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2004 - Accessibilità fisica e sensoriale, a cura di Andrea Canevaro

 1. Quali attenzioni prioritarie devono porsi le istituzioni culturali (il museo) quando intraprendono attività educative rivolte a pubblici svantaggiati?

Ritengo che le istituzioni culturali debbano, come tutti i soggetti, porsi nell'ottica delle "buone prassi".

L'espressione "buone prassi" è entrata nell'uso comune in Europa per indicare quelle azioni necessarie a trasformare le organizzazioni culturali, sociali, istituzionali, perché tengano conto di una realtà completa e non della realtà che potremmo definire amputata. Amputata di cosa? Della parte che spesso non viene ritenuta l'elemento a cui fare riferimento per costruire le organizzazioni, la parte che esce e non entra nel concetto di normalità.

Sembra quasi un discorso scontato ma non è così.

Il modello di riferimento nel costruire la rete dei trasporti, la rete dei servizi bancari, postali, le stazioni ferroviarie, gli accessi alla cultura, alle biblioteche, non è fatto tenendo presente il reale di una società che contiene delle differenze; tra queste le disabilità.

La possibilità di seguire un percorso di buone prassi è quindi la necessità di mettere in moto progressivamente la costruzione di un modello più reale e che si perfeziona in itinere. Le stazioni ferroviarie ne sono un esempio. Più volte abbiamo rilevato, con l'aiuto delle studentesse e degli studenti, che il personale delle ferrovie ha una disposizione d'animo molto positiva, ed è quindi capace di risolvere molte situazioni difficili. Lo fa avendo indicazioni di un modello organizzativo che non è presente in tutte le stazioni ma, laddove è presente, è costruito secondo l'idea di un percorso differenziato.

Chi ha una disabilità dovrebbe segnalarsi in anticipo, prendere contatto, possibilmente con un certo numero di ore di anticipo, per potere avere a disposizione una buona organizzazione personalizzata: accesso ai binari attraverso vie diverse da quelli che tutti gli altri viaggiatori percorrono, possibilità di accesso ad un bagno attrezzato, abitualmente chiuso per non deteriorarne l'uso, ecc.; molte particolari condizioni che, a guardar bene, possono essere utili non solo per chi ha una disabilità in termini conclamati ma anche per coloro che per l'età, per un periodo di transizione che può comportare sia una gravidanza che una gamba ingessata, per una particolare situazione che è propria - parliamo di stazioni ferroviarie - di chi viaggia, molti bagagli, un bambino piccolo da sorvegliare in qualche modo e portare con sé nel viaggio, o condizioni culturali, ad esempio difficoltà di comprendere perché si parla un'altra lingua, si appartiene ad un'altra cultura, gli stessi sportelli per fare il biglietto non sono molto adatti a offrire un servizio che sia accogliente per tutte queste ipotesi e le altre che si possono fare.

Cambiare una stazione ferroviaria non è cosa che si realizza in un momento, però avere in testa un modello e utilizzare tutte le situazioni che si presentano di ammodernamento, di manutenzione, per conseguire quel modello è possibile.

Questa è la dinamica delle buone prassi, e dunque una dinamica che ha come elemento di fondo quello di riconoscere una realtà nel suo complesso e non la realtà che abbiamo definito "amputata". Le istituzioni culturali, come un museo, devono mettersi in quest'ottica, ed utilizzare ogni occasione (ammodernamento, manutenzione, accesso a fondi speciali,...) per sviluppare un'organizzazione di buona prassi.

2. Dal suo osservatorio professionale, quali sono gli elementi di forza e quali quelli di criticità nella relazione educativa tra il museo/il bene culturale e il pubblico diversamente abile?

L'educazione di cui parliamo dovrebbe essere quella che viene chiamata di "cittadinanza attiva".

Nel caso delle persone disabili, e sempre nell'ottica delle buone prassi, credo che ci sia da affrontare un'operazione non proprio semplicissima.

Perché? Le stesse persone disabili potrebbero avere come riferimento per la risposta ai propri bisogni il modello che non è delle buone prassi, e quindi richiedere, forse con l'elemento urgenza, come quello che fa scattare la richiesta, percorsi speciali non integrabili nella riorganizzazione: ottenere sostegni, ausili particolari, piste facilitate, straordinarie, e quindi far sempre riferimento alla eccezionalità e non alla buona prassi normale; quindi le persone handicappate hanno bisogno di essere coinvolte nella progettazione delle buone prassi, della comprensione della logica che sta sotto le buone prassi, e devono diventare protagoniste di una realizzazione che va un po' oltre la soddisfazione immediata del bisogno, perché esige non tanto il superamento quale che sia dell'ostacolo, in qualsiasi modo dell'ostacolo, quanto l'organizzazione che consenta di ridurre o eliminare gli ostacoli organizzativi.

Questa disponibilità a costruire un progetto è necessaria in tutti, quindi, negli stessi disabili che a volte potrebbero ritenere più urgente la soluzione in qualsiasi modo del proprio problema contingente, più che la costruzione delle buone prassi.

Esige anche, naturalmente, la stessa capacità di conversione delle attitudini, delle abitudini, da parte di molte professioni, si potrebbe dire di tutte, perché è evidente, o dovrebbe esserlo, che la dizione "buone prassi" non è riservata, non è un elemento che rivolge le proprie attenzioni e ha bisogno unicamente degli specialisti, dei professionisti che si occupano di disabilità ma riguarda un'organizzazione sociale nel suo complesso, più completa, e quindi tutti coloro che ne fanno parte, con altre professioni che non ritenevano, nello sceglierle o nel trovarsi a svolgerle, di doversi occupare di persone disabili e handicappati, di riduzione di handicap; ritenevano che tutto ciò sarebbe stato lontano dalle loro competenze, e invece devono essere implicati e farsi competenti.

Questo comporta una riorganizzazione delle attitudini di competenza e, elemento molto importante, comporta la possibilità di riconoscere che le competenze che per una certa abitudine culturale vengono definite 'grezze', cioè non accademiche, siano un arricchimento perché si trovano diffuse in tutte le situazioni umane e hanno bisogno di un collegamento con le competenze accademiche formate professionalmente e più specificamente dedite a una professionalità in un campo.

3. Quali apprendimenti (conoscenze, competenze, atteggiamenti) può promuovere il museo nei confronti dei diversamente abili?

La persona molto capace di far da sé e la persona molto bisognosa dell'aiuto degli altri hanno dei bisogni comuni.

E' la larga base di una piramide che ha più punti, probabilmente, perché la base comune, poi, permette di alzare le punte verso dei bisogni più individualizzati, ma in comune vi è una base. Gli apprendimenti più importanti sono informali, e non riguardano aspetti specifici, ma la risposta ad un bisogno che esige la collaborazione attiva: è il bisogno di appartenenza. Sovente abbiamo privilegiato la questione dell'identità. Ed anche nel rapporto con le persone disabili, abbiamo cercato l'affermazione dell'identità, con l'implicito riconoscimento della stessa.

Ma a volte, l'implicito può essere dimenticato, e può accadere che la dimensione identitaria prescinda dal senso di appartenenza. Che non ha confini. Le arti possono permettere il riconoscimento dell'umano nella molteplicità delle identità. Di questo abbiamo bisogno tutti. E le istituzioni culturali che sono i musei, possono darci il senso di una storia che è fatta di limiti rimessi in discussione. Non sempre il rimettere in discussione un limite significa superarlo.

A volte significa organizzarsi per accettarlo, per aggirarlo, per convivere senza sentirsi inchiodati ai propri limiti. Non è facile, ma si può. C'è anche una dimensione estetica, e non estetizzante, che può essere importante. Significa trasmette una capacità importante quale è il senso delle proporzioni, il gusto per il rapporto equilibrato, per la sottolineatura giusta. Anche di questo abbiamo bisogno tutti.

4. Quali strumenti di aggiornamento, pubblicazioni, siti internet e materiale può consigliare per approfondire la conoscenza del tema?

Il senso di una formazione permanente, utile per tutti e per tutta la vita, può essere riassunta in uno stile che permetta di raggiungere e mantenere vivo un modo di procedere composto dalla collocazione di un fatto occasionale su uno sfondo e sulla ricerca delle informazioni per approfondirne le conoscenze. E' importante capire lo sfondo in cui viviamo la disabilità, e può essere utile un testo che posso consigliare senza timore di sembrare narcisista (essendo un libro con molte voci).

E' il testo D. Ianes, A. Canevaro, Diversabilità. Storie e dialoghi nell'anno europeo delle persone disabili , Erickson, Gardolo di Trento, 2003.

Vi sono poi molti siti, che sono certamente utili. Ne segnalo solo alcuni, che possono permettere buone complementarietà fra individui e istituzioni.

www.ausilioteca.org

www.disabili.com

www.Intercultura.it

www.leonardoausili.com

www.scuolaturismo.org

Andrea Canevaro - Ordinario di Pedagogia Speciale, Università degli Studi di Bologna

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