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Vita da madre nel Terzo millennio. Così si raccontano cento donne

da inchieste.repubblica.it, 6 maggio 2013

Abbiamo inviato un questionario a un gruppo di mamme del nord e sud d’Italia: in tante hanno pagato la maternità con la solitudine e spesso hanno perso il lavoro. Ma c’è anche chi, con un impiego precario, ha dovuto rinunciare ad avere un figlio. Lo Stato? Il grande assente:una su due vorrebbe cambiare Paese.

ROMA – Dicono sia la cosa più bella del mondo. Molto probabilmente lo è. Ma il mondo delle giovani madri, spesso, somiglia a un delirio di solitudine. Soprattutto in Italia. La vita precedente, dopo il parto, non esiste più, soppiantata da un’altra in cui è la donna, salvo rarissimi casi, a occuparsi di ogni cosa e a ritrovarsi, in poche ore, a gestire un essere umano che ha bisogno di tutto. Notti insonni, crisi di panico, senso di inadeguatezza, neanche più un minuto per sé, in molti casi l’obbligo di dire addio al lavoro. Per le donne che prima di diventare madri lavoravano, viaggiavano e uscivano, la maternità rappresenta un'”amputazione”. Perché la vita di chi è alle prese col primo figlio è fatta di dieci, dodici, ventiquattro ore al giorno in compagnia di un bambino che non parla, ma piange, mangia e ogni tanto si ammala. Moltissime non hanno nessuno a cui rivolgersi, dato che il compagno – quando c’è – lavora, e gli amici si defilano appena sanno che la tua vita è legata a quella di un bambino di poche settimane.

Questo il profilo che emerge dalla nostra inchiesta sulle madri in Italia, cento intervistate da nord a sud del paese. Tra loro diplomate, laureate, qualcuna anche in possesso di un master. Moltissime con uno o due figli di meno di 5 anni. Anche se in tante possono far ricorso all’aiuto dei nonni, si sentono sole. Solissime. Una su quattro dichiara che la cosa che la fa soffrire di più è l’indifferenza degli altri di fronte alle proprie difficoltà. Una cosa che pesa addirittura più delle discriminazioni sul lavoro. E non certo perché queste non ci siano: le disoccupate tra le intervistate sono 25 su cento. Di queste 21 hanno smesso di lavorare dopo la maternità.

Per scelta? Sì, ma quasi sempre per forza. “Circa l’8% delle lavoratrici subisce discriminazioni sul lavoro in conseguenza del fatto di avere un bambino. Quasi sempre – spiega Alessandra Menelao, Responsabile dei centri di ascolto mobbing e stalking UIL – quelle del sud dopo il parto non tornano più al loro precedente impiego. Tutte, senza distinzioni territoriali, denunciano poco. Il ‘mobbing da maternità’ emerge più facilmente nel privato che nel pubblico, ma questo solo perché nel pubblico ci sono comitati che prevengono queste situazioni. Il settore più colpito, comunque, è il terziario”.

Il senso di abbandono pesa quanto le difficoltà economiche. La spesa media per un figlio che ha meno di 10 anni si aggira sui 300 euro al mese e le famiglie che hanno due o tre bambini arrivano a spenderne anche 1000. I nidi migliori si trovano in Emilia Romagna ed è questa la regione dove troviamo anche le madri più soddisfatte della propria condizione. Non è un paese per mamme, insomma? Le nostre intervistate non hanno dubbi: Italia bocciata da un plebiscito. E nasce addirittura la voglia di scappare, un desiderio espresso da una donna su due. Pronte ad emigrare negli Usa o in Nord Europa , in Sud America o in Australia. Altro che festa della mamma, o maternità come status symbol. Soprattutto chi ha figli in questo paese si sente stretto.

Per fortuna ci sono i paracadute: certo i nonni, non tanto per il sostegno economico, quanto per il ruolo di super baby sitter. Ma neppure il sostegno dei “secondi genitori” va dato per scontanto se una madre su quattro dichiara di non ricevere alcun tipo di aiuto. Anche per questo una delle cose che rende più felici le nostre intervistate è l’incontro con servizi sociali o volontari in gamba. E stanno nascendo anche gruppi di mutuo aiuto tra madri, basati sui social network. Tra associazioni e reti in Italia sono circa un migliaio le nuove realtà.

I risultati di questa inchiesta si allineano con quelli raccolti dal Formez, Centro servizi, assistenza, studi e formazione per l’ammodernamento della P. A., dal quale emerge un profondo disagio da parte delle madri italiane, soprattutto dal punto di vista economico. Il servizio Lineaamica, che riceve ogni giorno decine di telefonate con richieste di aiuto da parte di donne madri, ha infatti registrato che, su 280 contatti raccolti ultimamente, le domande più frequenti riguardano il funzionamento della social card (38%), i contributi per i nuovi nati (25%), i pagamenti bonus bebè previsti dalla Regione Lazio (20%) e le novità introdotte dal decreto Fornero-Grilli del 22 dicembre che introduce importanti innovazioni per i neogenitori lavoratori.

Le difficoltà pratiche e il senso di abbandono sofferto dalle madri restano però un allarme che la società non vuole ascoltare. E, paradossalmente, l’icona stereotipata del materno sembra, da dieci anni a questa parte, essere tornata in voga in tutto il suo splendore. Se sei donna “devi” essere madre. E, soprattutto, devi esserlo bene. E non solo in Italia. Esattamente un anno fa, la copertina del settimanale Time ritraeva una madre che allattava il figlio di quasi quattro anni, condizione essenziale “per farlo crescere sereno”, si leggeva nel pezzo interno al giornale.

A sviscerare lo stereotipo della “mamma per forza a tutti i costi” ci ha pensato la giornalista e scrittrice Loredana Lipperini col bellissimo “Di mamme ce n’è più d’una” (Feltrinelli, 315 p., 15 euro), libro che, basandosi su decine di post scritti da donne sul blog dell’autrice, racconta questa virata dell’immaginario verso la maternità come destino e non come scelta e dell’ostinata, miope riproposizione di due soli modelli di madre: quella che rinuncia a tutto per sacrificarsi al figlio, e la madre acrobata, che concilia lavoro e famiglia col sorriso sulle labbra. “Ma ne esistono migliaia, non due”, spiega l’autrice.

Una conclusione che, a luce delle risposte raccolte con la nostra inchiesta, non si può non condividere. Perché ogni madre è, prima di tutto, una donna. Avere per anni sottovalutato o addirittura ignorato questa realtà ha creato una società incapace di accogliere e sostenere le sue protagoniste nel momento più delicato della vita, nell’assurda convinzione che una madre abbia più doveri che diritti e che l’inclinazione al sacrificio faccia parte del suo dna. “Perché si può essere culturali quanto si vuole – spiega Lipperini – ma infine il concetto di sacrificio – concetto cattolico radicatissimo nella nostra vita – è quello che ti morde il cuore. Se non ti sacrifichi, non sei. Questo, temo, è il vero punto della ‘diversità’ italiana: un Paese che santifica le madri, e dove le madri sono talmente intrise del concetto di sacrificio, volenti o nolenti, che nei fatti hanno ottenuto pochissimo in termini di riconoscimento sociale”.

  • Aggiornato il 6 Maggio 2013

Lessico Famigliare su RaiPlay

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La madre, il padre, il figlio, la scuola. Sono gli archetipi su cui si fonda la nostra società. Massimo Recalcati racconta questi ruoli esponendo tesi e suggestioni proprie della psicoanalisi, punteggiate e arricchite da interviste, contributi filmati, letture di testi, citazioni cinematografiche.

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