Disabilità sensoriali

Con la mia voce abbatto i muri del silenzio

Ai bimbi sordi viene impiantato un orecchio bionico, poi Ilaria li educa all’uso dei suoni

In 25 anni di carriera a Ilaria Patelli, logopedista al Papa Giovanni XXIII, è capitato pure di dover imparare lo spagnolo. È stato per Fabricio, ragazzino di 7 anni atterrato a Bergamo dalla Bolivia, grazie all’associazione Kantutita, che dal 1990 dà sostegno ai genitori adottivi. È nato albino, Fabricio, e probabilmente questa è la ragione della sua sordità. Pardon, «era» la ragione, perché il piccolo, che è ormai tornato sulle Ande, ha lasciato l’ospedale rispondendo perfettamente all’arrivederci della sua dottoressa. Hasta la vista, Ilaria. Forse la parlata non sarà spedita, ma l’udito adesso è vispo e il bambino e la sua famiglia possono aspirare a una vita normale. Potere dell’orecchio bionico. Impianto cocleare, si dice in termini scientifici. «Le sordità profonde – spiega Giovanni Danesi, direttore responsabile dell’Unità operativa di Otorinolaringoiatria e Microchirurgia della base cranica – sono determinate da un deterioramento delle cellule sensoriali della coclea, che trasmettono al nervo acustico gli stimoli per riconoscere i suoni».

Sordità profonda significa comprensione zero. Può essere congenita, dovuta a complicazioni durante il parto, oppure provocata da problemi post natali: malattie virali dell’infanzia, malattie infettive come la meningite, traumi cranici. In certi casi, da trapianti e dialisi. Sui neonati sani, l’incidenza è di un sordo ogni mille, ragion per cui a Bergamo si calcola una media di 4 casi all’anno (i parti sono circa 4.500), ai quali si aggiunge la patologia neonatale. In situazioni già complesse, come è stato per Fabricio, l’incidenza sale. «Negli anni Sessanta – prosegue Danesi – è stato inventato un sistema di stimolazione diretta che bypassa la coclea, cioè l’organo malato. L’impianto stimola direttamente i neuroni del nervo acustico. Le parole, che sono percepite attraverso un ricevitore, subiscono una prima stimolazione esterna, poi una seconda elaborazione nel processore che viene impiantato e quindi vengono trasmesse al nervo sotto forma di impulsi elettrici. Dal nervo passano all’area corticale, quindi al cervello». In poche parole, «la sordità è una malattia finita – sintetizza il medico -, l’impianto cocleare effettivamente è il primo tentativo riuscito di realtà sensoriale artificiale».

Questo genere di intervento non è una novità e in Lombardia è eseguito in altri quattro centri: Legnano, Milano, Varese e Brescia. A Bergamo, la differenza la fanno le lancette. «La velocità è fondamentale», sottolinea il primario. Sia per quanto riguarda l’operazione, che può chiudersi in mezz’ora (altrove si raggiungono le 4 ore). Sia, e soprattutto, nel momento della diagnosi e della riabilitazione. L’esperta in materia è Patelli. Si passa da lei per ritrovare la parola. Ha assistito persone incapaci di udire fino ai 25 anni. Un record. Perché, ovviamente, più si aspetta, più la ripresa è faticosa. Bisogna abituare il cervello, prima del linguaggio. Nei neonati si ritiene che l’ideale sia intervenire intorno all’anno. Prima non fa differenza. «Ci si può aspettare un’evoluzione quasi spontanea del linguaggio a quell’età e questo abbatte mostruosamente i tempi di ripresa», osserva la dottoressa. Spesso sono i pediatri a sottovalutare i segnali. Il bimbo non risponde, sbatte la porta, non si sveglia. Normalmente la riabilitazione uditiva si completa in sei, massimo otto mesi. Significa essere in grado di distinguere al 100 per 100 i suoni anche in ambiente rumoroso. Poi, si pensa al linguaggio. «Essere veloci – precisa Patelli – è utile anche per accogliere più pazienti possibili». Nell’equipe di Bergamo ogni figura è unica.

Fabricio. «Con lui si è posto il problema di come comunicare. Siccome il bambino dimostrava di ricordare qualche parola in spagnolo, abbiamo scelto la sua lingua e appena acceso l’impianto ha subito tirato fuori la voce». Se ne è andato che sapeva ripetere, «senza un linguaggio strutturato, ma ciò che importa è che capisca e che sappia farsi capire. Che non resti isolato dagli altri». Patelli racconta lo straordinario della sua missione. Fatica a scegliere fra le storie. Le torna in mente quel bambino bergamasco colpito da meningite e precipitato nel silenzio a 8 mesi. «È stata davvero un’esperienza toccante. La sordità è stata valutata un anno dopo la malattia, quando aveva quasi 2 anni. La famiglia non si era resa conto. Quando è arrivato da noi, il bimbo era assolutamente ingovernabile, viveva in uno stato di disperazione». Poi, il 4 aprile 2014, accendono il suo nuovo orecchio bionico. «Due settimane dopo, ha iniziato a parlare. Non essendo un sordo congenito, il suo cervello, anche se per pochi mesi, aveva già udito. “Senti”, ci ripete oggi, a ogni parola, col ditino puntato».

 

Fonte: bergamo.corriere.it

(c.p.)