Disabilità sensoriali

Perdita dell’udito e stress ossidativo

Oltre all’età e alla sovraesposizione al rumore forte, secondo alcuni studi, ancora da confermare e chiarire, la perdita dell’udito sarebbe legata anche allo stress ossidativo; ossidativocapire se terapie antiossidanti in soggetti a rischio riescano a impedire o rallentare l’insorgenza del problema sarà la scommessa dei prossimi anni

L’udito è il senso che ci consente, attraverso la captazione dei suoni, di poter interagire col mondo che ci circonda. Una perdita uditiva può avere un forte impatto sulla nostra vita perché può condurre all’isolamento sociale, condizionandoci mentalmente e fisicamente. Potrebbe infatti risentirne la nostra interazione con amici e familiari, aumentando il nostro livello di solitudine, senza considerare che, una vita in cui percepiamo con meno intensità i suoni provenienti dalla natura è certamente un vita meno ricca da un punto di vista emozionale.

Le cause più comuni di perdita uditiva sono l’età e la sovraesposizione al rumore forte, anche se una riduzione/perdita dell’udito può subentrare in seguito ad infezioni, perforazione del timpano, farmaci ototossici, lesioni della testa. La relazione tra l’avanzamento dell’età e la perdita dell’udito è oggetto di studio da molti anni. È noto che l’invecchiamento causa in generale un deterioramento di numerose facoltà dell’individuo. Basti pensare alle capacità cognitive come la memoria, ad esempio, a cui si aggiungono problemi che riguardano i sensi, inclusi la vista e l’udito. Nella teoria generale dell’invecchiamento viene postulato che, nel corso degli anni, l’accumulo dei radicali liberi in seguito a stress ossidativo produca in maniera cronica danni alle cellule, alterandone le funzioni. Per ciò che riguarda la perdita dell’udito ci sono evidenze scientifiche che possa essere coinvolto lo stress ossidativo, ma molti meccanismi restano oscuri.

Recentemente sulla rivista scientifica Cell è stato pubblicato un articolo molto importante che fa luce sul ruolo della proteina Pejvakin, la cui deficienza sembrerebbe compromettere la capacità delle cellule dell’orecchio interno di rispondere allo stress ossidativo causato dal rumore, rendendole vulnerabili ai danni. I risultati di questo studio presentano un nuovo meccanismo per la causa ambientale più comune di perdita dell’udito, cioè le lesioni da rumore. I dati sui modelli murini hanno infatti dimostrato che i topi che non esprimono la proteina Pejvakin sono estremamente vulnerabili al suono fino alla sordità. Il nesso con lo stress ossidativo sembra legato alla ridotta attività dei perossisomi, organelli importanti nel contenimento della formazione dei radicali liberi. Topi normali esposti al rumore si sono dimostrati invece capaci di incrementare i livelli della proteina Pejvakin in parallelo ad un aumento dell’attività perossisomiale, riuscendo in tal modo a “gestire” il danno ossidativo indotto dal suono.

In letteratura sono, tra l’altro, descritte mutazioni del gene che codifica per Pejvakin, che comportano una grande varietà di problemi di udito, da piccoli difetti fino alla totale sordità. Si tratta di mutazioni ritrovate più frequentemente in popolazioni della Turchia e dell’Iran anche se al momento non sono noti i motivi di tale preferenziale diffusione.

Uno studio precedente aveva messo in relazione i livelli della proteina mitocondriale Bak, lo stress ossidativo e la perdita dell’udito. In particolare, partendo dal fatto che Bak induce morte cellulare in risposta allo stress ossidativo, alcuni ricercatori hanno scoperto che in assenza della proteina Bak veniva impedita la perdita dell’udito in relazione all’età. Esperimenti nei topi hanno infatti chiarito che Bak, in risposta allo stress ossidativo, induce la morte delle cellule cocleari dell’orecchio, causando in tal modo problemi di udito.

Tutti questi studi necessitano di ulteriori conferme e chiarimenti per riuscire a tracciare un quadro chiaro delle alterazioni molecolari che subentrano in quel lento processo che, all’aumentare dell’età, rende le persone sempre più suscettibili ai suoni e più propense a sviluppare problemi di udito. La scommessa dei prossimi anni sarà comprendere se è possibile proporre terapie antiossidanti in soggetti a rischio per impedire o rallentare l’insorgenza della perdita dell’udito. Questi studi potrebbero inoltre rivoluzionare anche la costruzione degli apparecchi acustici. Nei pazienti con mutazioni del gene che codifica per Pejvakin, ad esempio, in cui la riduzione della proteina determina ipersuscettibilità ai suoni, gli apparecchi che amplificano il suono potrebbero essere addirittura dannosi e controproducenti.

Ricerca clinica e tecnologica dovranno, dunque, collaborare e interfacciarsi di continuo per garantire una migliore qualità di vita ai soggetti con problemi uditivi, gettando magari le basi per una vera e propria soluzione ai casi di sordità.

Fonte: lavocedinewyork.com

(s.c./s.f.)