Questionario ai genitori di disabili, l’indignazione di una madre

Marina Cometto, 72 anni, con Claudia, 49Marina Cometto: “Mi chiedono se mi vergogno di Claudia, se provo risentimento per lei. Ma non sarebbe meglio renderci la vita più facile?”

Anche in Piemonte è stato proposto il questionario dalle “domande scomode” a chi assiste chi è in difficoltà, come ad esempio chi ha un figlio disabile. Una serie di interrogativi che ha sollevato polemiche per le frasi dirette che, senza giri di parole, scrutano nelle famiglie e nell’animo dei caregiver, coloro che vivono, 24 ore su 24, insieme a persone che hanno bisogno di assistenza, arrivando a chiedere se si vergognino, se abbiano problemi con il coniuge, o se provino risentimento verso la persona assistita.

Marina Cometto, 72 anni, la battagliera madre di Claudia, 49 anni, che ha la sindrome di Rett, da sempre trascorre notte e giorno in simbiosi con lei: per lei ha rinunciato al lavoro, a fare una passeggiata, alle normali ore di sonno, per accudirla al meglio, lottando con la burocrazia e con le difficoltà connesse alla loro vita, che emergono non solo nella quotidianità, ma anche per ogni ricovero in ospedale che ogni volta mette in evidenza lacune e mancanze di sensibilità e rispetto per chi si trova nella loro situazione.

“Quel questionario mi è stato sottoposto un anno fa – racconta – e personalmente, arrivata a un certo punto, mi sono rifiutata di rispondere. L’aveva portato l’assistente sociale, che non aveva alcuna colpa, sia chiaro. Tuttavia sono rimasta davvero così perplessa che ho subito scritto all’assessore, senza ovviamente ricevere risposta, per manifestare il mio stupore”.

 

Da sempre punto di riferimento per molti genitori caregiver come lei, Marina Cometto aveva riflettuto a lungo, all’epoca, se sollevare una polemica come quella che è emersa nei giorni scorsi, ad esempio nel Lazio. Poi aveva rinunciato: “Non tutti si ritenevano offesi – racconta – qualcuno aveva trovato quelle domande lecite. Non ne avevamo più parlato, sino a quando ho visto quello che è successo a Roma, dove forse c’è stata più sensibilità sul tema, e così ho deciso di pubblicare un post su facebook in cui faccio i complimenti a chi non è stato zitto, perché, a mio parere, dimostra quanto siano vessate le famiglie con figli disabili”.

 

Spiega ancora Cometto: “Alcune domande le ho trovate una violazione della privacy, altre totalmente inopportune”. Ma la prima questione che le preme sottolineare è che “il questionario non prende minimamente in esame chi si trova ad assistere persone che sono completamente non autosufficienti: la loro situazione è diversa da chi è in parte autonomo. Se fosse stata una valutazione efficace avrebbero inserito quantomeno altre domande, ad esempio per valutare quanto ci sentiamo aiutati, e il tutto sarebbe stato meno invasivo. E’ una questione di rispetto: quelle domande non sono d’aiuto, non possono esserlo, anzi, dimostrano che non si conosce davvero la reale situazione che i caregiver 24 ore su 24 come noi si trovano davvero a vivere”.

 

Marina Cometto prende in esame le domande, quelle che considera più assurde: “Sento che mi sto perdendo vita? Dopo 49 anni trascorsi a vivere con mia figlia, che cosa posso rispondere? La mia è stata una scelta. Nessuno ti impone di farlo: certo avrei potuto mettere Claudia in un istituto, ma oggi probabilmente non sarebbe ancora viva. Non tornerei mai indietro, anche se ho rinunciato al lavoro per poter essere al suo fianco. Ma lo rifarei, eccome, senza alcun dubbio”.

 

E ancora: “Mi vergogno di lei? Fa il paio con l’altra domanda: mi sento in imbarazzo a causa del suo comportamento? Posso rispondere raccontando un episodio accaduto in ospedale poco tempo fa, per una visita. Claudia non stava bene. Lei non può parlare, comunica a modo suo, con suoni forti: urlava perché non voleva stare lì. Eravamo in sala d’attesa quando un’infermiera ha chiesto all’usciere se ci fosse qualche problema e lui le ha risposto secco “E’ una disabile”. Ho pensato a quanto sarebbe stato meno offensivo se l’infermiera fosse venuta di persona a capire cosa stesse succedendo, a chiederci se avessimo bisogno di qualcosa, e se lui avesse risposto con un po’ più di rispetto. Non mi vergogno di Claudia, non potrei mai. Spesso però mi vergogno degli altri e delle loro reazioni”.

 

Mentre alla domanda successiva: “Provo risentimento nei suoi confronti? Ma come potrei, povera gioia, con tutto quello che ha passato, con tutto il suo attaccamento alla vita che mi ha dimostrato, provare un sentimento del genere? Claudia si accontenta di così poco: essere accudita, amata, pulita”. “Assurdo poi – aggiunge – che mi si chieda se ho problemi con il coniuge: non comprendo cosa possa importare a un assistente sociale, alla luce del fatto che in ogni coppia ci sono delle difficoltà, ma non è un figlio disabile a crearle”.

 

Secondo Marina Cometto, insomma, il questionario è inopportuno perché “fondamentalmente inutile: non si ascoltano davvero i genitori e le loro necessità, perché anche rispondendo affermativamente, che cosa possono fare? Ti offrono uno psicologo? Noi non siamo eroi, il mio scopo è sempre stato tenerla in vita dignitosamente. Avrei voluto aiuti concreti, ho sempre dovuto faticare, lottare ed arrangiarmi. Ad esempio con il furgone per poterci spostare, dal costo così elevato che noi ci siamo sempre dovuti indebitare a vita. Avrei voluto assistenza vera, a casa e in ospedale. E non code e burocrazia per qualsiasi cosa, come la visita annuale urologica per poterle far avere i pannoloni. Ogni anno la stessa storia, e lei ne ha 49, ma ogni volta mi chiedono se ne abbia ancora bisogno”.

 

“Avrei voluto – è la conclusione – che ci fossero i sollevatori in ospedale, perché quando la porto solo io, con i miei due nipoti, che dobbiamo alzarla perché loro non li hanno e non la possono toccare per regolamento. Avrei voluto una vita diversa: lavorare e fare una passeggiata ogni tanto. E ora vorrei dormire un po’ la notte, e non controllare che non si strappi il ventilatore. Avrei voluto domande vere, in quel questionario, per capire quanto abbiamo bisogno di aiuto, e non chiedermi se mi vergogno di lei. E’ giusto?”.

Fonte: repubblica.it

(ca)