Organo pubblico di consulenza del Parlamento e del Governo sulle materie economiche e del lavoro, previsto dalla nostra Costituzione, il CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro) contribuisce all’elaborazione della legislazione economica, sociale e del lavoro. Tra i rappresentanti del Consiglio Nazionale del Terzo Settore nel CNEL stesso, come avevamo anticipato già qualche tempo fa e che sono stati ufficialmente designati in questi giorni, vi è anche Vincenzo Falabella, presidente della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), insieme a Domenico Pantaleo, presidente dell’Auser, Emilio Minunzio, vicepresidente dell’ASI (Associazioni Sportive Sociali Italiane), Bruno Molea, presidente della FICTUS (Federazione Italiana degli Enti Culturali, Turistici e Sportivi), Marco Tamagnini del MODAVI (Movimento delle Associazioni di Volontariato Italiane) e Rosario Maria Gianluca Valastro, presidente della CRI (Croce Rossa Italiana).
Abbiamo posto alcune domande a Falabella.
Quale sarà esattamente il suo ruolo nel CNEL?
«Come espressamente riportato dall’articolo 99 della Costituzione, alla sezione degli Organi ausiliari, “il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro è composto, nei modi stabiliti dalla legge, di esperti e di rappresentanti delle categorie produttive, in misura che tenga conto della loro importanza numerica e qualitativa. È organo di consulenza delle Camere e del Governo per le materie e secondo le funzioni che gli sono attribuite dalla legge. Ha l’iniziativa legislativa – come da articolo 71, comma 1 della stessa Costituzione – e può contribuire alla elaborazione della legislazione economica e sociale secondo i principi ed entro i limiti stabiliti dalla legge”.
Il mio ruolo sarà svolto nel rispetto del suddetto richiamo costituzionale e nell’ottica di riportare all’interno del confronto un richiamo ai temi, i princìpi e gli ideali che hanno ispirato da sempre il mondo del Terzo Settore nella sua più ampia trasversalità, con l’unico fine di cercare di colmare sempre più il divario esistente tra i bisogni dei cittadini e i servizi oggi esistenti. Per fare questo serve segnatamente una maggiore collaborazione tra la Pubblica Amministrazione e il Terzo Settore, in quanto la sfida della Pubblica Amministrazione non può essere solo quella riguardante la fornitura di beni e servizi per la collettività, ma anche quella della costruzione di un valore collettivo.
In questa nuova visione le organizzazioni del privato sociale non devono essere viste come competitor, ma come complementari. Il Terzo Settore, infatti, rappresenta la terza via nell’economia moderna: è stato dimostrato in modo chiaro durante la pandemia e verrà dimostrato anche in questa nuova fase di rinascita e rilancio del nostro Paese, dove dobbiamo necessariamente scrivere un nuovo sistema di welfare di tipo collaborativo. In tal senso, la co-programmazione e la co-progettazione dovranno esseri gli strumenti necessari all’innovazione di un nuovo sistema di inclusione e di riconoscimento dei diritti per ogni cittadino e cittadina».
In quale modo pensa di poter portare nel CNEL le istanze provenienti dal mondo della disabilità?
«Va purtroppo constatato che il tema della disabilità è stato da sempre poco attenzionato dalle Istituzioni. In questi ultimi anni, tuttavia, vi è stato un cambio di passo e poter trattare questi temi all’interno di un organismo come il CNEL, temi che riguardano circa 12 milioni di persone nel nostro Paese, mi riempie di orgoglio e di grande responsabilità.
Temi fondamentali come quelli del lavoro, della formazione, di un’economia intesa nel senso di adeguati investimenti per le persone con disabilità vanno affrontati al meglio, per evitare ancora una volta che la nostra società non si apra al riconoscimento della persona e continui a creare stigmi e pregiudizi.
Nello specifico del lavoro, anche i dati più recenti, purtroppo, parlano chiaro e continuano ad essere sconfortanti. A livello europeo, ad esempio, l’EDF, il Forum Europeo sulla Disabilità, ha recentemente presentato un suo rapporto, che evidenzia ancora una volta il persistente divario nell’accesso a un’occupazione di qualità per le persone con disabilità. E l’Italia non si discosta a quanto registrato in genere per gli altri Paesi dell’Unione Europea, presentando addirittura dati ancor più sconfortanti per quanto concerne le donne con disabilità.
In questa fase, quindi, ritengo quanto mai necessaria una riforma sostanziale della Legge 68/99 (Norme per il diritto al lavoro dei disabili), che quando venne approvata costituì per altro un reale punto di svolta. Ventiquattro anni dopo, tuttavia, credo ci si debba muovere riportando la persona al centro, ossia invertendo la priorità tra salario e occupati o disoccupati. In altre parole, il principio dev’essere quello della centralità della persona nei processi economici, considerando il lavoro non solo come un semplice fattore della produzione o del profitto, ma anche e soprattutto come un bisogno essenziale della persona. Trasferendo tale concetto alle persone con disabilità, si potrà facilmente comprendere quale impatto reale esso potrebbe comportare, rispetto alla loro vita quotidiana e a quella delle loro famiglie.
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