Disabilità sensoriali

Il test neonatale per sentire (e parlare) senza limitazioni

L’esame delle otoemissioni acustiche permette un intervento molto precoce. Non esistono norme che rendano obbligatoria questa indagine in tutto il Paese. Mai cantare vittoria. Tre anni fa sembrava che lo screening uditivo dei neonati si sarebbe finalmente diffuso a macchia d’olio in tutto il Paese. Invece

dopo l’entusiasmante salto in avanti registrato nel 2011 rispetto al 2008 (80% contro il 60,2%), la media in percentuale dei bambini sottoposti all’esame è rimasta di fatto immutata. «Le Regioni sostanzialmente si sono comportate bene – spiega Luciano Bubbico, referente dell’Osservatorio Disabilità del Dipartimento di Scienze biomediche ISFOL-Istituto Italiano di Medicina Sociale -, ma un blocco di tipo burocratico e amministrativo, di cui sono responsabili le Asl, sta provocando ritardi nell’acquisto dei macchinari per l’esame audiologico. E se manca l’apparecchio, il programma di screening non può partire. Ci sono poi situazioni paradossali: in alcune realtà del Sud, ad esempio, gli apparecchi sono stati acquistati, si sono rotti, ma la ditta è fallita e non c’è possibilità di fare la manutenzione». Lo screening audiologico universale, entro i primi 3 o 4 mesi di vita, è la soluzione per scoprire subito i problemi di sordità di un bambino e di intervenire in una fase precoce. In assenza di visite specialistiche la sordità infantile viene scoperta intorno ai 2-3 anni di vita, rischiando di compromettere le capacità sociali, linguistiche, cognitive del bambino.

«Credo non ci siano dubbi sul fatto che l’acquisizione del linguaggio dipenda da una normale funzione uditiva – sottolinea Alessandro Martini, direttore del reparto di Otochirurgia dell’Azienda ospedaliera Università di Padova -. Quindi se una famiglia desidera che il figlio abbia uno sviluppo normale del linguaggio, il presupposto è che lui abbia un udito normale. Da qui l’importanza di uno screening precoce: serve a identificare non solo le sordità profonde ma anche quelle gravi e medio gravi che, se non riconosciute subito e corrette con l’utilizzo delle protesi, procurano ai bambini problemi scolastici importanti». Il test di primo livello ha costi molto contenuti (un apparecchio per l’esame delle otoemissioni acustiche costa 5 mila euro) e garantisce al bambino e alla sua famiglia una vita normale, oltre a risparmi notevoli per la collettività. Si stima che un bambino sottoposto a diagnosi in ritardo e destinato quindi al sordomutismo, abbia un costo sociale di 750 mila euro nell’arco della vita, contro i 17 mila di un bimbo che invece la diagnosi l’ha ottenuta in tempo. Il punto è che non esistono ancora norme che rendano obbligatorio lo screening in tutto il Paese. In passato, si è tentato di inserirlo nei Livelli essenziali di assistenza. E nel Piano sanitario nazionale 2011-2013 «l’estensione dello screening audiologico neonatale della sordità congenita per raggiungere almeno il 90% dei neonati» viene indicata come una delle priorità del percorso nascita. Ma tocca poi alle Regioni agire. Di fatto solo in dodici hanno adottato una normativa apposita sullo screening. Si sperava di aggirare l’ostacolo attraverso l’adozione delle Linee guida nazionali pubblicate dal Ministero della Salute nel 2011. Il provvedimento è all’esame della Conferenza Stato-Regioni da oltre un anno e non se ne è saputo più nulla.

Sarebbe già un buon punto di partenza, sempre che le Regioni decidano poi di conformarsi. Perché occorre un ulteriore sforzo: individuare i Centri audiologici di secondo e terzo livello per la conferma della diagnosi e l’eventuale impianto cocleare. A febbraio si è provato senza successo a far passare lo screening audiologico con la legge di Stabilità 2014 che prevede la sperimentazione dello screening neonatale per la diagnosi precoce di patologie metaboliche con uno stanziamento di 5 milioni di euro. Ad aprire uno spiraglio potrebbe contribuire il Report appena pubblicato dall’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas, investita anche del ruolo di Centro di coordinamento sugli screening neonatali) sulla «Valutazione del costo-efficacia di un programma di screening audiologico neonatale universale nazionale» finanziato dal Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie (CCM) con 600 mila euro. Le conclusioni? «Sicuramente lo screening universale è fattibile e va fatto – sintetizza Marina Cerbo, responsabile scientifico del progetto – . Il danno che deriva dal non poterne usufruire non è solo fisico, ma è un danno sociale vero e proprio». Lo stanziamento non ha mancato di suscitare perplessità tra gli addetti ai lavori, alcuni dei quali rilevano come il Report fotografi una realtà ampiamente superata ( i dati sono del 2010) e non porti alcuna novità rispetto a quanto già si sapeva. «Si tratta comunque di un lavoro importante – ribadisce Alessandro Martini – . Spero che venga preso in considerazione a livello ministeriale per superare la situazione di stallo».

 

Fonte: corriere.it

(s.f./c.p.)