. Fondatore e capocomico della Compagnia Comica Piemontese e direttore della scuola di recitazione Sergio Tofano, dal1976 è direttore artistico doppiaggio Videodelta.

Nato a Tokyo nel 1969, Yoichi Sugijama ha studiato composizione con Franco Donatoni, Sandro Gorli, Akira Miyoshi e direzione d'orchestra ancora con Gorli, Emilio Pomarico, Morihiro Okabe, svolgendo un'intensa attività concertistica in entrambi i ruoli. Ha poi frequentato i corsi estivi dell'Accademia Chigiana di Siena nella classe di Franco Donatoni e seguito masterclass tenute da Luis de Pablo e Adriano Guarnieri. Dal 1992 è attivamente coinvolto nell'organizzazione del festival musicale Theater Winter di Tokyo. Nel corso della manifestazione sono stati eseguiti - e trasmessi dalla stazione radio NHK-FM - lavori suoi e di altri compositori. Dallo stesso anno dirige l'ensemble Mis en Loge, con il quale ha presentato in prima esecuzione un considerevole numero di nuove composizioni. Nel 1994 Sugijama ha vinto in Italia il premio SIAE e nel 1998 è stato assistente al corso di composizione di Franco Donatoni.

IL PROGRAMMA

Luca Belcastro
…adentro de un violento diamante
per flauto, clarinetto, percussione, pianoforte, violino,
violoncello
(Brano vincitore del 17° Concorso Internazionale di
Composizione ICONS 1999)

Gilberto Bosco
Lettura
preludio, melologo, coda
per recitante, oboe, clarinetto, fagotto, corno e pianoforte

Enrico Correggia
Requiem per una nuvola rossa
per violino, violoncello, viola, pianoforte

Ivan Fedele
Il giardino di giada II
flauto, violino, viola, violoncello

Alessandro Solbiati
Mi lirica sombra
per clarinetto basso e ensemble

 

Fabio Vacchi
Dai calanchi di Sabbiuno
flauto, clarinetto basso, violino, violoncello, campana

Wanderer - Oktett
clarinetto, fagotto, corno, quintetto d'archi

 

 

Luca Belcastro (1964)
... adentro de un violento diamante

Suggestioni evocate da Oda a una mañana del Brasil di Pablo Neruda: tema della poesia è il verde trasparente adamantino della foresta amazzonica, il puro mondo naturale nella magia della sua vita atmosferica, vegetale e animale.
Nonostante la rigida struttura formale, si ricerca, anche con assenza di una pulsazione ritmica regolare, un andamento "naturale", fatto di slanci e ricadute, di riprese variate e di figure ripetute ma non meccaniche. In questa che è una contemplazione della Natura, i vari elementi proposti seguono un proprio percorso indipendente, si intrecciano con gli altri, compaiono e svaniscono, nascono e muoiono. Ognuno di essi ha una precisa caratterizzazione armonica, timbrica e figurale che permette di poterlo seguire nel suo svolgersi anche se contrapposto o sovrapposto ad altri. Il rimando a "immagini" e la ricerca formale e timbrica sono un tentativo di proporre vari livelli di ascolto, di comunicare anche con chi si accosta armato di sola curiosità.
[nota dell'autore]

 

Gilberto Bosco (1946)
Lettura (1992, nuova versione 1998)

A lungo mi ha intrigato l'idea del melologo; per lungo tempo ho amato una serie di testi di Saba, ritenendoli comunque impossibili alla mia musica. Qualche anno fa, provocato da una commissione assai precisa, scrissi una prima versione di questo lavoro, (che ascolterete oggi), su cui ho basato una riscrittura, notevolmente mutata, del 1998. In entrambe le versioni i nodi fondamentali sono il confronto tra i vari ritmi e tempi in cui scorre l'opera (il pulsare della musica, quello dei versi, la pulsazione profonda di chi scrive e ascolta), il senso di imbambolato disagio in cui desideravo rinserrare il testo, una sorta di calma inquietudine - comune a molti miei lavori - che mi pareva qui condivisibile con le parole del poeta. La musica precede, contorna e fa eco al testo poetico, fondamento imprescindibile all'invenzione musicale.
[nota dell'autore]

Malinconia amorosa
(da Trieste e una donna di Umberto Saba)
Malinconia amorosa
del nostro cuore,
come una cura secreta o un fervore
solitario, più sempre intima e cara;
per te un dolce pensiero ad un'amara
rimembranza si sposa;
discaccia il tedio che dentro ristagna,
e poi tutta la vita t'accompagna.
Malinconia amorosa
nel giovane che siede
dietro un banco, che vede
chine sulle sue stoffe le più belle
donne della città; tormento oscuro
nel sognatore,
che, accendendosi già le prime stelle,
qualche lume per via,
sale pensoso di chi sa che amore
e che strazio la lunga erta sassosa
della collina,
dove le case con la chiesa in cima
paion balocchi; la città operosa
sfuma nell'orizzonte ancora acceso;
ed il suo orgoglio ingigantisce, leso
dalla vita, vicino alla follia.
Malinconia amorosa
della mia vita,
prima del cuore ed ultima ferita;
chi a cogliere i tuoi frutti
ama l'ombre calanti, i luoghi oscuri,
lento cammina, va rasente i muri,
non vede quello che vedono tutti,
e quello che nessuno vede, adora.

 

Enrico Correggia (1933)
Requiem per una nuvola rossa

Requiem per una nuvola rossa è stato scritto per il Festival di Musica Contemporanea organizzato dall'Istituto Italiano di Madrid e ha visto la prima esecuzione assoluta nell'Auditorium di quella città il 4 giugno scorso.
Il brano è dedicato all'architetto torinese Leonardo Mosso e alla sua opera. Mosso aveva creato una immensa nuvola rossa con piccole bacchette di legno. Tale nuvola era stata fissata al soffitto di un salone di Palazzo Carignano a Torino dove creava un'affascinate connubio tra passato e presente, lasciando intravedere tra le sue maglie gli affreschi e i fregi barocchi. La nuvola, in seguito, vuoi per distrazione, per negligenza o addirittura per pura follia, venne distrutta in occasione del restauro del salone.
Il brano musicale non vuole essere una marcia funebre, ma solamente il malinconico ricordo di una utopia andata perduta.
[nota dell'autore]

Ivan Fedele (1953)
Il giardino di giada II

Il giardino di giada, scritto originariamente per l'oboista Pietro Borgonovo, viene minuziosamente rimaneggiato nel 1991 dall'autore che ne trae una seconda versione per flauto in sol e trio d'archi. Il titolo si riferisce alla cinta muraria proibita del palazzo imperiale di Pechino, luogo ricco di magia e di mistero, riservato esclusivamente all'imperatore. Alcuni giardini della Città Proibita erano concepiti con lo scopo di esaltare i poteri della giada, pietra preziosa simboleggiante la purezza e il potere imperiale.
Frutto di studi molto elaborati, la concezione dei giardini tendeva a sottolineare i significati simbolici delle diverse geometrie e dei diversi colori che apparivano con le stagioni e le fioriture. Se in un primo momento gli intrecci di foglie e l'esplosione di fiori risvegliavano mille echi nell'anima stupefatta del visitatore, totalmente assorbito nella contemplazione, a poco a poco era il visitatore stesso che, attraverso la sua immaginazione, era destinato a generare la visione offerta e a ordinare questo universo.
Fedele confida nel caldo timbro dell'oboe (o del flauto in sol) la cura nel tradurre le emozioni di questo ospite immaginario, a un tempo spettatore e creatore, mentre le vibrazioni sottili degli archi hanno come scopo quello di riflettere le delicate geometrie della vegetazione.
[da Fedele, "Les cahiers de l'Ircam"]

 

Alessandro Solbiati (1956)
Mi lirica sombra

Scritto nel 1993 ed eseguito per la prima volta alla Fondazione Gulbenkian di Lisbona da Harry Sparnaay con l'Ensemble 2E2M diretto da Paul Mefanò, Mi lirica sombra fa parte di un ciclo di lavori per ensemble scritti fra il 1992 (Canto per Ania per violoncello e 14 strumenti) e il 1994 (By my window per pianoforte e 9 strumenti).
I due versi di Garcia Lorca che hanno dato il titolo ("Come una pantera, la sua ombra spia la mia ombra lirica") sono piuttosto indicativi: il suono tagliente e ricchissimo del clarinetto basso penetra come una lama nel mio mondo espressivo, cui cerco di dar forma in modo sempre più netto e incisivo, mediante una sorta di "tematizzazione" dei gesti e delle figure. L'immensa estensione dello strumento genera la stessa idea base del pezzo: due situazioni, la prima scura, metrica e a volte aggressiva, la seconda acuta, cristallina e ingenua, alternano i loro sviluppi fino a esplodere in un strano lirismo interrotto alla fine da una violenta situazione fatta di colpi fortissimi di grancassa e del clarinetto che oscilla tra le sue regioni estreme.
[nota dell'autore]

 

Fabio Vacchi (1949)
Dai calanchi di Sabbiuno
Wanderer Oktett

Una semplice, lineare forma ternaria ABA', con una parte centrale appena più mossa contrappuntisticamente di quelle estreme, una linea appena accennata di canto che in forma continuamente variata nel timbro e nei registri attraversa tutta la partitura, un'armonia fissa articolata su cinque suoni cardine (anch'essi reiterati in forma propria e in forma trasposta), infine, l'incedere lento di un semplice ritmo binario, scandito dai rintocchi regolari e incessanti di una campana: entro questi parametri linguistici, solo apparentemente semplici e tenuti sul filo di una magistrale tensione emotiva, si tende l'arco formale di Dai calanchi di Sabbiuno, una commossa, angosciante trenodia o, se si preferisce, una sorta di marcia funebre laicamente partecipe.
La ragione di questo desolato clima espressivo consiste nella natura commemorativa del brano, che intende evocare un tragico fatto di sangue che avvenne poco prima della fine della seconda guerra mondiale a Sabbiuno, borgo nei pressi di Bologna, luogo d'origine dell'autore, dove un centinaio di partigiani furono barbaramente trucidati dai fascisti, che successivamente ne gettarono i corpi nei locali "calanchi" (il termine indica dei solchi d'erosione stretti e profondi che si formano tra terreni argillosi privi di vegetazione, come quelli di Sabbiuno appunto).
L'occasione che spinse il bolognese Fabio Vacchi a far memoria di questo tragico fatto, che non compare nei libri di storia perché è solo uno dei tanti consimili che avvennero in Italia (e particolarmente in Emilia-Romagna) tra il 1944 e il 1945, fu la commissione da parte del Teatro alla Scala e del festival milanese Musica Presente di un breve brano da camera da eseguirsi nell'ambito della manifestazione "Musica per la Resistenza 1995", un concerto commemorativo della Resistenza organizzato nel cinquantenario della Liberazione.
Oltre a Fabio Vacchi scrissero appositamente un brano per quell'occasione altri 27 compositori italiani, più o meno giovani, quasi a testimoniare la compattezza delle varie generazioni dei musicisti italiani d'oggi, se non sul fronte artistico, quantomeno su quello dell'affermazione di uno dei principali valori storici - la Resistenza, appunto - della cultura italiana di questo secolo.
In quel contesto, ad ogni modo, Dai calanchi di Sabbiuno si distinse particolarmente perché Vacchi, a dispetto dell'equivoca ed ideologica equazione affermata in passato da numerosi artisti e musicologi secondo cui forme d'arte civilmente impegnate dovessero necessariamente essere connesse a forme linguistiche di radicale rottura con il passato, vi afferma un rapporto autentico, libero e personale proprio con la grande tradizione della storia musicale. In altre parole, nei Calanchi di Sabbiuno l'atto del far memoria di un fatto storico non è scisso da una forma musicale a sua volta memore di una consolidata tradizione artistica che, come si diceva, è quella del lamento funebre. Ovviamente ciò non significa che il brano si presenti con un linguaggio mutuato da precisi modelli di riferimento, né tanto meno con un tipo di linguaggio sincretico, seppure oggi sia tanto in voga in tutta Europa, poiché gli stilemi presenti in esso (i campi armonici, i raffinati impasti timbrici, la particolare cantabilità) sono i medesimi che l'autore è andato maturando nel proprio percorso poetico ed espressivo, assolutamente autonomo e personale, non riconducibile a nessuna delle "maniere" dell'oggi.
Nella presente occasione l'opera viene eseguita nella sua versione originale, in una veste cameristica comprendente cinque strumenti (flauto, clarinetto basso, campana tubolare, violino e violoncello). Il grande successo del brano ha tuttavia recentemente indotto l'autore a redigerne due ulteriori versioni, per grande e per piccola orchestra, che sono state rispettivamente eseguite per la prima volta a Salisburgo da Iván Fischer a capo della Gustav Mahler Jugendorchester nel 1997 e a Milano da Claire Gibault a capo dell'Orchestra dei Pomeriggi Musicali.
Trascrivendo il brano in altra veste timbrica, il compositore non ne ha tuttavia modificato alcun parametro formale. L'ampliamento sonoro non ha intaccato la quadratura formale di quest'opera che, con una sezione centrale B dal profilo metrico corrispondente a 3/4 della sezione iniziale A, a sua volta di durata doppia rispetto alla ripresa A', possiede un senso quanto mai "classico" della proporzione (notevole anche il fatto che la cosiddetta "sezione aurea" del brano coincida bartókianamente con la cesura tra la fine della parte centrale e l'inizio della ripresa). Le nuove versioni mettono semmai in maggiore evidenza le formanti tematiche, ispessiscono i contrappunti della parte centrale e conferiscono maggiore densità e pregnanza al campo armonico di base. Soprattutto, intensificano mediante un accorto uso dei registri quel movimento dei canti dal grave verso l'acuto ch'è carattere costitutivo del brano, oltre che metafora neanche troppo celata del canto che sale dalle viscere della terra emiliana, dai calanchi di Sabbiuno, dove quei cento partigiani invocano soltanto di non essere dimenticati.

Anche il Wanderer-Oktett, opera composta nel 1997 su commissione dell'European Soloist Chamber Ensemble ed eseguita per la prima volta a Compiègne il 16 giugno di quell'anno da parte del committente, è strutturato in una lineare forma ternaria. Anche qui, cioè, una sezione centrale (caratterizzata da ampie volute ornamentali del primo violino) si contrappone alle due sezioni estreme, nelle quali trova spazio l'esposizione dei materiali compositivi. Diversamente che nei Calanchi, tuttavia, la ripresa non funge da riesposizione sintetica e "mnemonica" del dato iniziale quanto piuttosto da vero e proprio sviluppo di esso ed è dunque destinata ad intensificare, anziché a dissolvere, la sostanza emotiva del lavoro. D'altra parte la strategia compositiva del Wanderer Oktett, come del resto degli ultimi lavori di Vacchi e dell'opera Les oiseaux de passage in particolare, è molto articolata e flessibile e permette di esplorare una molteplicità potenzialmente inesauribile di "conseguenze sonore" del materiale dato, salvaguardandone l'unità di stile e, per così dire, d'espressione. Più precisamente: oltre al proprio consolidato magistero timbrico, che gli permette di variare incessantemente le sonorità, il musicista bolognese utilizza qui infatti un sistema reticolare di motivi (tra i quali domina la cifra intervallare volutamente ambigua e sospesa della quinta giusta) e di campi armonici da essi derivati che, mediante i consueti processi di ampliamento intervallare, di trasposizione armonica e di sovrapposizione contrappuntistica, schiudono possibilità compositive praticamente illimitate e che, nella fattispecie, trovano la massima concentrazione proprio nella sezione conclusiva.
Certo, è un sistema assai rigoroso, entro il quale tuttavia il compositore può muoversi con estrema libertà, perché la condotta che disegna il fluire dell'opera è infine determinata da una serie di scelte, tra le tante possibili, dettate da null'altro che dal gusto, ossia da quella sensibilità e da quella raffinatezza (se il compositore fosse un giovane esordiente, si direbbe "da quella talentuosa musicalità"), che a Vacchi attribuiscono anche i detrattori. D'altra parte, come già si accennava, il rigore del sistema garantisce quell'unità di stile e d'espressione che rende del tutto legittimo l'attributo schubertiano del titolo, un attributo che va ben al di là della circostanza dell'avere il committente richiesto un brano da eseguirsi insieme con il congenere Ottetto del viennese: non vi sono citazioni tematiche dirette, nel Wanderer-Oktett, né altri dettagli spiccatamente schubertiani, ma quest'opera di Vacchi condivide, proprio in forza della sua unità, l'aspetto forse più significativo dell'autore della "Wanderer", ossia lo sguardo lirico, anziché dialettico o drammatico, sulle cose.
Il Wanderer-Oktett è dedicato ad Hans Werner Henze.

Enrico Girardi



 

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