Attivisti a confronto: intervista a Iacopo Melio

“Le parole sono importanti” diceva Nanni Moretti in un suo famoso film ma, quando si parla di disabilità, si tende a fare confusione sulla terminologia da utilizzare. Alla luce della Convenzione ONU, perché il termine persona con disabilità è preferibile a quelli di disabile, portatore di handicap, handicappato e diversamente abile/diversabile?

Quando si parla di disabilità dobbiamo tenere a mente che non è una malattia e non identifica la persona, ma è “soltanto” una sua caratteristica, una condizione che quella persona si ritrova ad affrontare quando il contesto intorno non le è favorevole. Nessuna persona “è” il suo paio di scarpe, quindi nemmeno una “persona” disabile dev’essere associata al suo handicap o alla sua carrozzina, che peraltro rappresenta uno strumento di libertà e autonomia e non qualcosa che costringe. Per questo dobbiamo mettere la persona prima di tutto, anche delle sue caratteristiche (colore degli occhi, altezza, peso, eventuali disabilità…).

“Handicappato”, “mongoloide”, “hai la 104”: spesso, le terminologie obsolete legate alla disabilità vengono usate come insulto causando frequenti fenomeni di bullismo online e offline. Cosa si può fare per contrastare questa tendenza?

Semplicemente facendo capire che il nostro vocabolario ci offre milioni di parole, anche (ebbene sì) per offendere qualcuno: tirare in mezzo terze persone che non c’entrano niente, quelle con disabilità, utilizzandole come sinonimo di “poco intelligente”, è offensivo prima di tutto per chi funge da esempio.
La disabilità è una condizione, non è un’offesa: come si sentirebbe Mario Rossi se sentisse dire, a una persona che fa qualcosa di sciocco, “sei proprio un Mario Rossi!” ? Non credo ci resterebbe bene, pure se non ci fosse alla base la cattiva e consapevole intenzione di offenderlo.

Un’altra questione aperta è quella delle rappresentazioni della disabilità tra atteggiamenti pietistici, eroizzazioni, infantilizzazioni e angelizzazioni. Cosa ne pensa a riguardo?

Pietismo, compassione e infantilizzazione sono gli atteggiamenti più deleteri che ci possano essere verso la disabilità, ma anche l’ “inspiration porn”, continuando a trattare in maniera elementare delle comuni persone che, con le loro difficoltà o abilità (come chiunque!), chiedono solo di vivere una vita il più serenamente possibile, senza il bisogno di far passare per straordinario ciò che in realtà dovrebbe essere ordinario. Occorre fare molta attenzione alla discriminazione inversa se vogliamo raggiungere la parità ed eliminare le differenze.

Veniamo al concetto di abilismo di cui si parla tanto ultimamente: cosa significa, quali risvolti ha a livello pratico e perché è pericoloso?

L’abilismo è la discriminazione delle persone con disabilità, ed è pericoloso nella misura in cui sono pericolose tutte le discriminazioni: in questo caso, le barriere principali che potrebbero escludere le persone disabili possono essere di tipo fisico (barriere naturali oppure architettoniche) e di tipo culturale (non solo atteggiamenti discriminatori, ma anche visioni distorte della disabilità che portano, ad esempio, a progettare ambienti non accessibili e quindi a produrre barriere fisiche). Sostanzialmente, lo si combatte facendo capire che la disabilità e l’inclusione sono tematiche che riguardano chiunque, non solo le persone con un’evidente e certificata disabilità (pensiamo, ad esempio, ai genitori con i passeggini o agli anziani con i bastoni).

Il monologo dell’attrice Maria Chiara Giannetta, protagonista della fiction Blanca in cui interpreta il ruolo di una detective cieca, al Festival di Sanremo ha ricevuto molte critiche da parte di diversi attivisti e attiviste. A essere chiamato in causa è l’inspiration porn: cos’è? È d’accordo con loro?

Sarò sincero fino in fondo, è stata una delle pochissime volte in cui ho disertato lasciando scegliere al caso: non ho visto quello spezzone, e così non l’ho nemmeno, volutamente, recuperato, pur avvertendo una certa polemica. Tra l’altro, ho pure commentato le esibizioni di Sanremo per Next Quotidiano, ma ho saltato comunque quell’analisi, anche se non è da me: so già che probabilmente non mi piacerebbe ciò che vedrei, e in quei giorni non avevo voglia di perdermi nell’ennesima scena problematica in prima serata.

Agevolazioni fiscali, sconti, corsie preferenziali, parcheggi riservati…l’opinione pubblica, ancora in troppi casi, è portata a pensare che le persone con disabilità vengano in qualche modo favorite. Sfatiamo questo mito: come siamo messi ad uguaglianza ed equità?

Non sempre l’opinione pubblica ha colpa, a volte pensa questo non per cattiveria ma perché per anni abbiamo raccontato la disabilità nel modo sbagliato.
Dobbiamo in questo caso dividere tra ciò che è un diritto sacrosanto, come ad esempio le agevolazioni fiscali, le corsie preferenziali e i parcheggi riservati per chi, giustamente, ha dei problemi oggettivi e quindi necessita di un aiuto pratico ed economico, da altre accortezze che, invece, enfatizzano inutilmente la diversità: parlo, ad esempio, dei biglietti gratuiti per entrare al cinema o assistere ai concerti, totalmente controproducenti oltre che ipocriti, perché è inutile non far pagare uno spettacolo se poi, nei posti riservati accessibili, è impossibile vederlo con comodità (sarebbe molto meglio pagare un servizio, come tutti, e investire quel denaro per creare le
condizioni affinché di quel servizio se ne possa usufruire al 100%, come per tutti).
I disabili non vogliono essere mantenuti dallo Stato (salvo eccezioni, come per tutto), ma vogliono poter fare quello che fanno gli altri: guadagnarsi da vivere, svago incluso, e avere un reddito per pagare servizi accessibili davvero.

Esiste una responsabilità dei media nel persistere di queste criticità?

Assolutamente sì. Le parole sono importanti, e i media giocano molto sull’enfatizzazione di pietismo e compassione, puntando dritti alla pancia della gente per ottenere click o vendere quella copia in più.

Il 13 febbraio la ministra per le disabilità Erika Stefani ha festeggiato un anno di mandato: è possibile tracciare un primo bilancio di questa esperienza?

La mia posizione riguardo il Ministero per la Disabilità è ormai chiara, cioè ritengo che funzionerà davvero quando verrà tolto. Per quanto riguarda l’anno di mandato: c’è stato un mandato? Davvero?

Da qualche tempo ricopre un ruolo politico importante come consigliere regionale della Toscana: quali azioni ha messo in campo nell’ambito della disabilità e quante si sono effettivamente
concretizzate?

Appena insediato, ho chiesto fosse fatta chiarezza sul progetto “Vita Indipendente” in Toscana, visto che molte persone con disabilità lamentano una scarsità di fondi per poter essere davvero autonome. In realtà, la Toscana rimane ad oggi la Regione che investe maggiormente in questo percorso di indipendenza e gliene va dato atto, ma ho stabilito con l’assessora al sociale Spinelli che lavoreremo per migliorare ulteriormente questo strumento.
A fine 2020, nonostante fossi ricoverato in gravi condizioni per Covid, ho continuato a lavorare per far sì che la campagna di vaccinazione anti-Covid per fragili e caregiver partisse prima possibile, in
Toscana, e così è stato con largo anticipo. Inoltre, ho appena depositato una mozione che spinge il Governo a riconoscere, così come accaduto nel Lazio, la Vulvodinia come malattia invalidante da inserire all’interno dei LEA.
Per esser trascorso un anno e mezzo, mi ritengo molto soddisfatto, considerando il fatto che non esiste solo la disabilità e che, nel frattempo, mi sono occupato di tante altre questioni: sono un
attivista per i diritti umani e civili, e un consigliere regionale, non il sindacalista dei disabili.
Continuare ad ingabbiarmi politicamente in questo tema quando, in realtà, vorrei occuparmi di tanto altro, come fa chiunque, è, sì, abilista.

Dal suo punto di vista, cosa può fare la politica per rimuovere le barriere e contribuire a un’evoluzione culturale nei confronti della disabilità?

Imparare ad occuparsi di disabilità, con competenza e cognizione di causa, senza demandare sempre a figure “ad hoc” come Ministero per la disabilità, garanti dei disabili, disability manager… Figure che, spesso, sono specchietti per le allodole, e comunque non fanno altro che evidenziare la specialità, continuando a inserire le persone nei recinti come fossero animali di specie protette.
Ogni bravo politico deve praticare l’empatia e saper ascoltare, mettendosi nei panni dell’altro, sempre. E quando va a fare qualche manovra, semplicemente farla per tutti.

Attivista, blogger, giornalista e infine politico: è passato ormai qualche anno dalla sua campagna virale per “vorreiprendereiltreno”. Dopo tutte queste esperienze, come si definirebbe Iacopo Melio oggi?

Esattamente lo stesso, con qualche acciacco in più e sicuramente meno capelli. Più cresciuto, forse. Perché da ogni esperienza provo a trarne qualcosa.

Come vede il suo futuro?

Cerco di vivere più serenamente possibile il presente, lasciandomi travolgere dai progetti che mi saltano in mente, sul momento, ogni giorno. Spero solo di seminare bene, “qui e ora”.

Marco Berton