Disabilità sensoriali

Ciechi, abbellire il bastone per farlo accettare ai giovani

Un laboratorio per aiutare a superare gli ostacoli psicologici nella sede dell’associazione Apri in via Cellini a Torino.

Simona Valinotti ha smesso di vedere a 18 anni, poco prima della maturità. «Quando mi hanno dato quel pezzo di metallo, l’ho portato a casa e l’ho buttato sotto il letto. Era brutto, pesante e chiunque per strada si sarebbe subito accorto della mia disabilità». L’accettazione è arrivata per gradi, e lei adesso è un’educatrice di altri ciechi, e lavora con l’associazione Apri onlus, che ha fatto partire «l’atelier del bastone bianco», frequentato da una ventina di ciechi e ipovedenti.

«Personalizzare il bastone con custodie, perline, ciondoli è un modo di familiarizzare, farlo proprio – spiega la psicologa Simona Guida -. Portando il bastone anche quando si è in compagnia si recupera autonomia, non bisogna dipendere dagli altri».

C’è chi, come Roberto Turolla, 30 anni, che studia musica leggendola in braille e ha scritto dei romanzi, ha soprannominato il suo bastone Excalibur, e lo tiene in una custodia fatta di jeans. Chi, come Luisa Giromini, 77 anni, ex impiegata Olivetti, ha appiccicato sul manico le iniziali sue e del marito. Chi, come Pericle Farris, parla del bastone come di una protesi, accettarlo fa parte dell’elaborazione del lutto (della cecità). Anche Giada Battistello, che studia al liceo linguistico Europa di Chivasso, ha dato un nome al suo bastone. «Si chiama Samantha e tra le origini del nome c’è la parola fiore, per me significa rinascita, possibilità di una vita adulta e serena».

Lei, che ieri sceglieva treccine di cuoio e pendagli, il bastone l’aveva dimenticato a casa. «Non l’ho fatto apposta. Samantha e io abbiamo cominciato a diventare amiche». A ideare l’iniziativa è Marco Bongi, di Apri. «Già in un affresco di Pompei c’è un cieco con un bastone – spiega – quello attuale deriva dal dono, nel 1930, di una nobildonna parigina, a 5mila ciechi. Si era ispirata ai vigili urbani. Ora il bastone bianco è riconosciuto dal codice della strada, quasi come un cartello stradale. Ma va riconosciuto e accettato prima di tutto da noi ciechi e ipovedenti».

Fonte: lastampa.it