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Agenda 2030: per le donne italiane va meglio, ma la parità di genere è lontana

Per la parità di genere in Italia ci sono stati miglioramenti molto significati negli ultimi anni, ma siccome gli svantaggi per le donne sono tanti, e superiori rispetto a quelli che si riscontrano in altri Paesi europei, c’è ancora molta strada da fare.

L’indicatore messo a punto dall’Alleanza per lo Sviluppo Sostenibile sale da 100 a 150 dal 2010 al 2015, registrando la notevole crescita del numero di donne elette nei consigli regionali o presenti nei consigli di amministrazione delle società quotate in Borsa, le “quote rosa” volute dalla legge tutto sommato hanno funzionato. Ultimamente l’Istat ha sottolineato quanto stia crescendo il tasso di occupazione femminile: se si considera la fascia di età compresa tra i 20 e i 64 anni si è finalmente superata la barriera del 50%, con un 51,6%. Però l’Italia nonostante i progressi rimane tra gli ultimi Paesi in Europa per le donne al lavoro. E poi ci sono gli aspetti legati alla violenza contro le donne: il numero dei reati è stabile, ma aumenta la gravità degli abusi.

Siamo veramente fanalino di coda poi rispetto alla salute sessuale e riproduttiva delle donne, l’Italia è 18 punti sotto la media europea per l’uso di anticoncezionali moderni. In alcune Regioni, poi, soprattutto nel Mezzogiorno, l’interruzione di gravidanza è un diritto solo sulla carta: ci sono barriere insormontabili costituite dal numero esorbitante di medici obiettori di coscienza: per questo abuso di un diritto l’italia è stata richiamata due volte dal Comitato Europeo per i Diritti Sociali e recentemente anche dal Comitato Cedav.

Anche poi laddove la situazione è davvero migliorata, e cioè nella presenze delle donne nelle rappresentanze politiche degli enti locali, o nelle imprese quotate in Borsa, c’è un problema di “peso” delle cariche. Per esempio nei Consigli regionali (dove peraltro le quote di legge non sono ancora rispettate) le donne vengono rigorosamente tenute lontane dagli assessorati di peso, quelli che gestiscono le materie che convogliano il grosso dei fondi di spesa, e cioè bilancio (dove sono appena il 15%), urbanistica, infrastrutture e trasporti e sanità. Ma in fondo le donne contano poco anche nei consigli di amministrazione delle imprese, nonostante la quota italiana superi ormai la media europea.

Anche sul fronte occupazione l’apparente miglioramento dei tassi di occupazione riguarda in misura molto limitata le madri con figli piccoli. E infatti la parità di genere fa parte anche dei 12 obiettivi di benessere che dall’anno prossimo verranno allegati alla legge di Bilancio, e rispetto ai quali il ministro dell’Economia dovrà rendicontare ogni anno rispetto all’impatto delle varie misure, ma non misurano il “distacco” tra tasso di occupazione maschile e femminile, ma tra donne con figli e senza figli.

Il vero gap in Italia è quello: mancanza di asili nido, di flessibilità sul lavoro, persino il congedo di maternità così lungo, tutto a carico della donna, si traduce in un forte svantaggio. Il legislatore comunque negli ultimi anni non è rimasto a guardare. Le leggi per abbattere le discriminazioni e la violenza contro le donne sono moltissime, vanno dall’estensione del congedo parentale per i padri al “Piano straordinario contro la violenza sessuale e di genere” al “Bonus mamma domani” e al “Bonus bebè”. Certo, le leggi non bastano, almeno fino a quando, come ha denunciato ieri l’Ocse nel Rapporto sulla strategia delle competenze, le donne in Italia continueranno ad essere percepite come le principali “assistenti familiari”.

Fonte: repubblica.it

  • Aggiornato il 9 Ottobre 2017