Martedì 14 settembre 1999
ore 21
- Auditorium Giovanni Agnelli Lingotto

Orchestra da camera di Mantova
Uto Ughi - direttore e violino

Sin dal debutto avvenuto nel 1981 nella splendida cornice del Teatro Bibiena, un gioiello di architettura e luogo ideale per la musica cameristica, l'Orchestra da Camera di Mantova si è subito imposta all'attenzione generale per quelle che sono ancora oggi le sue qualificanti caratteristiche: brillantezza tecnica, assidua ricerca della qualità sonora, particolare sensibilità ai problemi stilistici. Dalla data della sua fondazione l'Orchestra ha collaborato con direttori e solisti di fama internazionale (fra gli altri, Salvatore Accardo, Giuliano Carmignola, Bruno Canino, Uto Ughi, Michele Campanella, Maria Tipo, Alexander Lonquich, Astor Piazzola, Severino Gazzelloni, Mischa Maisky, Shlomo Mintz) svolgendo un'attività che l'ha vista protagonista di innumerevoli concerti in Italia e all'estero. Negli ultimi anni si è esibita in teatri e sale da concerto di molti paesi europei, asiatici, negli Stati Uniti, in Messico e in Sud America. Nel 1996 ha effettuato una tournée in Nord Europa con il violinista Uto Ughi su invito della Farnesina, per rappresentare l'Italia nelle manifestazioni culturali che si sono svolte in occasione del semestre di presidenza italiana al Consiglio d'Europa. L'Orchestra ha effettuato registrazioni televisive e radiofoniche per la RAI, la Bayerischer Rundfunk e la RSTI Svizzera ed è una delle poche orchestre italiane a presentarsi talvolta senza direttore; in questi casi Carlo Fabiano svolge il ruolo di primo violino e maestro concertatore. Negli ultimi anni si è impegnata nel rilancio delle attività musicali nella propria città realizzando la stagione concertistica "Tempo d'Orchestra", in cui sono state ospitate altre orchestre con l'intento di esprimere attraverso un confronto le capacità produttive dell'orchestra italiana. La manifestazione, che conta già sei edizioni, è diventata anche un punto di riferimento per le città limitrofe. All'Orchestra da Camera di Mantova, nelle figure di Carlo Fabiano, suo fondatore, primo violino e Direttore artistico e Umberto Benedetti Michelangeli, suo Direttore principale, è stato assegnato nel 1997 il premio "Franco Abbiati" dalla critica musicale italiana "per la sensibilità stilistica e la metodica ricerca sulla sonorità che ripropone un momento di incontro esecutivo alto tra tradizione strumentale italiana e repertorio classico".

Uto Ughi ha mostrato uno straordinario talento fin dalla prima infanzia: all'età di sette anni si è esibito per la prima volta in pubblico eseguendo la Ciaccona dalla Partita n. 2 di Bach e alcuni Capricci di Paganini. Ha eseguito gli studi sotto la guida di George Enescu, già maestro di Yehudi Menuhin. A quest'ultimo veniva già paragonato quando era solo dodicenne e la critica scriveva: "Uto Ughi deve considerarsi un concertista artisticamente e tecnicamente maturo". Ha iniziato le sue grandi tournée europee esibendosi nelle più importanti capitali europee. Da allora la sua carriera non ha conosciuto soste. Ha suonato infatti in tutto il mondo, nei principali festival, con le più rinomate orchestre sinfoniche. Tra le altre, quella del Concertgebouw di Amsterdam, la Boston Symphony Orchestra, la Philadelphia Orchestra, la New York Philharmonic, la Washington Symphony Orchestra sotto la direzione di maestri quali Sargent, Celibidache, Colin Davis, Leitner, Prêtre, Rostropovich, Sinopoli, Sawallish, Mehta, Masur, Barbirolli, Cluytens, Chung, Ceccato. Considerato tra i maggiori violinisti del nostro tempo, è un autentico erede della tradizione che ha visto nascere e fiorire in Italia le prime grandi scuole violinistiche. Uto Ughi non limita i suoi interessi alla sola musica, ma è in prima linea nella vita sociale del Paese, e il suo impegno è volto soprattutto alla salvaguardia del patrimonio artistico nazionale; al fine di promuovere il restauro dei monumenti storici della città lagunare ha fondato il festival "Omaggio a Venezia". Il 4 settembre 1997 il Presidente della Repubblica gli ha conferito l'onorificenza di Cavaliere di Gran Croce per i suoi meriti artistici. Intensa è la sua attività discografica con la BMG Ricordi per la quale ha registrato i Concerti di Beethoven e Brahms con Sawallisch, il Concerto di Cajkovskij con Kurt Sanderling, Mendelssohn e Bruch con Prêtre, alcune Sonate di Beethoven con Sawallisch al pianoforte, l'integrale dei Concerti di Mozart, Viotti, Vivaldi, 3 Concerti di Paganini nel ruolo di direttore e solista, il Concerto di Dvorák con Leonard Slatkin e con la Philarmonia Orchestra di Londra, e le Sonate e Partite di Bach per violino solo. Sono di nuova pubblicazione Il Trillo del diavolo, incisione "live" dei più importanti pezzi virtuosistici per violino, il Concerto di Schumann con Sawallish e la Bayerischer Rundfunk, e i Concerti di Vivaldi con i Filarmonici di Roma. Uto Ughi suona con un violino Guarneri del Gesù del 1744 che possiede un suono caldo dal timbro scuro, forse uno dei più bei Guarneri esistenti, e con uno Stradivari del 1701 denominato "Kreutzer" perché appartenuto all'omonimo violinista cui Beethoven aveva dedicato la famosa Sonata.

IL PROGRAMMA

Wolfgang Amadeus Mozart
(1756-1791)
Divertimento in fa maggiore per archi K. 138
Allegro
Andante
Presto

Concerto in la maggiore per violino e orchestra K. 219
Allegro aperto
Adagio
Rondò. Tempo di minuetto - Allegro

Niccolò Paganini
(1782-1840)
Quarto Concerto in re minore per violino e orchestra
Allegro maestoso
Adagio flebile e con sentimento
Rondò galante - Andantino gaio

Wolfgang Amadeus Mozart
Divertimento in fa maggiore K. 138
(K6 125c)
Fu a Salisburgo che vennero composti, nei primi mesi del 1772, i tre Divertimenti K.136, 137 e 138 per archi. Concepiti invero dal sedicenne compositore quali Quartetti, ma da sempre per inveterata abitudine affidati a un complesso orchestrale cameristico, essi appaiono strutturati in tre movimenti secondo le maniere italiane tipiche della cosiddetta "Sinfonia avanti l'opera" e così pure del Concerto. Tali composizioni rivelano altresì - è stato notato - la "dipendenza dalla struttura della Sonata a tre barocca e dal modello di Sammartini", e la mancanza di uno o due minuetti le rende assai più simili alla tipologia della Sinfonia per soli archi che non a quella del Divertimento, nonostante tale titolazione sia esplicitamente indicata in partitura. Quanto alla genesi dei tre Divertimenti è possibile che Mozart li abbia composti "per precauzione", vale a dire al fine di poter disporre di materiale nuovo, in prospettiva di una eventuale esecuzione durante l'ultimo viaggio in Italia: quello ch'egli intraprese nell'autunno del '72 per la rappresentazione milanese del Lucio Silla.
Il Divertimento in fa maggiore K. 138 esordisce con un movimento dall'ambientazione già squisitamente sinfonica, improntato a una rimarchevole souplesse. Esso si apre con un energico Allegro subito increspato di transitorie modulazioni e quindi innervato di spunti imitativi. Gioioso ed estroverso, questo Allegro contiene un breve sviluppo dalle trascoloranti velature, cui segue, a ristabilire tosto l'equilibrio espressivo, la regolare ripresa. Coniato nella limpida tonalità di do maggiore, il successivo Andante dalla dolce, suadente cantabilità, si presenta in forma bipartita; ed è nella seconda parte che s'avanzano alcune plaghe appena un poco più malinconiche. Traboccante di charme tale Andante rivela in complesso una grazia tipicamente galante.
Quanto al conclusivo Presto in forma di rondò, dalla singolare concisione (nonostante un episodio in tonalità minore, vagamente enigmatico, non immemore di Johann Christian Bach, come notava Einstein) vi prevale nuovamente un'atmosfera briosa e solare. Notevoli taluni umoristici effetti prossimi a certo Haydn che intervengono con la loro sincera verve: fraseggi staccati, nette contrapposizioni di piano e forte non fanno altro che sottolineare lo spirito del più puro divertissement cui la pagina risulta informata da cima a fondo, ribadendone la limpida luminosità.

Wolfgang Amadeus Mozart
Concerto in la maggiore K. 219 per violino e orchestra
Nonostante non eguagli gli elevati esiti conseguiti nell'ambito della ben più innovativa produzione concertistica destinata al pianoforte, pur tuttavia l'esiguo lascito mozartiano di pertinenza violinistica annovera non poche pagine di innegabile importanza. Tralasciando un ristretto numero di lavori di dubbia autenticità, il corpus delle opere per violino e orchestra comprende innanzitutto i cinque Concerti K. 207, 211, 216, 218 e 219, nessuno dei quali dato alle stampe mentre Mozart era in vita; i manoscritti, in possesso della moglie Costanza, vennero pubblicati infatti solamente molti anni dopo dall'editore André. A tali opere occorre aggiungere poi ancora una manciata di singole pagine, tra le quali l'Adagio K. 261 (concepito nel '76 quale movimento alternativo per il Concerto K. 219) i Rondò K. 269 e K. 373, nonché la superlativa Sinfonia concertante K. 364 ove un violino e una viola si spartiscono il ruolo solistico. Mozart non sarebbe più ritornato in seguito a occuparsi di tale genere preferendo, nel successivo decennio viennese, concentrare la propria attenzione sui problemi stilistici e strutturali legati alla forma del concerto pianistico.
Delle opere violinistiche è opportuno sottolineare la singolare rapidità della genesi, sia pure tenendo presente i già frenetici ritmi creativi dell'allora diciannovenne musicista; vennero concepiti infatti nell'angusto spazio di soli nove mesi, tra la metà d'aprile del 1775 e la fine di dicembre di quel medesimo anno. Sono pressoché sconosciute le circostanze che indussero il giovane Mozart a misurarsi con le difficoltà connesse col trattamento del violino solista, anche se è lecito ricollegarne la gestazione con l'incarico di Konzertmeister che Mozart ricoprì a Salisburgo a partire dal 1770; si è anche ipotizzato un probabile, privilegiato destinatario nell'italiano Antonio Brunetti che dall'imminente '76 avrebbe assunto a sua volta il ruolo di primo violino dell'orchestra di corte salisburghese. Per costui Mozart scrisse espressamente l'Adagio K. 261, i due citati Rondò e la Sonata K. 379.
I cinque concerti che cronologicamente si situano in prossimità della rappresentazione a Monaco della Finta giardiniera (gennaio 1775) nonché del primaverile allestimento a Salisburgo del Re pastore, nel complesso rivelano una già scaltrita padronanza formale, conseguita attraverso lo studio attento di modelli in specialmodo italiani, Tartini, Pugnani, Gemignani, Locatelli, Nardini e Boccherini, innanzitutto, erano autori senza dubbio familiari al giovane Mozart, la cui iniziazione violinistica fu merito del padre Leopold, ottimo violinista egli stesso e autore d'un apprezzabile Metodo per lo studio del violino nonché inflessibile pedagogo, ancorché mediocre compositore. Peraltro, nonostante l'evidente influsso di riconoscibili topoi linguistico-formali, tali concerti (specie gli ultimi due) rivelano già peculiari caratteristiche nell'ingegnoso trattamento del violino, sia sotto il profilo timbrico, sia sul piano squisitamente tecnico. Tutti elementi che, non a caso, unitamente all'elevata qualità delle idee melodiche adottate e al raffinato tessuto armonico in essi dispiegato, ne hanno consentito una imperitura collocazione in repertorio.
Condotto a termine il 20 dicembre 1775 il Concerto in la maggiore K. 219, dell'intera serie "l'astro più brillante", s'apre in un clima di energico vitalismo, cedendo presto il passo a un grazioso e più tenue secondo tema. Con effetto a sorpresa il solista "entra" in regime di Adagio subito sfoderando una "sensuale" cantabilità, poi attacca l'Allegro con piglio esuberante, spingendosi in regione acuta. Un nuovo elemento presenta una allure improntata a umoristica bonomia, mentre lo sviluppo appare moderatamente virtuosistico.
Nel successivo Andante si respira un clima di soave dolcezza e il solista si abbandona a un espanso lirismo. Se contiene alcune desolate screziature già prossime a un certo clima empfindsamer a prevalere tuttavia è una cifra di colore arcadico, pregna di grande bellezza melodica.
In chiusura un arguto Rondò dalle maniere esplicitamente francesi, con il suo argentino refrain dal doppio couplet destinato a imporsi fin dalla sua prima apparizione. Una zona più fantomatica è avviata da icastici unisoni che conducono all'esplorazione di tonalità minori. Ma la caratteristica più vistosa del movimento (ciò che non a caso ha contribuito alquanto alla popolarità del concerto) consiste nella comparsa di un episodio di riconoscibile matrice turchesca - secondo una moda tipicamente settecentesca - con i suoi irrinunciabili stilemi, invero non lontani dal colore ungherese di certo Haydn: energici arpeggi su rudi note di bordone, grottesche acciaccature e striscianti cromatismi. Il materiale deriva da spunti del balletto Le gelosie del serraglio che Mozart compose nel 1772 per l'opera Lucio Silla. Da ultimo la regolare e rassicurante ripresa interviene a chiudere un concerto meritatamente apprezzato, tuttora assai frequentato dagli esecutori e amato dal pubblico.

Niccolò Paganini
Quarto Concerto in re minore per violino e orchestra
Ascrivibile, quanto ai primi abbozzi, al 1829, il paganiniano Quarto concerto rimasto privo di numero d'opus risale a un periodo di intensissima attività: proprio in quell'anno Paganini tenne ben 39 concerti in 18 differenti città. Più d'un commentatore segnala il vasto afflato sinfonico e la lussureggiante orchestrazione del Quarto Concerto, ch'ebbe la sua première a Francoforte il 26 aprile 1830. Il lavoro (pervenutoci in una "lezione" che probabilmente solo in parte rispecchia il dettato originale, stante l'abitudine all'improvvisazione) inizia con un Allegro maestoso inteso a ricalcare la forma classica; con mirabile simmetria ai due temi dell'esposizione orchestrale corrispondono spunti solistici. Se il primo elemento si configura icastico e perentorio (ed è su questo che s'impernia il vero e proprio Capriccio collocato prima dello sviluppo) anche la seconda idea possiede profili netti e ben delineati.
Un clima di elegiaca malinconia aleggia nel successivo Adagio flebile e con sentimento la cui stimmung andrà connessa con il rapporto sentimentale che legò il compositore dei 24 Capricci all'aristocratica Hélène von Feuerbach: laddove sul piano formale la pagina, con la sua alternanza di accese impennate e più languide distensioni memori della cantabilità italiana, segnatamente belliniana, risente della struttura del lied monotematico.
Per il tempo conclusivo Paganini scelse la forma del Rondò (come già nel celeberrimo finale del Secondo Concerto soprannominato "La campanella" ). Ed è proprio in quest'ultimo tempo che la vocazione virtuosistica del violino ha modo di rifulgere appieno, disvelando un vasto armamentario di irti tecnicismi (passaggi accordali, arpeggi dall'ampia tessitura, doppi armonici, "risalto di sincopi, limpidi gettati" e quant'altro). Pure, nonostante l'esasperazione del virtuosismo, il finale non appare certo una sterile vetrina di funambolismi, presentandosi sostanziato d'una robusta materia sonora che, punteggiata dai tinnuli rintocchi del triangolo, le conferisce il giusto spessore. Anche qui è da ammirare l'equilibrio tra solista e orchestra conseguito con un sagace dosaggio degli ingredienti. Sicché la pagina tuttora esercita il suo fascino non solamente fra i solisti, bensì presso il pubblico che da tempo ormai ne ha decretato il successo. Anche l'elaborazione dei temi e la connessione tra i vari elementi appaiono degni della massima ammirazione, specchio tangibile d'una mentalità ormai di stampo prettamente sinfonico.

Attilio Piovano


 

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