Gli angeli e i guardiani non esistono: a Sanremo l’inspiration porn sulla disabilità colpisce ancora

Osannato e criticato, il Festival di Sanremo targato Amadeus è stato un grandissimo successo, certificato da ascolti record e un interesse che la storica kermesse musicale non otteneva da alcuni anni (se non addirittura decenni). I meriti della direzione artistica sono sicuramente tanti e ineccepibili: tra questi, quello di aver saputo riavvicinare i giovanissimi e il mondo indie coinvolgendo alcuni degli artisti più talentuosi e richiesti del momento; restano, tuttavia, alcune ombre dovute alle modalità di trattazione delle tematiche sociali come la disabilità.Dopo le esperienze delle ultime due edizioni, anche quest’anno l’argomento è stato affrontato in modo alquanto discutibile, scatenando critiche e prese di posizione nette. A sollevare le principali perplessità è stato il monologo di Maria Chiara Giannetta, protagonista principale della fiction Rai Blanca in cui interpreta il ruolo di una detective di polizia cieca, durante la serata di venerdì di cui è stata co-conduttrice: l’attrice, con tono pietistico e sottofondo musicale da film drammatico-sentimentale, ha infatti elogiato le persone con disabilità visiva che l’hanno seguita e supportata durante le riprese della serie (presenti sul palco durante l’intervento) definendole come suoi “angeli” e come suoi “guardiani”; come se non bastasse, alle stesse non è stata data la possibilità di parlare ma solo di essere sul palco.

Da più parti, il monologo di Giannetta è stato definito come uno dei più classici esempi di “inspiration porn“, terminologia creata dall’attivista australiana Stella Young nell’ambito dei Disability Studies. Come precisato dalla rivista dell’Accademia della Crusca riportando un articolo di Sofia Righetti per InVisibili del Corriere della Sera, l’inspiration porn consiste nella «rappresentazione delle persone con disabilità come fonte di ispirazione dovuta unicamente al fatto di avere una disabilità, oggettivandole a favore delle persone non disabili e rendendole straordinarie anche nel caso compiano gesti banalmente ordinari come uscire la sera, studiare o diventare genitori».

A circoscrivere ulteriormente il campo è stata Francesca Fedeli sulle pagine del Sole 24 Ore: «Quando – ha spiegato – si chiede a una persona con disabilità di raccontare la propria vita per ispirare gli altri, quando si fa credere che vivere con la disabilità faccia diventare persone eccezionali. Pornografia motivazionale, l’ha chiamata così per la prima volta l’attivista Stella Young in questo TED talk. Quale l’obiettivo di comunicazione nel mostrare una bambina senza mani che disegna tenendo una matita in bocca o il bambino che corre con protesi in fibra di carbonio? Le chiamano pornografia di proposito, perché riducono ad oggetto una categoria di persone a beneficio di un’altra, le persone disabili a beneficio di quelle non disabili».

A guidare la “levata di scudi” sul caso è stata, con un post su Facebook e Instagram, la stessa Sofia Righetti: «L’interpretazione di Giannetta – ha affermato – è definita da Amadeus ‘straordinaria’, mentre lei afferma di aver dovuto “imparare” passando momenti in casa completamente al buio.
Ecco che parte la musica strappalacrime e la voce  si fa più piagnucolante: le 5 consulenti sul set  vengono definite ‘i miei guardiani’, i loro cognomi non esistono: sono diventati delle lezioni di vita, reificati per l’inspiration porn morboso della platea, che insegnano a Giannetta l’importanza del prendersi i propri tempi con dei video dove fanno il caffè o sistemano il letto. Tutte azioni normali, ma essendo persone cieche diventano degli angeli che hanno da insegnare valori morali altissimi ai non disabili».

Con questa premessa, Righetti rivendica un riconoscimento maggiore anche nel mondo del cinema citando la scarsa presenza di personaggi con disabilità sul grande schermo (solo l’1%) e di attori con disabilità a interpretarli (il 5% del totale): «È terrificante – ha aggiunto – quando un attore non disabile interpreta un personaggio disabile, quando gli attori non disabili pensano di poter interpretare la complessità di un modo di essere politico ed identitario passando qualche mese in casa con la luce spenta o divertendosi con la carrozzina. Puoi far finta di avere un’altra età o di provenire da un altro paese, ma non puoi far finta di far parte di un gruppo che sta subendo una discriminazione sistemica: significa che stai rubando il loro posto e il loro lavoro, stai mettendo da parte gli artisti con disabilità; ciò che perdiamo è l’autorappresentazione autentica. Se volete fare qualcosa di utile per le persone disabili, quando vi viene chiesto di far finta a giocare ad essere noi, rispondete no».

Più morbida, ma non necessariamente meno incisiva, è stata la valutazione di Valentina Tomirotti: «Sono servite 4 puntate – ha commentato – ma alla fine la disabilità a Sanremo è arrivata: 8 minuti di inspiration porn ben farcito di tutto quel mood che ci fa digerire la disabilità nella società: qualche “noi” e “voi” ben assestato, qualche carezza sulla schiena, parole empatiche che farebbero venire la lacrima anche ai rubinetti. “Gli angeli”, ecco che abbiamo chiuso il cerchio dell’ispirazione eroica, rigorosamente senza microfono, quasi senza l’ovvietà di parola. Sia mai, inoltre, che un cieco possa essere attore di se stesso, continuiamo a dare voce a chi non vive, chi non sa, chi non è secondo noi, professionista di certe arti. Il problema non è evitare questi siparietti ma è impegnarsi a renderli utili, un momento di cultura e non la conferma di stereotipi che ci fanno andare a letto sereni.  “Non si fa!” (Non è banale, è reale) è questione di rispetto dell’essere umano: la gente non capisce che queste gag sono deleterie per i diritti civili di ognuno di noi. L’insulto non è solo la parolaccia, è nel gesto, nell’idea, nell’atteggiamento».

Ultimo, ma non per importanza, è arrivato l’intervento di Marina Cuollo attraverso un articolo intitolato “Perché Sanremo 2022 non sa (davvero) parlare di diversità” e pubblicato su Vanity Fair: «È importante – ha sottolineato – che un palco come quello dell’Ariston, con un bacino di utenti così ampio, apra le sue porte a temi su cui manca informazione: essere al Festival ci permette di raggiungere tante persone e questo certamente è un bene, ma la modalità con cui questo avviene è altrettanto rilevante. Mentre l’attrice espone con dovizia di particolari tutto ciò che ha imparato da questa esperienza, ai consulenti non viene dato alcuno spazio comunicativo, se non per pochissimi secondi verso la fine. È davvero un peccato constatare come ancora una volta si sia scelto di mostrare la disabilità in un’ottica ispirazionale, che di certo non aiuta a scardinare i numerosi stereotipi che ruotano intorno alla nostra vita. È certamente possibile che le persone con disabilità presenti abbiano deciso coscientemente di esserci in quella modalità, cosa assolutamente lecita. Ognuno di noi dovrebbe essere sempre libero di decidere come raccontarsi, o non farlo affatto».

Per InformadisAbile

Marco Berton