Centro relazioni e famiglie

Genitori e figli in trincea: come resistere

Una riflessione di Massimo Recalcati che diventa quasi una lettera aperta ai genitori e ai loro figli.

Ai genitori

Quando guardiamo i nostri figli nella loro atroce indolenza orizzontale, quando li vediamo vivere ispirati da criteri etici ed estetici differenti dai nostri, quando non vediamo in loro nessun specchio nel quale rifletterci, siamo messi, come genitori, di fronte ad una “prova”. Non quella di amare questi figli nonostante siano così, ma di amarli proprio perché sono così! Prova colossale; tanto difficile quanto inaggirabile. Si tratta di avere fede, io dico, nel segreto del figlio. Quale? Quello del suo desiderio che non è mai fatto come il nostro, che è sempre differente dal nostro, divergente, anarchico, singolare. Grande prova, per ogni genitore, quella di amare il segreto del figlio! E’ qualcosa di molto diverso dal dialogo, dalla comprensione, dall’empatia. I veri amori vivono di enigmi non di specchi. Non dovremmo mai dimenticarcelo pensando ai nostri figli. Un’altra illusione sarebbe quella di appellarsi all’infallibilità delle regole. Oggi va di moda: sottoporre la vita a regole predefinite nell’illusione di raddrizzare le sue inevitabili storture. Il culto delle regole è una illusione pedagogica del nostro tempo. L’essere umano non è però un cavallo che deve essere domato. L’educazione non è un dressage. Per amare il segreto del figlio bisogna innanzitutto disarmarsi. Per disarmarsi è necessario rinunciare ad avere delle aspettative sui propri figli. Ecco il dono più grande e più difficile della genitorialità: non caricare i figli dei nostri progetti. Se infatti, come diceva Sartre, i genitori hanno dei progetti sui loro figli, i figli hanno fatalmente dei destini che non sono mai felici. Ma ai genitori spetta un altro decisivo compito: testimoniare che la vita, o, meglio, la propria vita, può avere un senso; incarnare il desiderio, mostrare che si può vivere su questa terra con passione e slancio. E’ questa la forma più preziosa dell’eredità della quale i nostri figli hanno necessità.

Ai figli

I figli dovrebbero imparare a vedere nei loro genitori la loro stessa memoria. Questo comporterebbe liberarsi del pensiero che la Legge incarnata dalle vecchie generazioni voglia la loro morte, voglia, cioè, soffocare la loro rivolta vitale. I figli hanno diritto alla rivolta. Meglio la rivolta attiva, il conflitto, l’antagonismo allo sprofondamento passivo e inerme nell’orizzontalità. Liberarsi dai padri-papi, dalle madri-amiche, liberarsi dalla falsa simmetria dell’empatia; cercare nel mondo e non in famiglia quello che manca. Non accontentarsi della lingua materna, della lingua familiare, della lingua già conosciuta; ambire al viaggio, rischiare il fallimento, desiderare un altro mondo. Provare a vedere nei propri genitori non tanto l’inganno dell’educazione retorica ma una scheggia del loro stesso destino. Si tratta sempre, in ogni cammino evolutivo, di riconoscere la nostra provenienza, qualunque essa sia. Si tratta di imparare a ringraziare, di imparare il senso della gratitudine. Non necessariamente verso i genitori naturali ma anche verso coloro che ne hanno incarnata la funzione simbolica: un maestro, un allenatore, un superiore, un libro. Sarebbe il primo e il giusto passo del viaggio del figlio: provare un sentimento di gratitudine. E’ cosi difficile ringraziare? Solo se si ringrazia, se si impara a ringraziare, la vita acquista un peso. Altrimenti vaga nell’aria come una piuma o come un turacciolo sulle onde. Il ringraziamento dà un peso specifico alla vita. I nostri figli dovrebbero imparare a ringraziare non i genitori che li accontentano nei loro capricci ma quelli che sanno sopravvivere al conflitto senza entrare a loro volta in conflitto con i propri figli. Quelli che sanno essere altrove e che, proprio per questo, sanno rispettare il segreto dei loro figli. Ai figli bisognerebbe sempre ricordare che è l’odio che ostacola la separazione, non l’amore.

Fonte: lab.gruppoespresso.it

  • Aggiornato il 4 Dicembre 2017