Disabilità sensoriali

Arjola Dedaj: dal baseball per ciechi al sogno olimpico

Saranno 94 (56 uomini e 38 donne) gli atleti paralimpici che, dal 7 al 18 settembre, rappresenteranno l’Italia a Rio De Janeiro 2016. arjolaGli sport del programma delle Paralimpiadi sono canoa (3 italiani), cannottaggio (6), ciclismo (13), equitazione (4), nuoto (20), power lifting (1), scherma (7). tennis (3), tennistavolo (7), tiro con l’arco (8), tiro a segno (3), triathlon (3), vela (6). C’è anche naturalmente l’atletica, la Regina delle discipline olimpiche. Ha 10 posti (5 uomini e 5 donne) e molti più atleti meritevoli. I cosiddetti slot sono infatti decisi dal Comitato Internazionale Paralimpico (IPC; sulla base dei risultati dei Mondiali di Doha, della posizione nel ranking e dell’ottenimento dei minimi), non sono nominali e vengono attribuiti a ciascun Comitato Paralimpico Nazionale.

“Abbiamo l’increscioso compito di dover scegliere” ha detto il Presidente della FISPES (Federazione Italiana Sport Paralimpici e Sperimentali) Sandrino Porru alla Gazzetta dello Sport, commentando: “Sinceramente pensavo che i risultati ottenuti dai nostri atleti valessero un numero maggiore di slot”.

Tra gli atleti in attesa c’è anche Arjola Dedaj, medaglia di bronzo nel salto in lungo e nei 200 metri ai Campionati Europei Paralimpici dello scorso giugno a Grosseto nella categoria T11: atleti non vedenti. Classe 1981, Ariola ha avuto la sua prima esperienza sportiva nel baseball per ciechi. “Questa dell’attesa delle convocazioni è una fase ansiosa “confida al telefono “Sono giorni di stress”. Arjola li condivide con il suo compagno Emanuele Di Marino. Nato nel 1989 a Salerno con una malformazione congenita che prende il nome di piede torto di terzo grado con malformazione ossea, Emanuele corre nella categoria T44: atleti amputati o deficit al di sotto del ginocchio. Arjola ed Emanuele hanno condiviso la loro storia attraverso il sito Coppiadeisogni.it.

Arjola Dedaj è nata a Tirana in Albania. A 17 anni (1998) ha raggiunto la madre, che era arrivata in Italia in cerca di lavoro. “Ricordo un periodo brutto, di paura. La gente prendeva le armi. Non ho nessun rimpianto per essere emigrata”. Erano gli anni dell’ondata migratoria conseguente alla Rebelimi i vitit, una protesta popolare iniziata a febbraio 1997 e che aveva portato il primo marzo alle dimissioni del Primo Ministro Aleksander Meksi e alla dichiarazione dello Stato d’Emergenza da parte del Presidente Sali Berisha il giorno dopo. La causa della ribellione erano le perdite astronomiche (oltre il miliardo di dollari americani in un paese di appena 3 milioni di abitanti con un reddito pro capite di 80 dollari al mese) che il Governo del Partito Democratico (che aveva vinto le prime elezioni libere e guidato il Paese verso l’economia di mercato) aveva subito investendo in Fondi a Piramide, che usavano lo schema truffaldino passato alla storia con il nome dello speculatore italo americano Charles Ponzi. Il disordine scivolò in breve in una Guerra Civile, nord contro sud. Le Nazioni Unite inviarono un contingente di 7.000 uomini (Operazione Sunrise, a guida italiana) il 15 aprile. A giugno si svolsero le elezioni, che videro la vittoria del Partito Socialista e l’elezione a Presidente di Rexheo Meidani. Contestualmente, si svolse un Referendum che scelse come forma di Stato la Repubblica. Alla fine si conteranno almeno 3.500 morti.

Arjola Dedaj arrivò in Italia anche per curarsi. Era infatti stata colpita dalla retinite pigmentosa, una malattia genetica che porta a una perdita della vista graduale e progressiva. Il primo sintomo è un adattamento difficile al buio. “Da quando ho 3 anni” racconta Arjola “E’ stato necessario correggere la mia vista. Vedevo abbastanza, quindi conosco i colori, conosco le immagini. La mia vista è poi peggiorata e ora ho solo la percezione della luce e del buio”. Dedaj viene aiutata per raggiungere casa base. All’inizio del nuovo secolo la Dedaj inizia a frequentare l’Istituto Ciechi di Milano, dove conosce Francesco Cusati e Fabio Scali. “Sono stati loro a parlarmi per la prima volta del baseball per ciechi”.

Il tuo approccio com’è stato?

“Devo ammettere che mi chiedevo come fosse possibile per un cieco giocare a baseball”. Ma ti hanno convinta: “Sì, la prima volta sono scesa in campo al Saini a Milano. Sono rimasta subito molto impressionata dalla bravura degli allenatori e dall’entusiasmo degli atleti”.

E ti sei appassionata: “Il baseball per ciechi è una versione del gioco che mantiene le caratteristiche dello sport, la stessa dinamicità e lo spirito. L’atleta corre da solo, anche se cieco. Correre da soli all’inizio fa paura”.

Personalmente, quando ho visto la prima partita sono rimasto impressionato dai tuffi ripetuti dei difensori. Dev’essere molto faticoso, quasi pericoloso: “E’ pericoloso per un non vedente tanto quanto lo è per un normodotato. Io non ho mai avuto nessun timore. Certo, la possibilità di giocare dipende da quanto un cieco si sa muovere nello spazio e gli allenatori devono essere bravi a insegnare i piccoli gesti. Riuscire a giocare ti aiuta ad avere più autostima, quindi maggiore autonomia nella vita di tutti i giorni”. Parlaci più nei dettagli della tua esperienza: “Io venivo dalla danza e, come dicevo, non sono cieca dalla nascita. Chi è cieco dalla nascita ha paure diverse, anche se poi nel baseball le differenze sono cancellate dal fatto che tutti indossano una maschera, anche gli ipovedenti. La battuta resta la parte più difficile, perchè si ha paura di farsi male alla mano che regge la palla, colpendola con la mazza”. Il baseball ha portato Arjola a primeggiare a livello nazionale con i Milano Thunder’s Five, con i quali ha vinto 6 scudetti.

Poi è arrivata l’atletica: “Sì nel 2012. La mia prima società è stata la Super Abili di Abbiategrasso, sono poi passata ad H2 Dynamic Lombardia e quindi alle Fiamme Azzurre”. Con la cittadinanza italiana è arrivata anche la convocazione in nazionale e con questa i primi successi internazionali. Agli Europei di Swansea (Galles, Regno Unito) del 2014 Arjola ha vinto 2 argenti (salto in lungo e 100 metri) e un bronzo (400 metri).La stagione 2015 non è stata positiva. Un infortunio l’ha infatti costretta a un’operazione a un piede e a saltare il Mondiale. “Nel 2016, per recuperare dall’infortunio, ho dovuto rinunciare al baseball, ma mi sento ancora parte integrante dei Thunder’s Five e appena posso vado al campo quando giocano. Se mi sono ritirata dal baseball? Assolutamente no”.

Quindi, non scegli tra baseball e atletica?

“Non so scegliere, anche se è vero che ho dato più attenzione ultimamente all’atletica perchè avevo il grande obiettivo delle Olimpiadi di Rio. Ma posso praticare tutti e 2 gli sport. Anzi, fare atletica fa bene al mio rendimento come giocatrice di baseball”.

Chissà che non ci possa essere la possibilità di partecipare alle Olimpiadi nel baseball per ciechi: “Questo è un sogno. Il baseball per ciechi merita una chance olimpica, perchè è uno sport di grande spessore, crea energia di gruppo e condivisione”.

L’Italia sta addirittura cercando di esportare il suo modello in America: “Sono in contatto con i 2 ragazzi che sono stati negli USA” Matteo Briglia e Ada Nardin, n.d.a. “Mi dicono che gli americani sono inevitabilmente scettici, ma sono sicura che riusciranno a entusiasmarli. Chi semina raccoglie…”.

Come accennato, Arjola è arrivata in Italia come immigrata albanese. Leggo su Abilitychannel.tv che ha fatto il viaggio su un gommone, assieme al padre e al fratello: “Ero terrorizzata, perchè io non so nuotare. Il mio terrore era Dio, se cado in acqua è finita. E faceva molto freddo, perchè era dicembre. Però riuscivo a vedere ancora un po’ e il mare era calmo, tranquillissimo e poi vedevo tante stelle, le vedevo in maniera un po’ circolare, come se fosse una spirale verso l’alto…”

In Italia è stato facile?

“Io ho trovato tante persone che non fanno di tutta erba un fascio. Certo, ci sono anche persone prevenute verso gli albanesi. Io devo ringraziare l’Italia, perchè qui anche nella mia condizione di disabile ho potuto esprimermi. Penso che in Albania sarebbe stato tutto più difficile”.

Dopo 15 anni ad Abbiategrasso, ora vivi a Milano con Emanuele, il tuo compagno: “L’Allianz ha creato un progetto, un programma per i non vedenti, nel quale sono state inserite 10 persone non vedenti che lavorano in totale sinergia con i vedenti e con i 2 programmi che si interfacciano alla perfezione. E’ un ottimo passo per l’integrazione, un’apertura delle porte del lavoro anche per le persone che hanno problemi di vista. E’ soprattutto importante perchè l’iniziativa viene da un’azienda privata e non è facile che succeda”.

Una domanda per salutarci: la tua, la racconteresti come una storia di riscatto?

“Un cieco non è un eroe, deve confrontarsi con gli altri. Io mi sento uguale agli altri. Anche perchè chi è non vedente non deve assolutamente vergognarsi della sua condizione”. Non a caso, nello sport paralimpico si ottengono ormai risultati di valore assoluto: “Non è da molto che gli atleti paralimpici sono messi in condizione di allenarsi in modo professionale come i normodotati. E’ importante che siano investite risorse e che lo sport paralimpico non sia più considerato un’attività secondaria”.

Fonte: fibs.it