«Come tanti altri cittadini italiani non udenti – scrive Boccacci – sono relegato in una sorta di “ghetto televisivo”, in quanto posso usufruire di un numero limitatissimo di canali che, nel caso della RAI, sono solo i prime tre, su un totale di ben quindici, poiché sono gli unici per i quali si prevedono programmi sottotitolati per non udenti. Si tratta a mio parere di un fatto che lascia allibiti, ovvero che proprio dopo l’avvento del digitale terrestre, nel pieno di un continuo sviluppo tecnologico e con tanto di “tasto rosso” multimediale (ampiamente sponsorizzato con pubblicità fatta ad hoc), i nuovi canali RAI – dei quali alcuni provvisti di Televideo – non prevedano programmi sottotitolati! Chissà quanti altri cittadini italiani, che pagano il canone, si trovano esclusi come me da notizie, telefilm, sport, documentari ecc. Ed è anche grottesco che ad esempio tutta la programmazione di RAI Premium, fatta di programmi passati in precedenza nelle prime tre reti con la sottotitolazione, non venga trasmessa con le tracce già disponibili».
«Tutto ciò accade – sottolinea poi Boccacci – mentre da decenni in altri Paesi europei esiste una maggiore attenzione nei confronti delle persone non udenti e nel caso della BBC, in Gran Bretagna, si arriva addirittura a sottotitolare l’80% della programmazione, senza parlare degli Stati Uniti, dove pure la pubblicità è sottotitolata!».
Una denuncia che naturalmente facciamo del tutto nostra, su una questione che merita quanto meno chiare spiegazioni e che continueremo a seguire, fino a quando non si otterrà qualche positivo risultato.
Solo le prime tre reti della RAI prevedono la sottotitolazione, le altre (RAI 4, RAI 5, RAI Premium, RAI Movie ecc.) invece no
Vorrei aderire all’appello lanciato su queste stesse pagine da Walter Berardo [“A Laura Boldrini, da un nonno con tante speranze”, N.d.R.], diretto al presidente della Camera Laura Boldrini, messaggio che condivido appieno, ritenendo che si debbano rispettare i diritti di tutti.
Sono diventata sorda all’età di 21 anni, e sono stata tra i primi pazienti sottoposti all’intervento di impianto cocleare all’Ospedale Le Molinette di Torino. Quando sono diventata sorda (nel 1991), l’impianto cocleare era ancora una cosa pressoché sconosciuta nel nostro Paese e in quel momento ho dovuto scegliere se sperimentare (perché di questo si trattava all’epoca) questo nuovo tipo di tecnologia per poter tornare a sentire – senza però sapere quanto avrei potuto sentire – oppure se avrei dovuto imparare il linguaggio dei segni.
Scelsi la prima opzione, tornando a sentire quasi come un udente, ma è proprio sul “quasi” che ritengo vengano lesi i miei diritti, quando cioè si caldeggia l’insegnamento della Lingua Italiana dei Segni, ma non ci si preoccupa, invece, di utilizzare nuove tecnologie, come ad esempio l’induzione magnetica negli uffici pubblici, per far capire ciò che viene detto dall’impiegato o dal personale medico negli ospedali. O ancora, da parte della RAI, dove si sottotitolano soltanto i programmi delle prime tre reti, senza pensare che il canone viene pagato anche per poter vedere tutte le altre, dove ovviamente non viene sottotitolato alcunché.
Per questo ritengo che ciò che ha scritto Walter Berardo alla Presidente della Camera sia giusto. Non mi sognerei mai, infatti, di negare la possibilità ad un’altre persona di imparare la LIS e con questa comunicare, ma, ritengo che sia altrettanto corretto che nessuno neghi a un altro sordo (che ci sia nato oppure no) di scegliere per se stesso la soluzione ritenuta più adeguata, senza che gli vengano negati gli aiuti che la scienza può mettergli a disposizione, per rendere la sua vita più agevole.