Disabilità sensoriali

Oney, che vede con il cuore

«Vedendolo ballare – scrive Claudio Arrigoni, parlando di Oney Tapia, il campione paralimpico che nei giorni scorsi ha vinto il programma TV “Ballando con le stelle” – si guardava solo quanto era bravo. Niente di più. Il fatto che fosse cieco era il dettaglio di una condizione. Ma c’era, e non era da nascondere. Entrava nel cuore. E lui stesso dice: “Vedo con il cuore, non mi servono gli occhi”». Era una di quelle belle sere che in Brasile portano alla primavera all’Engenhão, lo stadio dove abitualmente gioca il Botafogo, che lì chiamano anche “Nilton Santos”, omaggio a uno di quei calciatori grande fra i grandi. Ma niente calcio quella sera. C’erano i campioni dell’atletica della Paralimpiade a riempire l’erba e la pista. E c’era anche Oney, cinque anni soltanto di buio, giunto in Italia da Cuba per giocare a baseball prima e a rugby poi, tree climber per lavoro [“arrampicatore sugli alberi”, N.d.R.] e cieco per quel tronco libero nell’aria.
Aveva due passioni a Cuba: il ballo e lo sport. La seconda l’aveva ritrovata in Italia, prima con il torball [“calcio con palla sonora”, N.d.R.], sport tipico di chi è cieco, poi con l’atletica, pedana e lanci. Quella sera fu suo l’argento nel lancio del disco alla Paralimpiade di Rio de Janeiro. Travolgente. Finì che in diretta su RaiSport cominciò a cantare Tiziano Ferro e fece cantare chi lo vedeva in Italia.
Poi ha ritrovato anche la prima dimensione lasciata alla partenza dall’Avana per l’Europa. Ci ha pensato Milly Carlucci e l’invito a partecipare a Ballando con le stelle, dove altri due atleti paralimpici avevano già partecipato: Giusy Versace, che aveva vinto l’edizione di due anni fa e Nicole Orlando, in finale lo scorso anno.

Oney Tapia è stato la nuova grande sensazione del programma che abbina il movimento perfetto al ritmo del corpo. Lo ha fatto mostrando le abilità. Come accade nello sport. La danza le sa esaltare.
Simona Atzori, ballerina le cui braccia sono «rimaste in cielo» (nella splendida definizione che le aveva dato Candido Cannavò nel suo mai dimenticato libro E li chiamano disabili) ne è l’esempio artistico. Oney lo ha sublimato ballando senza vedere.
Per imparare i passi aveva un metodo studiato con Veera Kinnunen, la sua maestra e compagna di ballo (il marito, Stefano Oradei, lo scorso anno era stato il maestro di Nicole Orlando): «Le appoggio le mani sulle spalle, poi sul bacino e infine sui piedi. E imito».
Ha saputo sorprendere. È stato il migliore. Con una qualità straordinaria: vedendolo ballare si guardava solo quanto era bravo. Niente di più. Il fatto che fosse cieco era il dettaglio di una condizione. Ma c’era, e non era da nascondere. Entrava nel cuore.

Ha saputo sorprendere anche chi lo conosceva. Come quando lo senti dire una cosa così: «Quel giorno? Una benedizione». Allora si capisce che Oney Tapia è un campione non solo sulla pedana dell’atletica o sulla pista da ballo. Eh sì, perché il giorno al quale si riferisce è quello in cui ha perso la vista, lui, un gigante che arriva dai Caraibi, nella terra della sua seconda vita. Dove sa insegnare a guardare in maniera diversa, come sa dire lui: «Vedo con il cuore, non mi servono gli occhi».

Fonte: superando.it