Diritti negati a madre malata di Sla: tribunale Torino impugna il no dell’Anagrafe e le restituisce dignità

Foto di persone in coda all'anagrafe centraleIl figlio minore doveva rinnovare un documento che necessitava la firma dei genitori. La mamma è impossibilitata a muoversi e quindi al ragazzo è stato rifiutato il rinnovo. Un giudice ha invece ribaltato la situazione nominando il marito, amministratore di sostegno.

La Sla è una malattia che progressivamente toglie tutto, la possibilità di muoversi e di parlare con la propria voce. Non la malattia, ma la burocrazia, rischia invece di togliere a questi malati la dignità di essere cittadini. È successo a una donna di 52 anni, madre di due figli, uno maggiorenne, l’altro ancora minorenne.

La signora ha scoperto la malattia nel 2019. Oggi, a tre anni di distanza, le sue condizioni si sono aggravate e non è più in grado di muoversi, è bloccata in un letto e si esprime grazie al puntatore oculare. Questo non le impedisce di continuare ad occuparsi dei suoi figli, sia pure con tutte le enormi limitazioni della malattia. Ad aprile però, il figlio minore ha dovuto rinnovare la carta d’identità, e nel Comune dove vive la famiglia, nella prima cintura di Torino, all’ufficio dell’Anagrafe si sono rifiutati di rinnovargliela, perché – per legge – i genitori devono essere presenti e firmare entrambi per poter rinnovare il documento. La mamma del ragazzo non può muoversi dal suo letto e non può comunque firmare  di suo pugno i documenti per il rilascio.

Il marito della donna si è rivolto allora  ad alcuni notai per ottenere una procura notarile che lo autorizzasse ad ottenere il documento facendo le veci della moglie ma diversi professionisti si sono rifiutati. A quel punto l’uomo si è rivolto agli avvocati Alessio Solinas e Valerio d’Atri che da un lato hanno contattato altri notai per percorrere la strada che il marito aveva già tentato  e dall’altra hanno scelto la strada giudiziaria interpellando il tribunale di Torino e chiedendo che i giudici nominassero il marito della donna suo amministratore di sostegno. «La risposta dei giudici torinesi è stata velocissima, in quarantotto ore è stato pronunciato il provvedimento con cui è stato nominato il marito amministratore di sostegno della donna», spiega l’avvocato Solinas.

 
Non è la prima volta che il tribunale di Torino si dimostra particolarmente celere su questioni simili. Qualche settimana fa – in un contesto completamente diverso – la corte d’Appello di Torino aveva accordato i domiciliari a un detenuto malato di Sla, misura cautelare negata più volte da un altro tribunale. 

«Con questa decisione la cliente è tornata ad essere una persona con tutti i suoi diritti – dice il legale – Prima le veniva negato di essere una mamma per suo figlio nonostante sia perfettamente in grado di intendere e di volere anche se immobilizzata in un letto». Il tribunale ha anche stabilito  che  nel caso la donna non fosse in grado di esprimere il proprio volere a causa delle cure, possa intervenire il marito e prendere decisioni al suo posto con il consenso dei medici. «Sono ancora pochi i pronunciamenti di questo genere in Italia, è un tema su cui occorre maggiore sensibilità».

Il contesto è quello di una malattia di cui non si conosce ancora abbastanza che in Piemonte colpisce circa duecento persone (questo è il dato dei malati che si sono rivolti all’associazione Aisla). Proprio l’Aisla nel 2015 ha stipulato un accordo con il Consiglio nazionale del Notariato che autorizzava i malati di Sla ad utilizzare i dispositivi oculari per stipulare atti notarili di qualunque genere. 

«Gli uffici pubblici dovrebbero garantire le certificazioni anche a domicilio in caso di disabilità grave come la Sla – spiega l’avvocato Alessandro Fabbri, esperto dell’Aisla –  La legge dice che un disabile ha diritto a ogni accomodamento ragionevole e in caso contrario si finisce con il causare una discriminazione. Di solito gli uffici capiscono le necessità e si procede anche in assenza di un amministratore di sostegno, che deve essere sempre una scelta individuale – anche se ci sono situazioni in cui le procedure vengono complicate da barriere e procedure che sono odiose e che sono forme di discriminazione indiretta, sono prassi che andrebbero superate».

Fonte: repubblica.it

(la)