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In edicola: “Gender la rivoluzione”

È in edicola dal 3 gennaio il numero speciale che ha in copertina il titolo: “Gender. La rivoluzione”.  La comprensione del concetto di genere – sia da parte della scienza, sia nella società – sta cambiando, e volevamo esplorare e illustrare questa evoluzione.

Perché un numero speciale?

Già da diversi anni ci siamo resi conto di come le convinzioni e le nozioni sul tema del genere stiano cambiando rapidamente e drasticamente. Sono ormai quasi 130 anni che National Geographic perlustra il mondo attraverso la scienza, l’esplorazione, lo storytelling. L’appartenenza di genere permea ogni aspetto della vita umana: indagare su come cambia la comprensione di un concetto biologico e sociale è, puramente e semplicemente, il nostro mestiere. Non scegliamo gli argomenti di cui occuparci per perseguire scopi politici o di parte. Abbiamo realizzato  il numero speciale sul gender – come facciamo per ogni numero – con l’intento di ricercare, capire e spiegare.

Perché due copertine diverse?

Il numero destinato agli abbonati all’edizione internazionale ha in copertina la fotografia di Avery Jackson, una ragazza transgender di nove anni. L’edizione internazionale per le edicole e quella italiana hanno in copertina un ritratto di gruppo scattato in studio, con sette persone che rappresentano diverse identità di genere.

A volte l’edizione internazionale decide di realizzare due copertine diverse, tenendo conto del contesto in cui vengono ricevute. I responsabili dell’edizione italiana hanno scelto la seconda perché mostrava una maggiore varietà di persone che si collocano su punti diversi dello spettro dell’identità di genere. I contenuti delle due edizioni sono però sostanzialmente gli stessi.

Perché non c’è una donna cisgender nella foto di gruppo?

Sebbene in copertina manchi una donna cisgender, quasi due terzi della rivista sono dedicati alla condizione femminile. In particolare, pubblichiamo due lunghi servizi sulle difficoltà che incontra una ragazza crescendo negli Stati Uniti e sui pericoli e le discriminazioni che ancora affliggono la vita di bambine e giovani donne nei paesi in via di sviluppo. Il numero presenta inoltre notizie e statistiche sulle condizioni di vita di bambine e ragazze, un saggio della studiosa Anne Marie Slaughter, e interviste a Gloria Steinem, pioniera del movimento femminista, e Sheryl Sandberg, direttore operativo di Facebook.

Perché avete definito un disturbo l’intersessualità?

Abbiamo consultato numerosi esperti per affrontare questo tema con accuratezza e sensibilità. Per diversi lettori abbiamo comunque sbagliato. “In tutto il mondo gli attivisti per la difesa degli intersex si oppongono per la semplice ragione che patologizza la nostra condizione, promuovendo l’idea erronea e stigmatizzante che le persone intersex abbiano bisogno di essere ‘aggiustate’”, ha scritto Hida Viloria, direttore esecutivo di Intersex Campaign for Equality. Kimberly Zieselman, direttore esecutivo di InterACT, un organizzazione di giovani intersex, ha scritto che la nostra definizione è “altamente offensiva per molti appartenenti alla nostra comunità… e sarà davvero dannosa se verrà stampata”.

Tenendo conto di queste preoccupazioni, nell’edizione online cambieremo la voce “intersex” definendolo “un termine che descrive una persona con una conformazione riproduttiva, genitale o ormonale che ha come risultato un corpo non facilmente classificabile come maschile o femminile”. Per completezza abbiamo incluso un termine forse più familiare – “ermafrodito” – notando come oggi sia considerato desueto o anche offensivo.

Essere transgender è una malattia mentale?

No. Secondo i numerosi esperti che abbiamo consultato, essere transgender è una delle possibili identità di genere. Alcune persone trasgender possono soffrire di problemi psicologici o psichiatrici come depressione, ansia o altri disturbi. Uno studio recente ha dimostrato che “in realtà il rifiuto sociale e la violenza spesso subiti dalle persone transgender appaiono in realtà come le cause primarie della sofferenza psicologica, rispetto al solo fatto di essere transgender”.

Negli Stati Uniti, la disforia di genere è una diagnosi che compare nel DSM V, il manuale dell’American Psychiatric Association. In base a questa diagnosi, medici e psicologi possono indicare che una persona è provvista dei requisiti necessari per affrontare un trattamento medico che realizzi la transizione. La sua inclusione nel DSM è però osteggiata da una parte della comunità transgender.

Anche in Italia la diagnosi del disturbo di identità di genere è alla base della possibilità di effettuare la transizione medica a carico del Servizio sanitario nazionale, e di vedere riconosciuto dal tribunale il cambiamento di genere. L’Organizzazione mondiale della Sanità ha già comunicato che con ogni probabilità rimuoverà l’identità transgender dall’elenco dei disturbi psichiatrici in occasione della revisione dell’International Classification of Diseases, prevista per il 2018.

Che cosa sono i farmaci bloccanti della pubertà e quali sono gli effetti a lungo termine del loro utilizzo?

Uno degli articoli del nostro speciale affronta questo punto specifico. Ecco un brano:

La biologia ha l’abitudine di manifestarsi, prima o poi. In alcuni casi però i processi biologici possono essere messi temporaneamente in pausa con farmaci che bloccano la pubertà in modo da offrire più tempo ai bambini che hanno dubbi sul genere. Se a 16 anni il ragazzo o la ragazza decide di non essere transgender, gli effetti della sospensione della pubertà possono essere reversibili: il soggetto smette di assumere i farmaci bloccanti e si sviluppa secondo il proprio sesso di nascita. Per chi invece a 16 anni opta per la transizione, il fatto di aver sospeso la pubertà potrebbe essere un vantaggio. Assumendo ormoni dell’altro sesso, affronterebbe la pubertà del genere voluto senza aver sviluppato i caratteri sessuali secondari che poi è più complicato correggere come il seno, i peli corporei o la voce bassa.

L’organizzazione medica Endocrine Society raccomanda i farmaci bloccanti per gli adolescenti a cui è stata diagnosticata la disforia di genere. Tuttavia gli effetti a lungo termine di questi trattamenti sullo sviluppo psicologico, sulla crescita del cervello e sulla densità minerale ossea sono ancora sconosciuti. Da qui l’accesa polemica sull’opportunità di somministrarli a giovani fisicamente sani.

Perché vi siete concentrati tanto sui bambini?

Abbiamo intervistato 80 bambini e bambine di otto paesi – dall’America al Medio Oriente, dall’Africa alla Cina – sul ruolo che il loro genere ha nella loro vita. Abbiamo voluto parlare con loro perché i ragazzi di nove anni sono osservatori attenti e capaci di parlare con sincerità del mondo che li e ci circonda, permettendo anche agli adulti di vederlo con occhi diversi.  “La cosa peggiore dell’essere una femmina e che non puoi fare certe cose che i maschi possono fare”, ci ha detto ad esempio Tomee War Bonnett, una bambina che vive nella riserva indiana di Pine Ridge, in South Dakota. Negli stessi termini, anche se con parole e in lingue diverse, si sono espresse altre ragazze in giro per il mondo, che evidentemente si sentono limitate da simili costrizioni. Abbiamo messo Avery su una delle copertine perché ci sembrava che la sua figura simboleggiasse molti aspetti del complesso dibattito attualmente in corso sul concetto di genere.

Quando avete cominciato a lavorare a questo numero?

Abbiamo cominciato a elaborare le prime proposte due anni fa. Gran parte degli articoli sono stati realizzati a partire dal 2015 fino all’estate del 2016. L’edizione internazionale è stata mandata in stampa nell’ottobre 2016; quella italiana all’inizio di dicembre.

  • Aggiornato il 20 Gennaio 2017