Obiettivo Olimpiadi per una Milano senza barriere architettoniche

Una Milano senza barriere architettoniche entro il 2026. Perché per essere davvero ospitale, accogliendo atleti e pubblico dei Giochi invernali olimpici e paralimpici, la città dovrà abbattere tutti quegli ostacoli che ancora impediscono alle persone disabili di viverla pienamente.

Insieme alle infrastrutture – alle quali ieri Mario Draghi ha dato il via libera con un fondo da un miliardo di euro – ai nuovi impianti sportivi, nonché al Villaggio che sorgerà nell’ex Scalo Romana, la città fruibile per tutti diventerà una delle eredità di Milano-Cortina. Da quando la bandiera a cinque cerchi è atterrata, da Pechino, all’aeroporto di Malpensa, il count down verso le Olimpiadi ha innescato un percorso di pianificazione molto serrato.

Così, tra i vari dossier, Palazzo Marino ha aperto quello dell’accessibilità: “Vogliamo arrivare a questo grande appuntamento liberi dalle barriere architettoniche”, annuncia l’assessora alla Mobilità Arianna Censi. Un percorso non semplice, ma lungo il quale si sta già seminando da tempo. Con una mappatura delle priorità e diverse sperimentazioni per capire quali siano gli strumenti più adatti, e le strade più semplici, per tradurre i buoni propositi in realtà.

Primo obiettivo, il trasporto pubblico. Oggi il quadro, fornito da Atm, è questo: se il 100 per cento degli autobus in circolazione è dotato di pedana o di elevatore, la rete delle metropolitane ha bisogno di una bella spinta. Tra le stazioni, ad essere accessibile è il 76 per cento, cioè 86 sulle 113 totali. Le linee più nuove, la M3, la M5 e la futura M4 sono completamente a portata di tutti, mentre sulla M1 e la M2, entrambe ferme al 63 per cento, c’è parecchio da lavorare.

Ieri la giunta ha approvato due progetti di fattibilità tecnica per le fermate di Garibaldi e Lambrate che prevedono, con una spesa stimata di quasi quattro milioni di euro, la realizzazione di quattro ascensori. Di provvedimenti come questi, spiegano dagli uffici di Palazzo Marino, ne arriveranno diversi. Sono i tasselli di un piano che progressivamente avvicinerà il trasporto pubblico milanese agli standard europei. Nel 2018 Milano ha infatti adottato il P.E.B.A, il Piano per l’eliminazione delle barriere architettoniche che dà le linee guida per gli interventi. Ma mentre oggi gli adeguamenti vengono messi a punto quando si fa la manutenzione di un tratto di via, l’idea è quella di mettere in campo una programmazione strutturale.

Ed è proprio in questa prospettiva che l’Amat, l’Agenzia del Comune che si occupa di mobilità, ha iniziato una sperimentazione, partendo dal centro. Milano Facile, questo il nome del progetto, sta mappando mano a mano tutte le barriere architettoniche della città: gradini, scivoli che mancano, marciapiedi stretti o sconnessi e troppo pendenti, pavimentazioni non adatte per i disabili. Tutti dati che vengono inseriti nel database collaborativo di OpenStreetMap, il cervellone mondiale che crea mappe a contenuto libero. Uno strumento che da una parte interagisce con le app per disabili, dall’altra mostra quali sono i punti critici della città.

“È una sperimentazione molto utile”, spiega il presidente del Municipio 1 Mattia Abdu: “Chiediamo al Comune che le risorse disponibili per gli interventi sull’accessibilità vengano investite in maniera prioritaria lungo tutti i percorsi più battuti dalle persone con difficoltà motorie, cognitive e sensoriali”. La necessità, dunque, è quella di aprire una corsia preferenziale per tutte quelle zone in cui sono maggiormente concentrati alcuni servizi: scuole, ospedali, ambulatori, parchi.

“Vorremmo che il Comune mettesse a punto un tavolo di coordinamento con le associazioni e la città per coinvolgere tutti gli attori nella progettazione degli interventi”, dice Armando de Salvatore del Craba, il Centro regionale per l’accessibilità. Secondo Lisa Noja, deputata, consigliera comunale e delegata del sindaco sull’accessibilità durante lo scorso mandato, “in questi anni sono stati fatti passi avanti, ma su alcuni aspetti occorre lavorare di più, utilizzando ad esempio i fondi del Pnrr a disposizione”.

Fonte: larepubblica.it