La disabilità non è la cifra o la condizione

Attori teatrali AldiquaLa disabilità non è la cifra o la condizione, lo diventa quando trova ostacoli che nessuno ha pensato a rimuovere.

l progetto Europe Beyond Access, l’associazione Oriente Occidente e il gruppo di artisti e lavoratori dello spettacolo Aldiqua, mi hanno fatto capire moltissime cose.

Arrivo sul mio motorino agile davanti al Cinema Sacher una mattina di marzo. C’è il sole e l’aria è frizzante. Entro nella hall e ci sono ancora poche persone, ma la situazione cambia rapidamente e una piccola marea umana occupa gli spazi, maschi, femmine, altro, di genere indefinito che mica tutto è bianco e nero. Sono lì per coordinare l’evento di presentazione di un video-manifesto su arte e disabilità.

Ho bisogno di registrare i partecipanti, ho un foglio e una penna dove appuntare nome ed email. Sono una persona ‘normale’, qualsiasi cosa questa parola voglia dire, ma in un attimo mi trovo immersa e fluttuante in un mondo di comunicazione che non conosco e non padroneggio. Alcune delle persone che mi circondano sono cieche, arriva la mia amica Deborah e la sua amica Debora, blogger, ognuna col suo bastone, loro hanno bisogno di spazi più dilatati per muoversi. Ma lo fanno con proprietà, quello spazio non è ostile, lo controllano benissimo, vanno alla toilette insieme, a braccetto, autonome. Il bagno del Cinema Sacher è accessibile a tutti. Non è così ovunque.

Poi ci sono sordi, parlano tra loro e quando mi avvicino ho la mascherina di rigore quindi non capiscono cosa voglio. Devo abbassarla e permettere loro di leggermi le labbra, devo andare incontro alle loro esigenze di comunicazione. Poi arrivano Chiara Bersani e Giuseppe Comuniello, lei è sulla sua sedia a rotelle a causa della osteogenesi imperfetta che ha modellato il suo corpo, accompagnata da Giuseppe che invece è cieco ed è un danzatore e coreografo. Anche a loro serve più spazio di movimento e quella impacciata sono io, che mi sento stranamente ingombrante. Ad altre persone con corpi marginalizzati o che hanno limitazioni cognitive serve più tempo per recuperare energie. Ognuno ha le sue esigenze, quelle che noi ‘abili’ abbiamo dimenticato.

 
Padroneggiano il loro spazio nonostante gli ostacoli. Entriamo in sala e iniziano a parlare: due interpreti LIS traducono con precisione, ogni ospite che si alterna sul palco si descrive fisicamente per i ciechi. Le parole delineano la fisicità, il colore dei capelli, gli abiti, un accessorio. Si applaude alzando le mani cosicché anche i sordi possano partecipare, chi non sente usa gli occhi, chi non vede usa il tatto e l’udito, chi sente e vede alle volte è cieco. 

Non ho mai visto tante persone con limitazioni diverse in una volta sola e sì, è stato bello, anzi bellissimo. Il mio percorso con il progetto Europe Beyond Access, l’associazione Oriente Occidente che vi partecipa come capofila italiano e il gruppo di artisti e lavoratori dello spettacolo Aldiqua sta cambiando me. Mi ha fatto capire moltissime cose, per esempio le definizioni che talvolta vengono prima delle persone: quando qualcuno si riferisce a me non dice, l’abile signora Mason, perché dei disabili sottolineiamo la condizione dimenticando la persona?

La disabilità non è la cifra o la condizione, lo diventa quando trovano ostacoli che nessuno ha pensato a rimuovere. Già perché la maggioranza, ossia gli abili, dettano il mainstream e quello che è diverso rischia di essere posto in un recinto, una gabbia, una definizione. Mentale o fisico ma comunque rassicurante. Perché noi con le persone che hanno limitazioni ci sentiamo in imbarazzo, non sappiamo come rivolgerci, esprimiamo una pietà che appartiene solo a noi. Molto spesso siamo in buona fede, in altri casi meno. Non abbiamo previsto che ci possano essere esigenze diverse dalle nostre, che ci possano essere bisogni di formazione specifici, attori sordi che per studiare hanno bisogno di un interprete, scuole che includano persone con limitazioni sensoriali, situazioni che intercettino i talenti in mezzo alle limitazioni fisiche o neurologiche.

E allora può e deve esistere anche un gruppo di professionisti dello spettacolo disabili, non solo performer o interpreti, ma coreografi, registi, costumisti, scenografi. Non persone che lo fanno per hobby ma da professionisti. Un esempio tra tutti: che ai casting per parti che prevedano una disabilità possano partecipare anche attori disabili e che non siano solo lì a insegnare all’attore occidentale, maschio, bianco, sano, cis ed etero, mainstream quindi, come ci si comporta in sedia a rotelle o ciechi o sordi. Perché la rappresentazione della disabilità deve essere sempre recitata?

Ecco allora che guardo con occhi diversi il meccanismo che porta a fiction come Blanca o la dinamica che mette in scena la bellissima Miriam Leone e Pierfrancesco Favino sulla sedia a rotelle. Una scelta che non piace agli artisti disabili e che da oggi non piace neanche a me. Non me lo aspettavo che ci fossero anche loro, è vero, ma non sono mai stata così contenta che ci fossero, perché il mondo si basa sull’alterità, la diversità e una inclusione che non sia solo slogan ma reale.

A Milano dal 27 al 29 aprile il mondo dell’arte va a lezione di ricchezza e si alimenta di un patrimonio culturale ancora sconosciuto. Succederà al primo convegno nazionale dal titolo Presenti Accessibili. D’altro canto l’accesso all’arte deve essere un diritto, perché l’arte e la cultura sono pilastri e fondamenti del benessere umano. Io ci sarò, voi venite, sarà bello.

Fonte: huffingtonpost.it

(ca/la)