Gaia Rizzi è diventata cieca quando aveva 15 anni, ma non si è data per vinta. Atleta paralimpica, ora sogna di fare l’interprete al Parlamento europeo.
La voce che le è più familiare è quella del sintetizzatore vocale. Quel programma che in questi anni le ha permesso di leggere, scrivere, consegnare compiti in classe e sostenere l’esame di maturità linguistica nonostante la totale assenza della vista.
Gaia Rizzi, 19 anni, è una dei sei ragazzi diversamente abili che si sono appena diplomati al liceo Virgilio di Milano. Le tre prove le ha svolte con il computer, digitando velocissima sulla tastiera che conosce a memoria con accanto un’insegnante di sostegno che le leggeva i quesiti.
Tema su Umberto Eco, compito di inglese sul calo demografico in Europa, tesina sulla diversità: «Ho preso spunto dalla mia situazione, evitando però di parlare di me. Ho collegato Rosso Malpelo a Baudelaire, il Dna alla Gabbianella e il gatto di Sepulveda». Voto finale: 71 centesimi. «A dire la verità speravo in tre-quattro punti in più, ma sono comunque soddisfatta. Mi dico brava da sola per questi cinque anni di fatica», racconta Gaia, completamente cieca dall’età di 15 anni e nonostante questo futura studentessa di Lingue e relazioni internazionali all’università Cattolica e campionessa italiana di 60 e 200 metri piani nella categoria «Non vedenti» della Fispes, la Federazione italiana sport paralimpici e sperimentali. Quest’anno ha mancato le qualificazioni agli Europei per un soffio, spera di riuscirci l’anno prossimo.
La cecità
Fino ai 14 anni Gaia ci vedeva ancora, anche se pochissimo: la malformazione del bulbo oculare con cui è nata lasciava passare qualche spiraglio di luce dall’occhio destro. Lei su questo spiraglio aveva costruito la sua vita quasi normale: leggeva e scriveva da sola con l’aiuto di occhiali speciali, andava in giro da sola, faceva le stesse cose dei suoi coetanei.
Poi, durante il primo anno di liceo, la retina si è distaccata. Le operazioni in Francia e in Svizzera non sono servite a nulla: a partire dall’inizio della seconda superiore il mondo di Gaia era diventato completamente buio. «Un trauma per lei, esattamente come se una persona normovedente perdesse all’improvviso la vista», spiega papà Stefano. Ma Gaia, insieme alla famiglia che le ha fatto quadrato intorno, non si è persa d’animo: ha cominciato a usare il computer dotato di sintesi vocale sia a scuola (fornito dal liceo) che a casa (comprato dai genitori). Per tre ore ogni pomeriggio ha ripassato i programmi scolastici con l’aiuto di due tutor privati e di un’assistente alla comunicazione messa a disposizione dalla Provincia, e ha anche iniziato a studiare il Braille. In classe era seguita dalle insegnanti di sostegno e poi c’era il sintetizzatore, quella voce metallica che le leggeva le domande dei compiti e degli esercizi, a cui lei rispondeva scrivendo a menadito sulla tastiera.
I sogni per il futuro
Anche Gaia lascia la scuola con un po’ di amarezza: «La mia non era una classe brillantissima in termini di inclusione. Non ho subito alcun episodio di bullismo, per carità, ma diciamo che lì non mi sono fatta più di due o tre amici. Il mio mondo è nello sport e nell’associazione Ageranvi (Genitori ragazzi non vedenti), con cui parto tra qualche giorno per una vacanza studio a Malta.
Però tre insegnanti, quelle sì, me le porterò nel cuore: sono arrivate nell’ultimo anno e hanno saputo capire la fatica che ho fatto negli ultimi cinque». La preside del Virgilio Giuseppina Francavilla assicura che tutti i docenti si sono dedicati a Gaia: «Un’alunna bravissima, a cui ci siamo affezionati molto». Ma adesso non è più tempo di guardare indietro.
Gaia sogna un futuro da interprete parlamentare in Europa: «Mi piacciono le lingue e la politica. Studierò inglese, francese e relazioni internazionali. E poi devo imparare a muovermi da sola, con il bastone. Accanto alle lezioni all’università, insomma, devo fare quelle di autonomia».
Fonte: corriere.it