Centro relazioni e famiglie

Perché solo un adulto onora davvero i genitori

di Chiara Saraceno da Repubblica.it, 03 giugno 2010

Solo un adulto è sufficientemente maturo e sicuro di ciò che è per riconoscere ai genitori la dignità della loro vita.

Anticipiamo un brano del saggio scritto dalla sociologa Chiara Saraceno con lo studioso di ebraismo Giuseppe Laras “Onora il padre e la madre” (il Mulino, pagg.140, euro 12) da oggi in libreria.

Quale può essere lo spazio e il senso di «un rendere onore» al padre e alla madre al di fuori di logiche gerarchiche e/o di obbedienza acritica alla tradizione? È semplicemente il sentimento di obbligazione che si ha verso chi ci ha messo al mondo e bene o male ci ha allevato, o include qualche cosa di diverso? Io credo che possa esserci una dimensione autonoma dell’ onorare (…) Se possa essere oggetto di un comandamento, di una prescrizione sociale e/o morale è tuttavia problematico. Si potrebbe dire che «rendere onore» ai propri genitori è innanzitutto il riconoscimento del debito di sé. Non tanto o principalmente come debito della propria vita in senso letterale, dell’ essere venuti al mondo, ma come debito di essere stati messi nelle condizioni di sviluppare le proprie capacità per fare la propria vita. Non il riconoscimento di una onnipotenza, di un potere maieutico senza vincoli. Neppure necessariamente o prioritariamente il riconoscimento dei «sacrifici» dei genitori (…).

La generazione di bambini che ha frequentato le scuole elementari tra la fine degli anni ‘ 40 e i primi anni ‘ 50 ha scritto innumerevoli «pensierini» e temi in classe sui «genitori che si sono tanto sacrificati per me», in ottemperanza al codice simbolico e alle aspettative prevalenti. Riconoscere il debito di sé significa piuttosto riconoscere ai genitori una disponibilità, verrebbe da dire una generosità, generativa: di una disponibilità a fare spazio, a riconoscere, a sostenere l’ esistenza e le capacità del figlio/a nei limiti, e talvolta oltre, delle proprie risorse umane e sociali. È la stessa logica con cui si rende onore ad un maestro, in qualsiasi campo: perché gli si riconosce la capacità non tanto di aver creato allievi o seguaci, ma di aver messo in moto capacità di persone (…).

Essere «generativi» implica anche la capacità di mantenere distinti i ruoli generazionali: non per ribadire un principio di autorità basato su ruoli gerarchici, ma per consentire a ciascuna generazione di prendersi le proprie responsabilità rispetto all’ altra e rispetto a se stessa. In particolare, per consentire alla nuova generazione di distinguersi, di divenire altro, di prendere, anche conflittualmente, le proprie misure rispetto alla generazione da cui proviene. Il riconoscimento «alla pari» del valore e della soggettività dei figli, così come di quanta reciprocità e non solo trasferimento e dono unilaterale ci sia nel rapporto tra le generazioni, non significa confusione delle posizioni e tanto meno identificazione (fino alla competizione) dei genitori con la generazione dei figli. Neppure significa rifiuto della propria, per quanto parziale, responsabilità rispetto alle condizioni emotive, cognitive, relazionali, oltre che materiali, in cui questi stanno al mondo.

Simmetricamente, il mantenimento delle distinzioni non significa che i figli possano attribuire ai genitori tutta la responsabilità di ciò che loro succede (o non succede) nella vita. Non significa neppure che i genitori debbano regolare la propria vita solo sul registro della genitorialità, come sembrano talvolta aspettarsi i figli, ancorché in modo diverso nei confronti di padri e madri, che non vogliono che i genitori rimasti senza partner formino nuove coppie, o facciano scelte di lavoro, residenza, vita non totalmente regolate dalle aspettative e bisogni dei figli, anche adulti. Qui è necessario un altro passaggio.

Si rende onore a qualcuno perché ha fatto, o forse meglio è stato , qualche cosa/qualcuno che ha avuto valore anche per se stesso/a. Per la sua biografia complessiva e per il senso che ad essa ha dato e di essa ha comunicato nelle sue relazioni e azioni. È su questa base che si crea l’ autorevolezza cui può corrispondere un riconoscimento e una valorizzazione – il dare onore.

Non si può onorare qualcuno per qualche cosa che vive come perdita, o fallimento di sé. Si onora una vita che ha avuto valore per sé, oltre che per altri. O meglio, che proprio perché ha avuto valore per sé, ha potuto essere generativa. Di un genitore si onora la capacità di vita che ha consentito e costruito, ma anche la vita che è stato capace di vivere e di cui ha trasmesso il senso e il valore, anche (forse per lo più) inconsapevolmente, o forse meglio implicitamente. Da tutto ciò consegue che onorare i genitori è una capacità più da adulti che non da bambini o adolescenti, anche se le condizioni per questo atto di riconoscimento si costruiscono negli anni della crescita e dello sviluppo. Solo un adulto è in grado di riconoscere il debito di sé senza esserne travolto, o senza sentirsi costretto a negarlo per poter esistere. E solo un adulto è sufficientemente maturo e sicuro di ciò che è per riconoscere ai genitori la dignità della loro vita.

  • Aggiornato il 3 Giugno 2010

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La madre, il padre, il figlio, la scuola. Sono gli archetipi su cui si fonda la nostra società. Massimo Recalcati racconta questi ruoli esponendo tesi e suggestioni proprie della psicoanalisi, punteggiate e arricchite da interviste, contributi filmati, letture di testi, citazioni cinematografiche.

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