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I papà italiani vorrebbero condividere la cura dei figli: 7 su 10 dicono sì al congedo di 15 giorni

«Diamo voce ai papà»: questo il nome dell’inchiesta lanciata dallo spazio di co-baby Piano C di Milano in collaborazione con associazioni e aziende,

per indagare «l’identità, la gestione vita-lavoro, i modelli, i desideri dei papà italiani» e presentata in modo evocativo e provocatorio alla vigilia della «festa del papà» alla Camera dei deputati. Un lavoro utile perché fa luce su un cambiamento importante nell’approccio alla paternità troppo spesso sottovalutato.  Dai dati emerge infatti il desiderio, soprattutto fra i papà più giovani, della condivisione nel lavoro di cura dei più piccoli. Per quanto le donne continuino ad essere viste come le principali responsabili, il 70% dei papà sarebbe favorevole al congedo di paternità obbligatorio di 15 giorni lavorativi retribuiti nei primi 5 mesi di vita dei figli.

Per i papà intervistati la paternità ha portato cambiamenti positivi nella propria vita, una forte crescita personale e un aumento di molte capacità, dalla gestione del tempo al problem solving. Sei papà su dieci dichiarano poi che diventare padri non ha comportato un ridimensionamento delle proprie carriere e ambizioni professionali anche perché non ha modificato in modo significativo il proprio rapporto con il tempo di lavoro. A differenza della maternità, per le ragioni esattamente opposte.

Sono ancora pochi i papà che usufruiscono delle misure esistenti, dai 2 giorni (che saranno 4 più 1 nel 2018) di congedo di paternità obbligatorio previsti dalla legge di bilancio del 2017 all’allargamento del congedo parentale condiviso previsto nel Job act. Molto spesso pesa anche la poca informazione: solo un papà su due si dichiara a conoscenza della possibilità di usufruire del congedo obbligatorio.  La condivisione delle responsabilità genitoriali non è dunque ancora una realtà, ma sicuramente è un desiderio nuovo e perciò comincia a essere una tendenza. Una di quelle tendenze positive che la politica ha il compito di riconoscere e promuovere per gli effetti positivi generali: sulle relazioni tra i genitori e i figli, sull’aumento della partecipazione delle donne al mercato del lavoro (più ancora delle politiche di conciliazione che riconoscono il lavoro di cura ma presuppongono comunque che sia tutto sulle spalle delle donne), sugli indici di denatalità del Paese così preoccupanti. Certo, per modificarli servono scelte significative su più fronti, lavoro e servizi, ma quello della condivisione delle responsabilità genitoriali è uno dei più importanti. Perché se la cura dei figli è condivisa non è un ostacolo al lavoro delle donne e non è un ostacolo a progettare la maternità, né per la gestione concreta della propria vita né dal punto di vista delle imprese, come dimostrano le esperienze di altri Paesi.

Ma le conseguenze positive riguardano anche e sopratutto il benessere di tutti. Come è stato dimostrato da numerose ricerche, l’aumento dell’occupazione femminile funziona da moltiplicatore del Pil, poiché porta con sé l’aumento della richiesta di servizi e di lavoro di altre donne. Cambiamenti culturali, politici e sociali importanti, che hanno bisogno del supporto della politica e della società civile. L’inchiesta di Piano C va appunto in questa direzione. Per parte nostra abbiamo cominciato con la legge di bilancio di quest’anno. Bisogna continuare: ad esempio approvando la proposta di legge per rendere obbligatorio il congedo obbligatorio di paternità di 15 giorni.

Fonte: 27esimaora.corriere.it

  • Aggiornato il 16 Marzo 2017