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2005 - Utilizzare al meglio le potenzialità. Gallerie e musei impegnati nella lotta contro l'esclusione sociale, a cura di Richard Sandell

 

La presente relazione verte sulle modalità adottate dai musei per cercare di rinegoziare il loro rapporto con diversi tipi di pubblico, in risposta alle questioni dell’esclusione e dell’inclusione sociale. Vorrei iniziare con il raccontarvi un episodio che si è rivelato, a distanza di tempo, un evento per me molto significativo che ha influenzato il mio modo di lavorare nel ruolo di responsabile marketing, oltre alla mia visione riguardo alle funzioni e alle finalità perseguite da musei e gallerie nel senso più ampio del termine. Vorrei ritornare indietro con la memoria per rievocare un incontro che ebbe luogo nel 1992 presso il Museo e la Galleria d’Arte del Castello di Nottingham dove lavoravo allora. Scopo della riunione era concordare il programma di una mostra. Ma penso che la cosa ancora più importante e alquanto insolita per quell’epoca è che a quella riunione partecipavano non solo il conservatore e altri addetti del dipartimento mostre, ma anche educatori, staff del front-desk, alcuni rappresentanti di altri dipartimenti dell’amministrazione locale e io stesso come responsabile marketing dei servizi museali.
Durante la riunione, fu presentata tutta una serie di idee da parte dei conservatori e responsabili della mostra, che incoraggiavano l’intero personale a partecipare e a commentare tali idee; in quanto responsabile marketing, il mio ruolo principale consisteva nel considerare le opportunità proposte al fine di soddisfare le diverse esigenze dei vari tipi di pubblico, sia esistenti che potenziali. Nel corso dell’incontro furono presentate e discusse diverse proposte inerenti alla mostra, per essere alla fine o approvate, o modificate ed inserite nel programma previsto, o rifiutate.
A un certo punto, fu presentata una proposta relativa a una mostra fotografica di donne che esplorava i temi della salute e della malattia, il cui titolo provvisorio era ‘I nostri corpi, noi stessi’. La mostra proposta doveva comprendere anche alcune immagini particolarmente forti e pregnanti, con l’intento di stimolare e suscitare emozioni nei visitatori. Fra le opere scelte vi erano anche quelle di Jo Spence, la quale, attraverso la fotografia, documentava la sua esperienza vissuta di cancro al seno, patologia di cui sarebbe deceduta successivamente, nonché le immagini di Clare Park, che proponeva il tema dell’anoressia.
A un certo punto, inevitabilmente, furono poste alcune domande tipiche da parte di alcuni partecipanti alla tavola rotonda:
- A chi si rivolgeva la mostra?
- Come si raccordava alla politica inerente alle mostre fino ad allora adottata dalla galleria d’arte?
- Quali erano le implicazioni che una mostra di questo tipo avrebbe potuto avere sul nostro pubblico, composto prevalentemente da famiglie?
- Quali opportunità offriva questa mostra al museo per rivolgersi ed attrarre nuovi tipi di pubblico?
Ecco, dunque, alcune delle principali domande poste …
A posteriori, l’elemento di novità e differenza, che emerse e che si rivelò essere molto significativo per l’ulteriore sviluppo dei servizi offerti dal museo e dalla galleria, è che cominciammo a porci delle domande sullo scopo che intendevamo perseguire mediante questa mostra. Intendevamo semplicemente allestire e presentare una mostra d’arte di alta qualità cercando di renderla accessibile ad un pubblico quanto più vasto possibile (in linea con la nostra politica e prassi fino ad allora attuate), oppure intendevamo perseguire delle finalità sociali più alte ed ambiziose attraverso questo progetto?
Abbiamo cominciato a considerare il potenziale impatto di una mostra di questo tipo sulla salute e sul benessere dei visitatori e della collettività mediante la comunicazione di messaggi di promozione della salute. Inoltre, ciò ci ha portato a prendere in considerazione la possibilità di creare delle nuove forme di partenariato con enti non museali e i vantaggi che potevano derivare per entrambe le parti da queste iniziative. In che misura il museo avrebbe contribuito a promuovere maggiore salute e benessere nella comunità?
Penso che quell’incontro abbia avuto un’importanza particolare per l’organizzazione, per coloro che vi lavoravano e per l’influenza sul mio stesso modus operandi. Infatti, è da allora che ho cominciato a riflettere e a sviluppare delle mie idee sul valore, lo scopo e il ruolo sociale di un museo. Ci sono voluti, tuttavia, degli anni prima che tali idee maturassero e fossero ampiamente condivise sia nell’ambito del Museo di Nottingham e in tutto il settore – fu proprio durante quella riunione che riconoscemmo la responsabilità sociale del museo e il suo eventuale impegno in questioni che andavano oltre le competenze tradizionali normalmente associate a musei e gallerie.
L’emergere di queste nuove finalità sociali è giustificato anche, in parte, dalle circostanze in cui venne a trovarsi il museo di Nottingham stesso. Infatti, i servizi museali rientrano sotto la giurisdizione dell’amministrazione locale, particolarmente impegnata nella lotta contro la povertà, scelta come una delle sue strategie chiave, a cui tutti i vari servizi e dipartimenti erano chiamati a contribuire. Poiché il museo era da sempre percepito dall’amministrazione locale come un’istituzione elitaria e irrilevante, a partire dagli anni ‘90, il servizio museale ha cominciato a porsi agli occhi dell’amministrazione locale e delle diverse comunità presenti in città come un servizio in grado di offrire un contributo significativo agli sforzi effettuati dalla stessa amministrazione locale nella lotta contro l’esclusione e la discriminazione, fornendo un’opportunità che avrebbe fatto la differenza nella vita della comunità locale. Oggi – a distanza di circa otto anni da quell’avvenimento – i musei e le gallerie godono di un maggiore riconoscimento, in quanto istituzioni socialmente utili – che possono svolgere un ruolo determinante nel combattere l’esclusione sociale e la condizione di svantaggio che ne deriva in tutte le sue sfaccettature. Nel corso di una conferenza internazionale tenutasi presso l’Università di Leicester, abbiamo sentito parlare di molti musei e gallerie di diversi paesi impegnati nello sviluppo di progetti mirati a promuovere la tolleranza e ad affrontare questioni come il razzismo, la criminalità e la disoccupazione. Sono stati, inoltre, illustrati altri progetti intrapresi da vari musei che, in una qualche misura, hanno cambiato la vita degli individui, potenziandone l’autostima, la fiducia e la creatività. Ancora più recentemente, il governo britannico ha messo a punto delle linee guida e delle politiche per musei e gallerie a favore dell’inclusione sociale, che vanno esattamente nella stessa direzione. Esse riconoscono, infatti, che al di là della semplice funzione di conservazione, presentazione ed interpretazione delle collezioni, il museo ha un ruolo e uno scopo sociale molto più importante da svolgere.
Non si tratta certo di un compito facile, dato il pubblico tradizionalmente elitario e ristretto che ha caratterizzato la storia di musei e gallerie. Tuttavia, oggi, questi possono rappresentare dei mezzi inediti per favorire l’inclusione sociale. E’ anche vero, però, che se, da una parte, vi sono dei musei in grado di rimodernarsi e di mettere in questione o abbandonare i vecchi schemi o di ridefinire le loro priorità, dall’altra, continuano ancora adesso ad esserci molte organizzazioni anacronisticamente attaccate a valori e programmi tradizionali e obsoleti, che ormai appartengono al passato.
Molti musei e gallerie stanno cercando di avvicinarsi maggiormente alla vita delle comunità di cui sono al servizio, di mostrare una maggiore apertura e disponibilità e di essere maggiormente in grado di tenere conto delle diverse esigenze di pubblici e di altri portatori d’interesse.
A Nottingham, così come in molti altri musei e gallerie, il rapporto con i diversi tipi di pubblico si sta evolvendo, assumendo forme diverse, forme che richiedono nuovi stili e modalità di lavoro per cogliere le sfide poste dall’inclusione.
L’elaborazione di nuove finalità
In generale, oggi, i musei stanno elaborando nuove finalità, spesso in collaborazione con altri partner. A Nottingham, dove avevamo già per nostro conto precedentemente elaborato nuovi obiettivi e finalità, sentendoci probabilmente dotati dell’autorità necessaria per portare avanti il nostro lavoro come operatori museali, al sicuro e nascosti dalla vista esterna dietro le spesse mura del castello, a un certo punto abbiamo cambiato rotta e deciso di collaborare con un ampio numero di altri enti ed organizzazioni, riconoscendo i vantaggi che derivavano da tali partenariati. Fu così che in occasione della mostra ‘I nostri corpi, noi stessi’, abbiamo cominciato a lavorare in partenariato con l’azienda sanitaria locale, individuando i punti d’incontro fra le nostre finalità comuni per trarne vantaggio reciproco, con ricadute positive su entrambe le nostre attività. Ciò ha portato, dunque, al riconoscimento della potenzialità del museo di avvicinarsi e comunicare ad un pubblico di massa e di diventare un mezzo utile di promozione di messaggi per la salute. In collaborazione con il Servizio di Promozione Sanitaria, abbiamo creato un’area risorse all’interno della mostra stessa, presieduta da operatori sanitari a disposizione dei visitatori per fornire loro informazioni, assistenza e consigli.
Una responsabilità nei confronti del pubblico
Vi è un sempre maggiore riconoscimento del fatto che i musei hanno una responsabilità nei confronti dei diversi tipi di pubblico, che può assumere forme diverse. I musei che instaurano, ad esempio, un rapporto con una certa comunità dovranno sempre più impegnarsi per sostenere e soddisfare le esigenze che scaturiscono da tale rapporto, evitando di deludere le aspettative create nel pubblico.
Inoltre, si riconosce che, soprattutto quando si affrontano dei temi dai forti risvolti personali ed emotivi, i musei sono in grado di suscitare delle profonde emozioni e reazioni in alcuni visitatori – paura, disagio, ricordi dolorosi –, sentimenti personali che non possono prima essere esposti e poi ignorati. Accade spesso che musei e gallerie non abbiano le competenze necessarie per rispondere adeguatamente a tali reazioni ed è qui che l’intervento di altre organizzazioni partner può rivelarsi utile.
Durante la mostra ‘I nostri corpi noi stesse’, gli operatori sanitari erano disponibili in loco, in un’area appositamente adibita nell’ambito della mostra stessa, per fornire assistenza e informazioni al pubblico.
Un nuovo concetto di accesso
Nel corso degli ultimi anni, il settore museale ha elaborato nuovi approcci, nonché una nuova concezione di accesso. Gallerie e musei sono sempre più interessati ai nuovi tipi di pubblico e sono alla ricerca di opportunità nell’ambito di progetti per avvicinarsi ad essi. Ciò ha richiesto da parte nostra una maggiore comprensione del profilo del visitatore, delle motivazioni che lo inducono o meno a visitare un museo o una galleria.
Una particolare attenzione è stata prestata all’individuazione e alla definizione delle molteplici barriere che si frappongono fra visitatori e musei, nonché all’elaborazione di nuove modalità di accesso per superare tali barriere. L’accesso è oggi percepito in modo sempre più ampio, inteso anche come l’eliminazione di barriere non solo fisiche, ma anche intellettuali, emotive, finanziarie e culturali.
Empowerment dei pubblici
Queste sfide richiedono che i pubblici siano non soltanto consultati ma anche dotati di empowerment e responsabilizzati per assumere un ruolo attivo nel processo decisionale all’interno del museo.
A Nottingham, dove avevamo già creato e trasmesso messaggi dall’interno del museo riguardo alle collezioni selezionate e messe in mostra, abbiamo cominciato a coinvolgere la comunità locale in tali decisioni, processo che si è rivelato a volte doloroso. Abbiamo così cercato di dare a molti tipi di pubblici, che erano fino ad allora rimasti tagliati fuori dal museo, una voce in capitolo e la capacità di decidere.
Pratiche di lavoro flessibili
Tutto ciò ha presupposto un’analisi e rimessa in discussione delle pratiche tradizionali di lavoro da parte del personale del museo, che ha dunque dovuto interrogarsi sulle scelte per poi elaborare delle nuove pratiche operative più adeguate, flessibili ed aperte.
A Nottingham, eravamo soliti operare in un ambito scandito dai ritmi e dagli schemi di lavoro tradizionali del museo, conformemente a ruoli e funzioni ben definiti e stabiliti. Nel processo di apertura, ci siamo resi conto che a molti dei nostri pubblici target tutto ciò non importava e non interessava affatto. Abbiamo, dunque, cominciato ad esplorare delle vie alternative per interfacciarci con i vari tipi di pubblico, scegliendo delle modalità che avessero maggiore attinenza con la loro vita, i loro interessi e le loro preoccupazioni.
Abbiamo capito che non potevamo imporre e stabilire dei rigidi obiettivi sin dall’inizio di un progetto, né era in nostro potere prevedere con precisione i risultati di un dato progetto. Ma, al contrario, dovevamo essere più flessibili e pronti a tenere conto delle esigenze e delle istanze del pubblico per elaborare dei progetti in maniera più organica. Con la mostra ‘I nostri corpi, noi stessi’, abbiamo cercato d’individuare modalità nuove per relazionarci con i vari tipi di pubblico, che – come indicato chiaramente da studi e ricerche – percepivano i musei come dei luoghi tristi, noiosi e polverosi. In collaborazione con le organizzazioni partner, abbiamo organizzato tutta una serie di attività nell’ambito della mostra stessa, da corsi di danza all’aerobica, dallo Shiatsu alla Riflessologia e all’Aromaterapia. Per concludere, il rapporto convenzionale fra gallerie, musei e i loro diversi tipi di pubblici sta cambiando. Il modello tradizionale, autoritario ed elitario del museo vacilla sempre di più. Attualmente, i musei e le gallerie stanno cominciando ad acquisire una percezione di sé molto più ampia e a riconoscere il potenziale derivante dall’impegno in tematiche una volta considerate irrilevanti. I nuovi rapporti emergenti, illustrati nella presente indagine, sono basati sulla partecipazione attiva, sulla comprensione reciproca e sul processo decisionale condiviso con i pubblici stessi.

Richard Sandell  (vice direttore del Dipartimento di Museum Studies dell'Università di Leicester)

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