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Torino, la giustizia ai genitori-nonni: la figlia è lontana da 4 anni ormai non può tornare

Non si può ricucire il cordone ombelicale reciso dalla giustizia tra Gabriella Carsano e la sua bambina. La figlia dei “genitori nonni” di Casale Monferrato non può essere restituita alla famiglia naturale perché ormai l’abbandono fa parte della sua storia, anche senza che la coppia ne abbia colpa. È un abbandono nei fatti e tornare indietro non è più possibile.

Con questa tesi, durissima, ieri pomeriggio il curatore speciale della bimba contesa ha chiesto ai giudici della Corte d’appello di Torino di confermare la sentenza di adottabilità, e chiudere così questo doloroso capitolo giudiziario, aperto nel 2010, che ancora attende la parola fine.
Hanno terminato l’ennesimo processo su questo caso in camera di consiglio, ciascuno con la propria richiesta: il curatore speciale che rappresenta nella causa gli interessi della minore; l’avvocato dei due genitori, Adriana Boscagli; e il procuratore generale, Sabrina Noce.

Seguire le indicazioni della Cassazione e riavvicinare la famiglia naturale alla bimba è quel che ha chiesto l’avvocato Boscagli, lo stesso che ha fatto ottenere alla coppia la sentenza per revocazione nel giugno scorso. Una terza strada ancora, una soluzione che metta insieme gli interessi di tutti i protagonisti, è ciò che propone la procura generale. La decisione dei giudici è attesa per i prossimi giorni e non sarà cosa semplice.

Quel che ha detto il procuratore speciale è, infatti, drammaticamente vero. Luigi Deambrosis e Gabriella Carsano non intrecciano rapporti con la figlia ormai da quattro anni. E la piccola, che gli è stata portata via a poche settimane di vita, oggi ne ha quasi sette. L’hanno incontrata nel primo periodo “in territorio neutro”, come si dice in linguaggio tecnico, cioè sotto l’osservazione degli assistenti sociali e in un luogo neutro, cioè estraneo a tutti.

All’origine della vicenda c’era quell’episodio denunciato dai vicini di casa che avevano visto la piccola piangere da sola in macchina nel vialetto di casa e avevano chiamato i carabinieri. Il tribunale si era pronunciato sostenendo che madre e padre non erano adatti a svolgere il ruolo di genitori. Intanto procedevano gli accertamenti sull’episodio dell’auto, e Luigi Deambrosis veniva rinviato a giudizio con l’accusa di abbandono. Da quel momento un procedimento penale contro di lui correva parallelo al processo civile per decidere se dare o meno in adozione la bimba che nel frattempo era stata data in affido e incontrava mamma e papà solo saltuariamente.

È stato nel 2013, quando la Corte d’appello civile ha confermato il giudizio del tribunale, che la piccola è stata inserita in una famiglia adottiva, e sottratta per sempre alla coppia di Casale Monferrato. Mentre i Deambrosis lottavano da un tribunale all’altro per riaverla indietro, lei cresceva accudita da altri genitori che l’avevano legittimamente per effetto di un terzo procedimento giudiziario: una sentenza di adozione.
Anche la Cassazione, in un primo momento, ha ritenuto valide le motivazioni dei giudici torinesi che avevano tagliato il cordone.

Il motivo? Si sarebbe scoperto dopo, a giugno 2016: quando, con un iter straordinario, l’avvocato Adriana Boscaglia ha chiamato di nuovo in causa la Suprema corte in un ricorso per revocazione, riuscendo a ottenere il ribaltamento della sentenza. La sua idea, poi confermata dai giudici, era che alla base di tutte le precedenti sentenze c’era stato un errore: quell’originaria accusa di abbandono della bambina da parte del papà, che invece è stato assolto in tutti e tre i gradi di giudizio perché di sette minuti di “abbandono” si era trattato, in realtà. Giusto il tempo di prepararle il biberon. «Andavamo e venivamo tra l’auto e l’appartamento, la tenevamo costantemente d’occhio: è stata nel seggiolino 7 minuti, il tempo di scaldarle il latte » aveva spiegato Deambrosis. Non solo.

Secondo la Cassazione, che ha disposto il nuovo processo d’appello concluso ieri, tutte le sentenze precedenti avevano sullo sfondo un pregiudizio riguardo all’età di Luigi e Gabriella, che non a caso sono stati ribattezzati dall’opinione pubblica “genitori nonni”. Lui adesso ha 75 anni e lei 63. Quando è nata la figlia ne avevano 69 e 57. E c’è chi sostiene che già in ospedale, dopo il parto, fossero stati allertati i servizi sociali per la questione dell’età. Ma la legge non prevede limiti «per chi intende generare un figlio» ha scritto la Corte. Quindi, se i giudici della Corte confermeranno che non possono fare i genitori, dovranno motivarlo diversamente, non tenendo conto né dell’episodio dell’abbandono né della loro età.

Fonte: torino.repubblica.it

  • Aggiornato il 22 Febbraio 2017