Disabilità sensoriali

Giorgio Lupano: «Chi mi aspetta a casa»

Parlare a segni, dimenticare le parole. Figli di un Dio minore è il primo allestimento teatrale italiano dal copione di Mark Medoff, diventato nel 1986 il film dai tanti premi di Randa Hainez (primo Oscar lupanodella storia a un’attrice sorda). Lo spettacolo, del regista Marco Mattolini, è anche il primo nel nostro Paese per un pubblico integrato: udenti e sordi.

La protagonista femminile è l’attrice sorda Rita Mazza, quello maschile Giorgio Lupano, 46 anni, torinese e aria da bravo ragazzo che anche alla fine non viene smentita. Per lui lo spettacolo – che ha debuttato quest’estate al festival di Borgio Verezzi e sarà alla Sala Umberto di Roma in scena dal 10 al 22 novembre poi in giro per l’Italia – è l’occasione di una vita. «Appena l’ho letto», rivela, «me ne sono innamorato».

Come si è preparato a entrare nei panni di James (l’insegnante di logopedia che si avvicina a Sarah, sorda dalla nascita, ndr)?
«Ho studiato molto. Ci siamo rivolti all’Ente Nazionale Sordi di Roma e con loro ho intrapreso un viaggio emozionante dentro la cultura sorda».

La conosceva già?
«Assolutamente no, partivo da zero. Ho cominciato intanto smentendo lo stereotipo più diffuso: “Non si chiamano sordomuti!”. E in 14 mesi sono riuscito ad apprendere i principi base per comunicare con loro».

Una grandissima sfida?
«Sì, trasferire tutto sul palco è stato molto difficile, ho dovuto apprendere un modo di pensare completamente diverso, usando solo la forza del teatro. E a livello emotivo è stato ancora più complesso».

Secondo lei, le emozioni possono compensare?
«Le parole spesso sono superflue. Nello spettacolo di base c’è appunto una storia d’amore, ma qui a differenza del film non c’è il lieto fine. Alla fine penso sia più importante il tentativo di capirsi, di avvicinarsi, che il risultato».

Cos’ha imparato da questa esperienza?
«Che spesso non ci  “concediamo” molto come persone, potremmo imparare tanto da chi ci sta intorno, ma non gli diamo peso. Grazie a quest’opera ho intrapreso un percorso di ricerca che mi ha dato molto. Ho scoperto un nuovo modo di “sentire” i silenzi, gli sguardi, le emozioni».

Ha sempre voluto fare l’attore?
«Sì, fin da bambino, quando ho scoperto la meraviglia di andare a teatro».

E oggi alterna il teatro impegnato alle fiction in tv (una su tutte, Paura d’amare, ndr).
«È sbagliato considerare tv e teatro compartimenti stagni. Il lavoro è lo stesso: raccontare una storia e trovare qualcuno disposto ad ascoltarla. La tv mi ha dato l’essere riconoscibile, e oggi dico: “Ben venga!”. Oggi a teatro la gente la porti con la televisione».

La tv le ha dato anche la definizione di sex symbol?
«(Ride, ndr). Penso di essere altro, per il semplice motivo che quelli li vedi sui calendari e a me non l’hanno mai chiesto. Al corpo, però, ci tengo. Non bisogna essere necessariamente dei bellissimi per prendersi cura della propria persona. Il corpo è lo strumento di un attore».

Come si sente “nell’altra metà” dei 40?
«Non sono mai stato così bene, non temo il tempo che passa. Anzi magari fossero arrivati prima. Oggi mi guardo e mi vedo bene così».

L’ansia di diventare padre le appartiene?
«No, non credo. In quel caso lo sarei già diventato. Mi piace invece continuare a immaginarmi attore».

Lei tende a non svelare la sua vita privata. È una conseguenza dell’essere piemontese?
«Sì (ride di nuovo, ndr), fa parte del mio carattere. Sono di mio molto riservato e poi quando vado al cinema e vedo recitare attori dei quali conosco tutti i dettagli del privato mi sembra siano meno credibili. Io preferisco lasciare un po’ di mistero e non dire se c’è chi mi aspetta a casa».

I social, quindi, non fanno per lei?
«Diciamo che non ho un buon rapporto, vado a tentativi. Ho Twitter ma quando mi viene voglia di scrivere qualcosa, il tempo che arrivo al pc mi è già passata. E poi sento sempre in sottofondo una voce che mi sussurra “Chissenefrega”.  Per esempio quando penso di condividere “Sto mangiando una bella matriciana”, oppure “Oggi è una bella giornata”. Capita solo a me?».

Fonte: vanityfair.it