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Con la crisi non basta più il lavoro di uno solo in famiglia

La crisi sociale è più lunga della crisi economica. Uscire dalla recessione non vuol dire che la crisi sia finita. operaiQuanta disoccupazione è stata riassorbita? Quanto dell’aumento della povertà assoluta, dei più poveri tra i poveri, si è recuperata? Partiamo dalla disoccupazione. Dopo essere cresciuta ininterrottamente dal 2007, da circa 1 milione e mezzo, la disoccupazione ha raggiunto il picco nel quarto trimestre del 2014 di 3 milioni 267 mila persone, per poi diminuire. Siamo, comunque, a 2 milioni 987 mila nel terzo trimestre del 2016. La disoccupazione di lunga durata, da 12 mesi in su, pur essendo diminuita, coinvolge 1 milione 600 mila persone, più del 50% dei disoccupati. Elemento, questo, che va considerato con attenzione, perché più a lungo si protrae lo stato di disoccupazione, più è difficile uscirne e rimettersi in gioco sul mercato del lavoro.  

I disoccupati sono molti tra i giovani, ma non dobbiamo dimenticarci di quelli adulti o ultracinquantenni, che , seppure di meno, hanno maggiori difficoltà, a causa dell’età, a rientrare nel mercato del lavoro e che spesso vivono in famiglie in cui solo loro percepivano un reddito. Certo, gli occupati sono cresciuti di 570 mila unità dall’inizio del 2014, ma ancora non abbastanza per riassorbire una parte importante della disoccupazione, anche perché una parte della crescita è imputabile alla maggiore permanenza degli ultracinquantenni nel mondo del lavoro. E comunque la crescita dell’occupazione non è stata sufficiente in questi anni a far diminuire la povertà assoluta , o perché trattasi comunque di occupati a basso reddito in famiglie con bisogni più alti, o perché una parte dell’occupazione è cresciuta per persone che vivono in famiglie non povere, aumentando così la polarizzazione.  

Lento recupero  

Se il peggioramento delle condizioni di vita è stato intenso e veloce, il recupero comunque, è ancora lento rispetto alle necessità. D’altro canto non possiamo meravigliarci visto che già da prima della crisi il nostro Paese non aveva conosciuto ritmi di crescita rilevanti. La povertà assoluta, dopo essere raddoppiata non è ancora diminuita. Sono 1 milione 582 mila le famiglie in povertà assoluta e 4 milioni 598 mila le persone. La mancanza di lavoro continua a connotare la povertà, le famiglie con a capo un disoccupato sono quelle più in povertà assoluta delle altre e sono aumentate nel tempo. Tra queste erano povere assolute il 12,8% nel 2005, salite al 14,5%nel 2009 fino a raggiungere il 19,8% nel 2015. Pur essendo un valore alto è importante sottolineare la sua diminuzione rispetto al 2013. Ancora più che in passato la crisi ha evidenziato quanto il lavoro di una persona sola in famiglia non basti più a proteggere dalla povertà. Chiara Saraceno ci scrisse un libro, «Il lavoro non basta», era il titolo, ed è stato così. 

Il modello breadwinner  

Ebbene quello che voglio sottolineare è che il modello del maschio «breadwinner», che lavora e mantiene la sua famiglia con figli, con la donna che si occupa della casa e della cura tanto decantato come modello negli anni ’50 e ancora ampiamente diffuso nel Sud, e al Nord tra le famiglie di immigrati marocchini e albanesi, non è più sostenibile socialmente, ha aumentato la vulnerabilità di queste famiglie, soprattutto quelle operaie, ma non solo. 

Secondo la Banca d’Italia le famiglie operaie nel 45,9% dei casi hanno solo un percettore di reddito in famiglia e quasi la metà non ha una abitazione in proprietà. Il lavoro femminile è fondamentale come elemento di protezione dalla povertà, ma continua ad essere ancora su percentuali troppo basse. Sono in particolare le famiglie operaie a pagare il prezzo più alto. La povertà assoluta per loro aveva cominciato a crescere già prima della crisi. E poi è esplosa passando dal 4,4% del 2005 al 6,9% del 2009 fino a raggiungere l’11,8% nel 2013 e rimanendo tale nel 2015. 

Operai più poveri  

Dal 2005 al 2015 l’incidenza di povertà assoluta tra le famiglie operaie è triplicata. D’altro canto non possiamo meravigliarci, visto che la crisi ha colpito in primo luogo l’industria e le costruzioni . Anche i lavoratori in proprio hanno subito una crescita della povertà’ assoluta, ma questa li ha raggiunti più tardi degli operai e si è subito ridotta attestandosi al 5,5%. Inoltre il collettivo degli indipendenti si è ridimensionato nel tempo ed ha conosciuto un processo di ricomposizione interna, perché coloro che sono stati fortemente colpiti dalla crisi, soprattutto nel caso di piccole imprese si sono trasformati in disoccupati o sono usciti dal mercato del lavoro e quindi, non fanno più parte di famiglie di lavoratori indipendenti. Il disagio raggiunge gli operai con più figli, ma non risparmia anche quelli senza figli e che vivono soli a causa dei redditi bassi. Insomma, la crisi ha provocato un incremento sia delle famiglie povere assolute con a capo un disoccupato, sia delle famiglie di lavoratori poveri specie operai,siano essi lavoratori a basso salario o poveri perché con reddito non sufficiente ai bisogni familiari.Avere un lavoro non permette necessariamente di proteggersi dalla povertà o di uscirne. Non è cosa solo di oggi, ma bisogna ricordarselo per le politiche, soprattutto in questa fase.Servono politiche di vario tipo per affrontare questa emergenza, politiche attive del lavoro, di conciliazione dei tempi di vita per sviluppare occupazione femminile, di sostegno al costo dei figli e strumenti specifici di lotta alla povertà. Una serie di politiche miranti alla redistribuzione del reddito. Non possiamo rassegnarci a stabilizzare livelli di povertà assoluta così alti. La prima sfida di qualsiasi governo dovrà essere ridurre consistentemente le disuguaglianze, ed evitare che la persistenza della povertà cresca e si consolidi. 

Fonte: lastampa.it

  • Aggiornato il 12 Dicembre 2016