Disabilità sensoriali

Stati Uniti: prima retina umana creata in laboratorio

Per la prima volta nella storia della ricerca scientifica è stata coltivata una retina umana in laboratorio. Si tratta di un traguardo raggiunto dai biologi americani della Johns Hopkins University di Baltimora, guidati dalla professoressa Kiara C. Eldred, e coadiuvati dallo Shiley Eye Institute dell’Università della California e dall’Istituto nazionale di salute mentale.

Lo studio, pubblicato sulla rivista “Science”, ha consentito di analizzare le varie fasi dello sviluppo delle cellule che permettono di vedere i colori. È indubbiamente un passo in avanti importante, giacché sono state gettate le basi per provare ad approntare terapie [VIDEO] atte a contrastare alcune forme di cecità ai colori (come il daltonismo) o la degenerazione maculare, una malattia che si manifesta soprattutto nella terza età.

 

La “fabbrica” della retina umana

Fino ad oggi, la Scienza si era fermata alla realizzazione di retine di topi, che sono i mammiferi più simili (per quanto riguarda il funzionamento cellulare) agli esseri umani ma che, tuttavia, non posseggono la vista a colori come gli uomini. Adesso, invece, lo studio statunitense è riuscito a riprodurre una vera e propria retina umana in laboratorio.

Questo risultato è stato raggiunto partendo da cellule staminali pluripotenti indotte che, dopo essere state trattate con una specifica terapia genica, sono regredite a staminali. In un secondo momento, queste unità morfologico-funzionali sono state indotte a svilupparsi in cellule della retina, contribuendo così a formare la base del tessuto completo [VIDEO]che, in circa 300 giorni, è diventato una retina.

Il funzionamento delle cellule che permettono di distinguere i colori

La “costruzione” di una retina umana ha permesso agli scienziati statunitensi di osservare e analizzare il funzionamento delle cellule che permettono di vedere i colori e, di conseguenza, di studiarne anche le relative problematiche. Gli studiosi, nello specifico, hanno rilevato che esistono tre tipi di fotorecettori a cono che si basano su differenti lunghezze d’onda della luce captate dai rispettivi pigmenti. Quando si verifica uno sviluppo anomalo di una di queste cellule, possono emergere delle tipologie di cecità ai colori oppure il daltonismo, che consiste nell’impossibilità di recepire alcune colorazioni. Uno degli aspetti più rilevanti di questa ricerca consiste nella scoperta di quello che è stato definito il “motore” che garantisce lo sviluppo dei fotorecettori della retina umana, ovvero l’ormone tiroideo.

Quest’ultimo, non essendo stato riprodotto in provetta come invece è accaduto per la retina umana, è stato rilevato dal tessuto stesso. La responsabile del lavoro, la professoressa Eldred, ha dichiarato che, nel momento in cui saranno più chiare le modalità con cui si sviluppano queste cellule, si comincerà ad aprire la prospettiva di poter curare le persone che “non vedono i colori o li vedono in modo alterato”.

Fonte: blastingnews.com