Dai borghi alle caserme abbandonate: le nuove frontiere dell’Abitare solidale

Non più solo l’idea di pochi “visionari”: il cohousing, o meglio ancora l’abitare solidale, si sta sempre più affermando come ipotesi politica e amministrativa, in grado di offrire soluzioni alle fragilità sociali tradizionali ed emergenti. “Rigenerazione urbana e housing sociale” è un capitolo importante del Pnrr, cosi come di “nuove forme della domiciliarità solidale e della residenzialità” si parla diffusamente nella proposta di legge delega “Norme per la promozione della dignità delle persone anziane e per la presa in carico delle persone non autosufficienti”, presentata dalla commissione presieduta da Livia Turco.

Un modello già da anni sperimentato con successo in alcuni contesti, grazie alla progettazione e la creatività sociale di cooperative e associazioni. Tra queste, c’è  Abitare Solidale Auser: Gabriele Danesi, che di questa associazione è fondatore e coordinatore, ha raccontato nel marzo 2020 a Redattore Sociale come questo modello stesse affrontando anche la pandemiache allora iniziava. Oggi lo interpelliamo nuovamente, a distanza di due anni, per conoscere gli sviluppi di questa esperienza.

Da marzo 2020 ad oggi, qualcosa è cambiato, nell’approccio a questo modello abitativo?

Sì, l’approccio è cambiato, per almeno due motivi: il primo, contingente, è che stando chiusi nelle nostre case per tanto tempo e spesso in solitudine, abbiamo rivalutato la dimensione relazionale come elemento di benessere. E anche il decisore pubblico si è reso conto che il modo di pensare le politiche abitative è da ritenersi superato e sta cominciando a investire nella evoluzione di questo settore così strategico per la coesione sociale. Il secondo motivo, non contingente ma strutturale, è che, grazie anche a progetti pilota come Abitare solidale, Casematte ed altre esperienze di abitare collaborativo, si sono evidenziati il successo e l’efficacia di modelli residenziali basati su rapporti interpersonali costruiti su principi solidaristici e di collaborazione tra persone, anche fragili, che diventano attori di processi virtuosi di rigenerazione urbana e di comunità.

Investimenti, dici: esistono anche risorse pubbliche dedicate a questo?
Sì, adesso sì, proprio grazie a questa nuova consapevolezza delle istituzioni e delle amministrazioni. Penso per esempio al recente “Concorso nazionale di idee per la realizzazione di un modello di abitare post covid: noi siamo arrivati primi in collaborazione con un noto studio di architettura fiorentino, e auspichiamo di metterci presto al lavoro per realizzare quanto richiesto, ovvero modelli abitativi che servano a contrastare diverse forme di crisi, con spazi intermedi e di condivisione, in cui si possano coltivare le relazioni. Ma anche il secondo e terzo classificato potranno attuare i proprio modelli negli interventi di rigenerazione urbana che dovranno realizzarsi nei prossimi tre anni , secondo quanto previsto dal Pnrr e con le risorse derivanti da questo o da altre fonti di finanziamento. Parliamo di tutte idee progettuali caratterizzate da una valorizzazione molto forte dello spazio comune e della relazione come benessere, attraverso la condivisione di ambienti, attività e servizi.

Fonte: superabile.it