Disabilità sensoriali

Carlotta, la ballerina non udente del kibbutz

Carlotta PiubelVent’anni, veronese, vive in un villaggio nel nord della Galilea. È stata scelta nella compagnia diretta da Rami Beer e ha partecipato anche a spettacoli a New York

«Qui sono felice perché il mio problema non esiste e sono trattata per quello che valgo, non perché non sento come gli altri». Ce lo confida la ballerina veronese non udente Carlotta Piubel, apprendista nella Kibbutz Contemporary Dance Company (Kcdc), compagnia di fama mondiale. Da un anno la ragazza, che ha da poco compiuto 20 anni ed è professionista e «sente» la musica dalle vibrazioni oltre che con una protesi acustica, vive nel nord Galilea, in un kibbutz, ossia uno dei tanti villaggi-comunità di Israele nei quali si svolge una forma di lavoro volontario associativo, basato su regole di uguaglianza e sul concetto di proprietà in comune.

«Il nostro si chiama Kibbutzga’aton e si trova a 15 minuti dalla città di Naharyya, situata in una zona collinare verdeggiante dove respirare a pieni polmoni aiuta a danzare. Io lo faccio sempre, quando corro la mattina alle 6 per tenere in allenamento corpo e mente», spiega la ballerina che parla inglese, francese, spagnolo, studia ebraico e sta seguendo il Masa, un programma di studio intensivo per crescere nella disciplina della danza, della durata di cinque mesi, appunto nella Kcdc fondata dalla coreografa Jeudith Arnon.

«Nel nostro gruppo, diretto da Rami Beer, siamo trenta giovani ballerini, dai 18 ai 30 anni, provenienti da tutto il mondo. Noi italiane siamo in cinque», prosegue Cralotta che ha ricevuto inoltre una borsa di studio per accedere al Masa 2° livello. «La danza è la mia vita e spero di poter rimanere fissa in questa compagnia con la quale ho fatto giù spettacoli, anche a New York. Tra questa gente sto bene con me stessa. Mi sento a casa e ho saputo che sono stata notata da Mika Webber, la direttrice artistica del Masa Program che già nelle selezioni del luglio scorso, su quattrocento ballerini, ci ha scelti in dieci. Qui viviamo tutti insieme, c’è l’unione che nasce dalla quotidianità. Nonostante ci sia inevitabile competizione sono benvoluta, rispettata, mai umiliata perché sento a modo mio, ma occorre comunque essere autosufficienti, anche nel mangiare. Ci si sveglia presto e si lavoro sodo, fino alle 20,30. Quando rientro a volte non ho più forze, le gambe mi cedono, le braccia mi cadono, ma la sensazione di pienezza e di libertà che la danza infonde è immensa. Ed è per questo che ballo, alla pari con gli altri».

 

Fonte: sordionline.com

(c.p.)