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Maternità surrogata: dubbi di costituzionalità sull’impugnazione del riconoscimento del figlio

E’ rilevante e non manifestamente infondata la questione di  legittimità costituzionale dell’art. 263 cod. civ.,  maternita-500%20jpgnella parte in cui non prevede che l’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità del figlio minore nato da maternità surrogata, possa essere accolta solo quando sia ritenuta dal giudice rispondente all’interesse del minore stesso, e non consente al giudice di valutare in concreto l’interesse del minore a vedersi riconosciuto e mantenuto uno stato di filiazione quanto più rispondente alle sue esigenze di vita.

La Corte d’Appello di Milano, con ordinanza 25 luglio 2016, ha esaminato la sollevata questione di costituzionalità dell’articolo 12 6° comma della Legge n. 40/2004, nella parte in cui pone il divieto assoluto di effettuare la maternità surrogata, e nella parte in cui la norma non consente di trascrivere in Italia gli atti di nascita di minori nati all’estero a  seguito dell’applicazione di tecniche di maternità surrogata, formati in modo legittimo nei paesi che la consentono.

Il provvedimento dispone la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale solo per sospetta illegittimità costituzionale dell’articolo 263 c.c., in riferimento agli artt.  2, 3, 30 e 31 della Costituzione, e all’articolo 117 comma 1 della Costituzione in relazione all’art. 8 della Convenzione Europea, nella parte in cui non permette di valutare in concreto l’interesse del minore a mantenere, o a perdere, l’identità relazionale e lo status di una filiazione già riconosciuta.

Fatto

Una coppia affetta da infertilità non risolvibile mediante le pratiche permesse in Itala, si era recata in India, dove con la tecnica della maternità surrogata e con materiale genetico del marito, era nato un bambino, il quale era stato riconosciuto come figlio naturale di entrambi i coniugi.

L’Ufficiale dello Stato Civile di Milano, con riguardo alla richiesta di trascrizione del certificato di nascita formato all’estero, sospendeva il procedimento, e faceva una segnalazione alla Procura della Repubblica per sospetto ricorso alla maternità surrogata.

Accertate le circostanze della procreazione, su iniziativa del PM presso il Tribunale per i minorenni, si apriva un procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità del bambino. Nel frattempo era stata accolta la richiesta di trascrizione del certificato di nascita, riproposta dai genitori del bambino, che così risultava essere figlio della coppia.

Il Tribunale per i minorenni di Milano, su richiesta del PM ai sensi dell’articolo 264 comma 2 c.c., impugnava il riconoscimento effettuato dalla donna, nominando a tal fine un curatore speciale del minore. Non si procedeva con la dichiarazione di adottabilità essendo certa, in base al test sul DNA, la paternità biologica dell’uomo.

Il Tribunale, dichiarava nullo il riconoscimento materno basandosi su tre punti:

  • l’articolo 269 comma 3, c.c. collega la maternità esclusivamente al parto;
    la filiazione per parte materna non può derivare da un contratto per la fecondazione con maternità surrogata, che è invalido nel nostro ordinamento, per contrarietà della legge straniera all’ordine pubblico;
    pur accogliendo un concetto flessibile e più ampio di ordine pubblico interno, l’applicazione della vigente normativa italiana esclude il ricorso alla tecnica procreativa utilizzata
  • in relazione all’articolo 3 della Costituzione la diversa possibilità offerte alle coppie, i cui problemi di sterilità/infertilità non riguardano la possibilità di gestazione della donna, rispetto a quella delle coppie in cui non è possibile la gestazione, viola il principio di uguaglianza, poiché solo derogando al divieto, queste ultime potrebbero avere un figlio per via naturale, geneticamente riconducibile ad almeno uno dei partner
  • Sussisterebbe anche una discriminazione di genere, poiché è ora consentito ad un uomo completamente sterile di poter ricorrere alle tecniche riproduttive e di poter riconoscere un figlio per l’effetto della donazione di gameti, la stessa possibilità non è consentita ad una donna che non possa portare a termine la gravidanza.

Dunque, il divieto di surrogazione di maternità, impedendo alla coppia, inabile alla gestazione a causa di una patologia della donna, di diventare genitori e di formare una famiglia con dei figli, si pone poi in formale contrasto con gli articoli 2, e 31 della Costituzione, per limitazione della libertà di autodeterminarsi nella sfera più intima e intangibile della persona umana.

In questo senso, si richiama la Corte Costituzionale, secondo cui “..la scelta della coppia di diventare genitori e di formare una famiglia che abbia anche dei figli costituisce espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi.”.

In relazione all’articolo 32 della Costituzione, per violazione del diritto alla salute, intesa in senso ampio, come un aspetto dell’esistenza personale, sul presupposto che, per una donna, l’impossibilità di portare avanti una  gravidanza, rappresenti una patologia produttiva di disabilità anche in senso psicologico.

Secondo la Corte Milanese, oltre alla posizione della coppia, emergono tuttavia altri diritti dei soggetti coinvolti: quelli del nato e quelli della donna gestante per altri.

Pertanto, occorre guardare ai diritti di questi soggetti per valutare se, in un bilanciamento realizzato con criteri di ragionevolezza e proporzionalità, sussista l’esigenza di protezione di altri valori costituzionali di pari grado a quelli sopra considerati.

La Corte Costituzionale, nella sentenza n. 162/2014, che ha dichiarato l’incostituzionalità del divieto di fecondazione eterologa, ha valutato se l’interesse del bambino nato dalla PMA di tipo eterologo – l’unico interesse contrapposto ai beni costituzionali toccati dal divieto – potesse essere compromesso a causa del rischio psicologico connesso ad una genitorialità non naturale, oppure per la violazione del diritto a conoscere la propria identità genetica.

Alla fine, secondo la Corte, il divieto di fecondazione eterologa non effettuava un ragionevole bilanciamento degli interessi in gioco.

Le stesse considerazioni sono state fatte in riferimento all’istituto dell’adozione, in cui è stato recentemente disciplinato il diritto degli adottati all’accesso alle informazioni riguardanti l’identità dei genitori biologici dell’adottato.

La norma che vietava l’accesso alle informazioni nei confronti della madre che avesse dichiarato alla nascita di non volere essere nominata, rendendo irreversibile il segreto, contrastava con gli artt. 2 e 3 della Costituzione.

Il divieto di surrogazione non è il mezzo per garantire l’interesse del nato a non subire il pregiudizio che deriva dalla rottura del legame instaurato durante la gravidanza con la donna gestante, diversa da quella che per lui assumerà il ruolo di madre effettiva.

Dalle ricerche effettuate nei paesi in cui la surrogazione non è vietata ed è regolamentata, i bambini nati da “gestazione di sostegno” non evidenziano differenze nello sviluppo emotivo, sociale e cognitivo rispetto a quelli nati da concepimento naturale o da ovodonazione.

Altra problematica è la tutela dei fondamentali diritti della donna, violata nella dignità se vincolata in una “gestazione per altri” attuata nella logica dello sfruttamento e commercializzazione del suo corpo, logica particolarmente evidente nel caso di donne più vulnerabili nei paesi in via di sviluppo e contrastante con i valori condivisi della civiltà europea.

La sentenza n. 24001/2014 della Cassazione Civile, pronunciandosi su un caso di maternità surrogata, ha ribadito la contrarietà all’ordine pubblico della surrogazione, proprio partendo dalla lesione della dignità della donna.

E’ possibile escludere dal divieto le ipotesi di maternità surrogata caratterizzate da intenti di pura solidarietà e perciò tali da escludere qualsiasi lesione della dignità della madre surrogata?

Secondo la Corte Milanese, potrebbe non realizzarsi lesione della dignità della donna se alla stessa fosse consentito, con scelta libera e responsabile, di accedere, in condizioni di consapevolezza, alla pratica “relazionale” della gestazione per altri, in un contesto regolamentato non riducibile alla logica di uno scambio commerciale e che, le garantisse un “ripensamento”, ossia la possibilità di tenere per sé e riconoscere il bambino.

Tuttavia, i profili esaminati, non sollevano dubbi di costituzionalità, considerando che il divieto può essere considerato necessario per garantire altri valori costituzionali di pari rango, a fronte dei quali sarebbe giustificata la limitazione legislativa dei diritti sopra richiamati, anche se costituzionalmente garantiti.

La rilevata questione di costituzionalità dell’art. 263 c.c.

Dopo aver giudicato irrilevanti le citate questioni, la Corte d’Appello ritiene prospettabile una possibile violazione costituzionale, quella di cui all’articolo 263 c.c. – nella parte in cui non prevede che l’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità del minore, possa essere accolta solo quando sia ritenuta dal giudice rispondente all’interesse del minore stesso.

In questo modo, non si pone al centro l’interesse del nato da maternità surrogata effettuata all’estero, secondo le leggi del paese dove quella pratica è consentita, a vedersi riconosciuto e mantenuto uno stato di filiazione quanto più rispondente alle sue esigenze di vita.

La Corte Costituzionale e la Cassazione escludono che possa esistere un conflitto tra favor minoris e favor veritatis, poiché considerano l’autenticità del rapporto di filiazione corrisponde all’interesse del minore, come inviolabile diritto alla sua identità.

Pertanto, l’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità è ispirata al “principio di ordine superiore che ogni falsa apparenza di stato deve cadere” (Corte Cost. n. 112/1997 e Cass. Civ. 7294/2005).

In una più recente ordinanza (n. 12/2012), la Corte Costituzionale ha affermato che la preminente considerazione del favor veritatis non si pone in conflitto con il favor minoris, poiché la verità biologica della procreazione costituisce un elemento essenziale dell’interesse del figlio, ossia il diritto alla propria identità e a un rapporto di filiazione vero.

Alla luce di questa interpretazione, la norma di cui all’articolo 263 c.c., che non prevede alcun riferimento all’interesse del minore, è sospettata di incostituzionalità con riferimento ai principi di tutela e protezione che la Costituzione e la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, assicurano ai minori.

La necessità di considerare sempre il concreto interesse del minore nelle vicende giudiziarie che lo riguardano, trova numerose indicazioni nelle convenzioni e regolamentazioni sovranazionali e nel percorso giurisprudenziale, europeo e interno.

Il riferimento al “superiore” interesse del minore va inteso come ricerca di una soluzione che garantisca l’effettiva attuazione, non di un interesse astratto.

La norma non consente di valutare “in concreto” l’interesse del minore a mantenere, o a perdere, l’identità relazionale e lo status di una riconosciuta filiazione materna.

Il contrasto è individuato in relazione all’art. 2 Cost., per la natura di diritto inviolabile del diritto del minore a non vedersi privato del nome, dell’identità personale e della possibilità di avere una “madre”, all’art. 30 Cost., che riconosce oltre alla genitorialità biologica, una genitorialità sociale, indipendente dal dato genetico, e all’articolo 31 che e completa il quadro delle garanzie costituzionali dei rapporti familiari e dell’infanzia.

Infine, la disposizione si prospetta in contrasto con l’art. 117 comma 1 Cost., in relazione all’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, come interpretato dalla Corte EDU, nella valutazione del diritto del minore al rispetto della sua vita privata in caso di maternità surrogata.

Proprio la Corte di Strasburgo, nella sentenza Paradiso e Campanelli contro Italia del 27 gennaio 2015, riguardante un caso di maternità surrogata caratterizzato dall’assenza di legame biologico tra i genitori intenzionali e il minore, ha ritenuto che vi fosse stata violazione dell’articolo 8, in relazione alla decisione di allontanamento del minore, estendendo la nozione di “vita familiare” tutelabile ex articolo 8, alla relazione di fatto tra i genitori d’intenzione e il minore, anche se costituita illegalmente secondo l’ordinamento nazionale.

Fonte: altalex.com

  • Aggiornato il 12 Dicembre 2016