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Bambini al museo o il museo a scuola? Il museo scolastico come strumento di didattica attiva: l’esempio della scuola XXV Aprile di Torino


(articolo pubblicato sulla rivista “Infanzia” dell’Università di Bologna, n. 3-4-, focus, settembre 2013)

 Bambini al museo o il museo a scuola? È certamente possibile, in maniera immediata e non complessa, far “entrare” un museo a scuola. Si tratta del caso del museo scolastico. Esso non è semplicemente una collezione di proprietà della scuola o esposta all’interno della scuola (ad esempio l’esposizione di ceramiche realizzate dagli alunni o donazioni ricevute negli anni come quadri o monete) bensì l’insieme di materiali appartenenti alla stessa scuola e ai suoi alunni che rappresentano l’intera vita della struttura scolastica. Sia che si voglia attribuire al museo scolastico il compito di rappresentare la storia di una determinata scuola, dalla sua costruzione in poi, sia che si vogliano, al contrario, evidenziare solo le sue specificità, il museo scolastico può divenire uno strumento di didattica attiva, da realizzare insieme con gli alunni e da vivere negli anni successivi per lezioni di diverse materie (dalla storia alla matematica, dall’italiano alla geografia) che partano dall’osservazione per poi supportare, per similitudine o per contrasto, la trattazione del programma scolastico attuale.

I musei scolastici ieri

L’idea di un museo scolastico non è di certo nuova: nel 1887 Fernand Buisson, direttore del Servizio di statistica dell’insegnamento elementare in Francia, nella prima edizione del suo Dictionnaire de pédagogie et d’Instruction primaire illustrava come il museo scolastico fosse una collezione d’oggetti, in parte naturali (foglie, rami, …) in parte costruiti (sussidi didattici), usati dal maestro per l’insegnamento noto con il nome di “lezione di cose” e atto a fornire ai bambini idee chiare, esatte, in particolare su ciò che li circonda[1].

Frutto evidente del positivismo, il museo scolastico a fine Ottocento diviene dunque strumento della didattica quotidiana in classe dove il bambino attraverso l’uso dei cinque sensi, poteva avvicinarsi in maniera spontanea all’apprendimento: è la base dell’imparare facendo, che a sua volta dà vita al metodo induttivo per cui se il bambino ha fatto suo un concetto e il processo di apprendimento poi lo può autonomamente applicare ad altri campi.

In Italia è il pedagogista Aristide Gabelli a introdurre ufficialmente il museo scolastico nei suoi programmi scolastici per la scuola elementare del 1888: “se nella scuola ci sarà una collezione di oggetti, il maestro non ometterà di giovarsene. Ma se no, può supplire a tutto colla sua diligenza e con suo ingegno. Trattandosi di porre l'alunno per così dire a contatto col mondo delle cose, i mezzi non possono mancargli, dacché questo mondo c'è dappertutto e in esso viviamo. Oltreché egli può portare in classe, e gioverà che lo faccia, insetti, pianticelle, fiori, frutta, prodotti industriali di poco o nessun costo e che si trovano da per tutto. I banchi, le invetriate, la bottiglia dell'acqua, l'inchiostro, la lavagna su cui scrive, il gesso, la matita, la spugna, la carta che tiene in mano, gli offrono il modo di dare una dilettevole varietà al suo insegnamento, somministrando ai suoi alunni varie ed utili cognizioni”[2].

Negli anni successivi la presenza dei musei scolastici viene sempre più caldeggiata a livello ministeriale e contemporaneamente le descrizioni dei materiali che deve contenere diviene ancora più precisa: “il museo della classe potrà comprendere almeno qualche pelle di animale, della ali di uccelli, denti di carnivori, di roditori, inoltre pesci, rettili, piccoli anfibi (rane e girini) conservati nell’alcool e specialmente rettili innocui e velenosi (lucertola, ramarro, biscia d’acqua, vipera, ecc). Non sarà difficile poi mettere insieme una collezione di insetti, coleotteri, lepidotteri, ecc. Si abbia speciale cura che non manchino formiche coi loro bozzoli, il bombice del gelso, delle api con qualche favo e così via. Per la chimica ogni scuola deve avere varie sostanze comuni come il carbonio, il calcio, il sodio, il potassio, i principali reagenti, le bottiglie di vetro, lampada di sicurezza Davy, una ciotola di evaporazione, vasi per raccogliere i gas, mortaio, pestello, mestolino, tutti di vetro […]. Del museo di classe dovrà perciò far parte anche un piccolo
erbario con esemplari delle principali famiglie e specie, particolarmente di quelle che crescono nel luogo. Nel piccolo museo delle classi femminili non dovrebbero mai mancare il metro, numerosi modelli di taglio, modelli di strumenti e album di lavori, campionario delle tele”[3].

Ancora i programmi ministeriali del 1923 parlano della necessità di disporre tra le dotazioni scolastiche di “un museo didattico comune alle varie classi di una scuola o a tutte le classi di una città” anche se le voci contrarie al museo scolastico avevano a quest’epoca già iniziato a farsi sentire, come testimonia la posizione a riguardo espressa dal noto pedagogista Lombardo Radice che aveva di fatto redatto questi programmi emanati dal ministro Gentile[4].

In ogni caso moltissime scuole italiane si dotano del proprio museo scolastico, alcune anche dando alle stampe cataloghi dettagliati di tutti i materiali raccolti, come testimonia quello della scuola maschile di via S. Orsola a Milano (1908), il testo edito dal Comune di Monselice (1913) con le raccolte didattiche delle sue scuole oppure ancora il catalogo del museo scolastico dell’Istituto Carducci di Como (1922).

Dagli anni Venti in poi i musei scolastici conoscono un periodo di scarsa fortuna durante il quale vengono dimenticati e dispersi. Solo a partire dalla fine degli anni Novanta del Novecento ritroviamo sporadici esempi di scuole che riportando in luce vecchi sussidi didattici decidono di raccoglierli e di allestire un’aula dedicata al passato, generalmente alla specifica storia della propria scuola.

I musei scolastici oggi

Si nota con facilità come questi nuovi musei scolastici mutino notevolmente la loro collezione rispetto all’accezione tradizionale vista fin qui: non più oggetti di didattica contemporanea, ma storica, privi della sezione dedicata alla collezione “naturalistica” cioè materiali raccolti dai bambini (foglie, terre, insetti).

Ma riflettendo a fondo su questo cambiamento è importante osservare come in realtà è possibile sfruttare molto più pienamente le potenzialità di questi musei scolastici: essi piuttosto che essere visti soltanto luogo della memoria e della didattica del passato, possano ritornare ad essere, come in origine, un luogo compartecipato, una sorta di “fucina” delle lezioni che, partendo dall’osservazione, scaturiscono in maniera quasi naturale portando il bambino a interrogarsi e a divenire protagonista attivo del proprio apprendimento. Si può quindi giungere fino a considerare il museo scolastico come una sorta di laboratorio permanente all’interno della scuola, un luogo di apprendimento partecipato in cui i principi dell’insegnamento oggettivo vengono messi in pratica; un centro di inclusione dove tutti possono riconoscersi, senza distinzione di età, lingua, cultura; una palestra dove apprendere un metodo di studio attraverso le fonti.

 

Su questi presupposti e dunque sulla volontà di trasformare i musei scolastici in luoghi non nostalgici ma interattivi, nasce la collaborazione tra l’Associazione Strumento Testa - che si occupa specificamente di storia della scuola e di oggetti scolastici storici (www.strumentotesta.org) -
e il Comune di Torino, Direzione Centrale Cultura, Educazione e Gioventù, Servizio Archivi, Musei e Patrimonio Culturale.
Quest’ultimo attraverso il portale Museiscuol@ (www.comune.torino.it/museiscuola) mette in contatto il mondo della scuola con le realtà museali e si occupa di sostenere la diffusione della cultura museale presso i più piccoli.

Le due istituzioni si sono interrogate su come fare a realizzare questo laboratorio attivo che è il museo scolastico nell’accezione che si è voluta attribuirgli e soprattutto su come sostenere gli insegnanti, da un lato, e coinvolgere direttamente i piccoli alunni, dall’altro.

L’esperienza della scuola XXV Aprile

La sperimentazione è avvenuta con la scuola primaria XXV Aprile di Torino che, volendo festeggiare i suoi primi 30 anni di esistenza, era alla ricerca di un’attività capace di valorizzare la propria storia e nel contempo di gettare le basi per un progetto continuativo nel tempo, che non si esaurisse con le celebrazioni di una giornata. Il fatto che nel 2012 essa festeggiasse i suoi trent’anni di vita, e quindi una vita molto giovane rispetto alla maggior parte delle scuole torinesi che affondano le proprie radici nella grande campagna di costruzione di edifici scolastici conclusasi negli anni Trenta,  ha fatto pensare che potesse essere la scuola ideale per raccogliere la sfida di interpretare il museo non come specchio di un passato nostalgico (e senz’altro affascinante) come quello ottocentesco e primo novecentesco, ma di una realtà tutto sommato recente e vicina.

Ma questa scuola era ideale per un secondo motivo: si tratta di una realtà ubicata nell’estrema periferia torinese, in una realtà particolarmente complessa costituita da bambini con una frequenza alterna, poca partecipazione familiare, difficili problemi di integrazione e di disoccupazione. In questo contesto la scuola ha sempre costituito uno dei pochi punti di incontro, di integrazione, di accoglienza e doveva quindi trovare uno strumento capace di permettere di continuare ad esserlo.

Ci si è chiesti dunque se il progetto “museo scolastico” potesse da un lato essere un valido aiuto per provare a contribuire alla soluzione di queste complessità, dall’altro se fosse in grado di rappresentare una scuola giovane ma con alle spalle una vita già così significativa fatta di scelte didattiche ben precise (abbandonare i libri di testo in favore di testi autoprodotti in classe con i bambini, mantenere pagelle prive di voti ma con giudizi ampi e capaci di rappresentare l’alunno, portare i bambini in vacanza a Loano per far vedere loro il mare molto spesso per la prima volta nella loro vita,...).

La risposta a queste domande è stata la messa a punto dei “sette passi”: un percorso guidato atto a coinvolgere bambini e docenti nell’autorealizzazione del proprio museo scolastico. Siccome questo museo doveva fungere da elemento di aggregazione, di esplicitazione della propria identità scolastica e di partecipazione da parte di tutti (anche di quei bambini stranieri appena arrivati in Italia), la sfida non si presentava semplice. Ecco una breve presentazione del percorso intrapreso e che ha coinvolto gli alunni di tutte le classi, dai 6 agli 11 anni. I bambini, trasformatisi in piccoli detective, sono stati invitati a compiere una sorta di caccia al tesoro nella propria scuola per osservare la propria scuola con occhi più attenti rispetto a quelli usati nella quotidiana vita scolastica e a reperire tutti quegli oggetti che loro ritenevano significativi della storia e dell’identità della scuola.

Una volta raccolti fisicamente foto, pagelle, vecchi quaderni, sussidi didattici vari quali ad esempio il corpo umano, le bilance con i pesini e le tavole murali, è iniziata una fase di identificazione del materiale stesso. L’esercizio di osservazione diveniva ora anche interrogazione dell’oggetto. Per fare questo è stata predisposta una scheda che guidasse alunno e docente e che permettesse di dar vita a osservazioni omogenee e confrontabili tra loro.

Ci si è poi interrogati insieme su cosa esporre e in che modo. Riflettendo sugli obiettivi del progetto e quindi sui trent’anni di vita della scuola e sulla sua identità, gli alunni stessi hanno stabilito i criteri per raggiungere un corpus definitivo, che potremmo chiamare “la collezione”, e la relativa modalità espositiva. Guidati dagli insegnanti hanno infatti selezionato i materiali capaci, a loro giudizio, di far comprendere i cambiamenti della XXV Aprile dal punto di vista di edificio, di materie scolastiche, degli alunni, delle specificità della scuola. Di conseguenza, nell’ordine, si è deciso di esporre: disegni architettonici e foto degli spazi, la sua ubicazione all’interno del quartiere e quindi elementi di storia locale; registri, pagelle, quaderni e supporti didattici compresi quelli più recenti come il computer che facessero comprendere anche le nuove materie entrate nelle vita scolastica; foto di classe e analisi della provenienza degli alunni fatta attraverso studio dei registri e grafici (….realizzati con i mattoncini del Lego!); foto di gite scolastiche, angoli dedicati alle varie scelte didattiche come la lettura in classe, o la volontà di porre il bambino al centro della vita scolastica (riportando il pensiero ispiratore della scuola “Meglio una testa ben fatta che una testa piena”).

Poiché l’obiettivo era quello di far vivere agli alunni il museo scolastico come ambiente in cui riconoscersi e ritrovarsi, sono stati invitati anche a pensare a che genere di allestimento volevano e secondo quale percorso.

Ulteriore passo è stato quello di passare alla realizzazione vera e propria del museo e quindi allo spostamento dei materiali, di armadi e supporti espositivi ma in questo sono venuti in aiuto diversi genitori volontari. Gli alunni sono stati nuovamente interpellati per decidere gli aspetti di comunicazione: cosa si voleva dire dei singoli oggetti, quale peculiarità mettere in luce e e come farlo. Si è trattato di un processo di riflessione congiunta, fatto in parte da lavoro di gruppo degli alunni che si sono confrontati gli uni con gli altri, in parte da domande guidate da parte dell’insegnante per raggiungere l’obiettivo.

Al termine di questo percorso durato l’intero anno scolastico, una volta arrivati alla realizzazione completa del museo scolastico, ci si è resi conto che questo progetto era riuscito non solo a rappresentare l’intera storia della XXV Aprile ma anche a rinforzare la sua identità facendo evidenziare in modo chiaro i principi ispiratori e risaldando lo spirito di gruppo di docenti da un lato e di alunni dall’altro. E soprattutto ha funzionato da valido laboratorio di inclusione: bambini di origini diverse, i cui genitori non erano neppure in Italia quando la scuola è nata, ora si sentivano protagonisti della sua storia, conoscevano il quartiere nonché la storia dell’istruzione in Italia, almeno negli ultimi trent’anni e la condividevano orgogliosamente con le loro famiglie, come dimostra il grande e allegro afflusso multietnico il giorno dell’inaugurazione.

Gli alunni sono stati di certo al centro dell’intero processo di realizzazione del museo scolastico, ma hanno anche percepito il fatto di essere protagonisti del proprio apprendimento? Lo abbiamo chiesto a loro (classe II e IV):

Iman: “Quando facciamo questi lavori mi sento curiosa, voglio scoprire”.
Alessandra: “Lavoriamo soprattutto con gli occhi e con la memoria. Quando lo faccio mi sento più libera!”.
Luca: “Mi è sempre piaciuto fare cose come intervistare, ricercare, descrivere… Quando faccio queste cose mi sento “entrare nella storia” e mi sento anche più sicuro di non sbagliare!”
Lorenzo P.: “Quando svolgo questo lavoro mi sento bene”.
Elena: “Io penso che le persone che verranno a visitare il museo potranno conoscere non solo la storia della scuola, ma anche quella del quartiere e quindi i suoi cambiamenti”.
Simone P.: “Sono attività che ti fanno sentire importante…”
Zakaria: “Io penso che fare questo lavoro sia importante ed utile soprattutto per noi che esploriamo il nostro passato!”
Stefano: “Scavando nel passato forse potremo scoprire le radici della nostra scuola e del nostro quartiere”
Germin: “L’idea di fare un Museo della scuola mi attira: cercare oggetti, analizzare carte e documenti…. mi fa vivere con gli occhi e con il pensiero cos’è la storia”.
Demis: “Tutto quello che stiamo facendo serve a sapere nuove cose”.

A distanza di oltre cento anni dalle prime applicazioni del museo scolastico per le lezioni oggettive il potenziale del museo scolastico non è di certo venuto meno. Può essere modificato nelle sue collezioni e nello scopo del suo uso ma rappresenta un valido strumento didattico capace, per la sua versatilità di essere utile a tutte le scuole, indipendentemente da quali siano le sue esigenze e specificità. E capace di coinvolgere alunni di ogni età, dai più piccoli ai più grandi, ognuno protagonista secondo il suo punto di vista e il suo livello di conoscenze in fase di formazione[5].

 

 


[1] Ferdinand Buisson, Dictionnaire de pédagogie et d’Instruction primaire, Hachette, Paris, 1887, pagg. 1982-1989.

[2] Riforma dei programmi delle scuole elementari emanati con R.D. 25 settembre 1888, n. 5724 in “Bollettino Ufficiale del Ministero della Pubblica Istruzione”, anno 1888, pp. 482-512.

[3] Riforma dei programmi per le scuole elementari emanati con R.D. 29 novembre 1894, n. 525, in “Bollettino Ufficiale del Ministero della Pubblica Istruzione”, anno 1894, pp. 1888-1916.

[4] Programmi di studio e prescrizioni didattiche per le scuole elementari emanati con R.D. 1 ottobre 1923, n. 2185 in “Bollettino Ufficiale del Ministero della Pubblica Istruzione”, anno 1923, pp. 4590-4627. Su questi temi si veda: D’Ascenzo M. – Vignoli R., Scuola, didattica e musei tra Otto e Novecento. Il Museo didattico “Luigi Bombicci” di Bologna, CLUEB, Bologna, 2008, pp. 21-31.

[5] Si ringraziano sentitamente le insegnanti della scuola XXV Aprile, in particolare Elena Bissone e Claudia Molinatto e Franca Treccarichi, responsabile della redazione di Museiscuol@.

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