Felicemente Seduta al Salone del Libro

di Matteo Banche

“Felicemente Seduta” di Rebekah Taussing è un saggio autobiografico che si propone di spiegare in maniera semplice e accessibile l’approccio abilista e le sue problematiche, non limitandosi alla disabilità ma discutendo del corpo ideale che viene richiesto in generale a tutte le donne.

Il libro è stato presentato da Beatrice Gnassi della casa editrice Le Plurali e dalla scrittrice e comica Marina Cuollo, la quale ha collaborato direttamente all’edizione italiana di un’opera che tratta un tema come l’abilismo, ancora fin troppo di nicchia nel nostro paese. È la stessa Taussing nella sua breve presentazione a proporre una metodologia per iniziare a sradicare l’abilismo interiorizzato, ovvero approcciarsi a opere di storie di persone disabili, raccontate dal protagonista stesso, così facendo si riuscirà a riconoscere quando noi stessi mettiamo in atto forme di l’abilismo, spesso senza volerlo.

Cuollo e Gnassi nel loro intervento scelgono poi di porre l’accento sui due modelli di disabilità che vengono descritti nel libro, quello medico e quello sociale. Il primo modello è vecchio e si basa unicamente sul corpo e sulle sue funzioni, sempre le stesse e predefinite, se un corpo non è in grado di lavorare come da copione è da curare a tutti i costi, altrimenti viene etichettato come sventurato, sfortunato e destinato ad una vita tragica.

Nel secondo modello invece viene enfatizzato il ruolo della società e dell’ambiente, visto come un ostacolo per la persona con disabilità. Il modello medico è profondamente radicato nel nostro immaginario, viene infatti dato l’esempio del cinema in cui spesso i personaggi disabili sono caratterizzati unicamente dalla loro disabilità o al contrario come spesso il ruolo del malvagio sia spesso associato a menomazioni o disabilità fisiche che rendono il suo corpo così diverso ed estraneo in contrasto con quello che questo modello definisce canonico. Il giusto mezzo è la via da scegliere, senza dimenticarsi del ruolo del corpo e delle sue capacità, inserendo tuttavia questo corpo nell’ambiente in cui opera.

La riflessione ci porta a riconoscere quindi che la disabilità fa parte del sistema, anche se non viene prevista dal pensiero comune, e che per creare una vera inclusione essa dovrebbe venir presa in considerazione sin da subito in ogni
ambito, non solo quando il problema si presenta concretamente davanti, altrimenti non si parla di inclusione ma di una concessione. La presentazione si chiude con un commento doveroso al femminismo, movimento in continuo cambiamento e purtroppo non del tutto inclusivo per le donne con disabilità, anche se con il tempo e con l’intersezionalità ci si sta spostando anche in quella direzione.

Emblematiche di questa discussione finale sono le parole della stessa autrice: Non sto suggerendo che ogni singola conversazione femminista debba riguardare o sostenere o perfino includere, sempre, le donne disabili. Sto dicendo che cancellare le donne disabili dalla nostra visione di cosa significhi essere donna limita tutte noi.