Torino città dell’inclusione al Salone del Libro

di Anna Vento

In occasione dell’evento “Torino città dell’inclusione. Le politiche d’integrazione delle persone richiedenti asilo, rifugiate e migranti” presentato al Salone del Libro di Torino nella giornata di domenica, l’assessore al Welfare, Diritti e Pari opportunità e i rappresentanti degli enti gestori del progetto SAI (Sistema nazionale di Accoglienza e Integrazione) della città di Torino, sono intervenuti per raccontare come il capoluogo piemontese abbia affrontato l’emergenza attuale dell’accoglienza dei profughi ucraini.

Innanzitutto il Comune ha proposto al Ministero dell’Interno un ampliamento del proprio progetto SAI, con 100 nuovi posti (in famiglia e in alloggi). Inoltre, il Servizio stranieri e minoranze etniche della città ha attivato specifici interventi di sostegno in favore dei minori non accompagnati di nazionalità ucraina.
Maria Cardino, funzionaria delle politiche sociali, ha ricordato quanto la città si sia immediatamente attivata per accogliere i minori non accompagnati. Anche se la maggior parte di loro erano insieme a parenti di primo grado come zii e nonni, o anche insegnati, che sono riusciti a entrare in contatto con ucraini residenti a Torino. È stato necessario un lavoro per capire i bisogni dei minori, profughi molto diversi rispetto a quelli a cui il sistema è abituato. Persone strutturate e resilienti, persone che con dignità si sono posti alla pari e non come persone bisognose d’aiuto.

L’Italia non è sicuramente la prima meta, infatti Polonia e Romania sono le preferite perché l’intenzione è sempre quella di ricongiungersi con parteni e amici. I ragazzi, per non perdere il contatto con la proprio patria, hanno deciso di continuare con la Dad.
Questo è stato possibile grazie al coraggioso lavoro degli insegnanti che, dalla Norvegia o dai rifugi, hanno continuano a seguirli. Le principali urgenze riconosciute sono state: la regolarizzazione, gli ucraini vogliono sentirsi regolari nel nostro paese quindi vi è stata una concertazione con la questura in modo da aumentare il lavoro burocratico; e l’utilizzazione della città come risorsa. Torino non era una città conosciuta in Ucraina, ma ora stanno imparando ad apprezzarla anche grazie alla tutela dell’assessore Rosatelli che, tra le altre cose, è anche riuscito a donargli alcuni biglietti dell’Eurovision Song Contest in modo da includerli in un’attività ludica che potesse alleggerire il momento così delicato che stanno vivendo.

C’è un’enorme ricchezza umana e professionale della nostra città per quanto riguarda l’accoglienza, Torino ha un animo solidale e civico – Jacopo Rosatelli

L’assessore spiega che il sistema normativo europeo del 2011 vigente è stato applicato per la prima volta solo in occasione dell’emergenza ucraina, prima il sistema di accoglienza concepito in quella direttiva era sempre stato accantonato. Si dichiara contento che sia accaduto ma ricorda che dovrebbe essere una lezione per il futuro, è infatti triste pensare alla circostanza drammatica che ha condotto a questo cambio di prospettiva. La partecipazione emotiva e di consapevolezza di cosa vuol dire fuggire dalla guerra, non deve finire qui. Dovrebbe anzi portare ad un allargamento della normativa europea.

La città di Torino cerca di accogliere tutti allo stesso modo, nonostante il Comune sia l’ultimo anello di una catena che arriva dall’alto.
I giornali hanno riportato di come alcune donne trans, arrivate al confine, siano state rispedite indietro per tornare a combattere perché considerate a tutti gli effetti uomini. Questo dimostra come le guerre possono mostrare non soltanto gli effetti diretti, ma anche quelli collaterali come stigmatizzazione, ricadute economiche e molto altro. L’incontro tra le persone genera conseguenze positive sia sistemiche che sul piano individuale di amori e amicizie. Accogliere fa bene alla società: una società aperta, multietnica e inclusiva è più sana di una società xenofoba e transfobica. Bisogna contrastare narrazioni tossiche che inducono sempre a temere il prossimo perché diverso da noi, anche le parole possono fare la differenza.

Il decreto Salvini è stato sicuramente uno dei momenti più bassi dell’accoglienza in Italia, si è così creata un’accoglienza disomogenea e non articolata, i sistemi non comunicano e questo si ripercuote sulle persone che vengono categorizzate, in modo del tutto arbitrario, come sistemi di serie A e serie B. Il decreto Lamorgese non è riuscito a risolvere molto rispetto a quello Salvini. Ecco perché è fondamentale un cambio di narrazione, bisogna conoscere di più le altre culture in modo da pensare, raccontare gli altri e se stessi in modo diverso.