Simona Valinotti ha smesso di vedere a 18 anni, poco prima della maturità. «Quando mi hanno dato quel pezzo di metallo, l’ho portato a casa e l’ho buttato sotto il letto. Era brutto, pesante e chiunque per strada si sarebbe subito accorto della mia disabilità». L’accettazione è arrivata per gradi, e lei adesso è un’educatrice di altri ciechi, e lavora con l’associazione Apri onlus, che ha fatto partire «l’atelier del bastone bianco», frequentato da una ventina di ciechi e ipovedenti.
«Personalizzare il bastone con custodie, perline, ciondoli è un modo di familiarizzare, farlo proprio – spiega la psicologa Simona Guida -. Portando il bastone anche quando si è in compagnia si recupera autonomia, non bisogna dipendere dagli altri».
Lei, che ieri sceglieva treccine di cuoio e pendagli, il bastone l’aveva dimenticato a casa. «Non l’ho fatto apposta. Samantha e io abbiamo cominciato a diventare amiche». A ideare l’iniziativa è Marco Bongi, di Apri. «Già in un affresco di Pompei c’è un cieco con un bastone – spiega – quello attuale deriva dal dono, nel 1930, di una nobildonna parigina, a 5mila ciechi. Si era ispirata ai vigili urbani. Ora il bastone bianco è riconosciuto dal codice della strada, quasi come un cartello stradale. Ma va riconosciuto e accettato prima di tutto da noi ciechi e ipovedenti».
Fonte: lastampa.it