IL LABORATORIO DI REALTÀ

Gernot Tscherteu




Tutta la nostra cultura è una costruzione, un'interfaccia utente per affrontare la nostra quotidianità e la totalità delle nostre relazioni sociali.

Ci muoviamo in un'enorme bolla di cultura che l'umanità ha creato nel corso della sua storia per mezzo di utensili e media. Da questo punto di vista, quindi, è errato dire che noi "abbiamo conquistato la terra e domato la natura", sarebbe più corretto dire che "ci siamo creati il nostro posto nel mondo", o ancora più corretto che "ci siamo creati il nostro mondo". In quest'ottica natura e cultura sono entrambe ugualmente costrutti.
Gli sviluppi mediali cui al momento assistiamo ci consentono di farci un quadro particolarmente approfondito della nascita della realtà, perché in prima persona e a velocità mozzafiato viviamo il prodursi di nuove forme di comunicazione e di cultura in internet. Questo breve saggio si rivolge a coloro che seguono attentamente la nascita del nuovo medium e che vogliono prendere parte attiva alla costruzione di realtà.


Un medium globale - molte realtà

I vecchi media come lo stato, la stampa nazionale e la televisione mettono in primo piano la condivisione generalizzata di UNA SOLA realtà. Il telegiornale, la finale di coppa del mondo, il festival della canzone, è qui che viene orchestrato il corpo sociale, è qui che l'uomo moderno riceve la comunione con l'ente collettivo chiamato "società". Ma il concetto stesso di "società" è un costrutto, un costrutto che meglio si confarebbe al 19° e 20° secolo, quando LA realtà era ancora connotata da stati nazionali e progresso industriale. Se però ci domandiamo se esista una qualche forma di "società europea" o di "società di internet", appare evidente che il termine "società" è ben poco adatto a descrivere i fenomeni della globalizzazione e di internet. Questi due fenomeni ci mostrano piuttosto che in uno stesso sistema possono aver posto anche più realtà contemporaneamente, anzi devono per forza averlo. Nulla sembra più pericoloso, al momento, della pretesa di una realtà onnicomprensiva, globale.
Poiché la crescente integrazione dei processi economici e la rivoluzione mediatica distruggono l'illusione di realtà nazionali protette, siamo costretti a sviluppare una concezione multipla della realtà, per riuscire a gestire le differenze culturali. Per far questo non ci vuole solo tolleranza, nel senso di "sopportazione della differenza", ma anche la capacità di costruire nuove strutture comunicative e nuovi spazi culturali con "estranei". La tolleranza è il fondamento, ma su di esso devono sorgere nuove strutture di comunicazione create collettivamente con cui poter affrontare problemi collettivi come la povertà, l'ambiente, il clima, etc. Probabilmente la rivoluzione dei media (che ha dato un contributo sostanziale alla globalizzazione) può essere letta, a seconda dei punti di vista e con pari legittimità, sia come problema che come opportunità. A questo punto vorrei spezzare una lancia per le possibilità che essa offre: non solo credo che internet sia un mezzo prezioso ai fini della comunicazione globale, ma è anche come una metafora o come un laboratorio dove nascono nuove forme d'interazione e nuove culture. La rete mostra in maniera impressionante l'abbondanza di attività umane, e mostra anche le loro enormi differenze. Se è vero che tutte condividono la stessa tecnologia, le realtà costruite di volta in volta non potrebbero essere più diverse. In internet le distanze tecnologiche sono minime ("one click away"), ma interi mondi (culturali) separano i singoli siti e le singole communities. Ed è proprio questa compresenza di culture tra loro diversissime che può prepararci a una convivenza globale.


Immersione

La televisione ha costruito la nostra realtà, ma noi non abbiamo potuto contribuire all'opera. Ecco perché non si ha quasi coscienza dell'effetto di alterazione delle coscienze insito nei media. Siamo abituati a immergerci in un medium, più che dargli forma noi stessi. Tuttavia questa incapacità non si fonda tanto sulla manipolazione quanto su un problema che sta più alla base: se ai media prestassimo sempre un'attenzione cosciente, non potremmo utilizzarli. Immaginate di starvene seduti davanti al computer e di verbalizzare ogni cosa:

 Sposto il puntatore del mouse sul menù "file" e scelgo "nuovo" per aprire un documento vuoto. Un documento è un oggetto in cui vengono editati e salvati i dati. In questo caso si tratta di un documento Word del produttore Microsoft, un monopolista di software su scala mondiale che ha dato un'impronta fondamentale al nostro concetto di elaborazione di testi. Magari l'elaborazione di testi potrebbe avere un aspetto completamente diverso, ma ormai non possiamo più saperlo. Accidenti, cos'è che volevo?...









No, meglio lasciar perdere. Utensili e media funzionano realmente solo se ce ne lasciamo assorbire. I game-designer la chiamano immersione. Significa che la persona dimentica tutto ciò che le sta intorno e nell'interagire non usa più alcuna attenzione cosciente nei confronti dello strumento. Migliore è l'effetto di immersione, tanto più autentico e reale è il medium. E questo non vale solo nel caso dei cosiddetti nuovi media. Spazi interattivi consolidati come la casa, la famiglia, la ditta etc. spesso hanno per noi un che di accogliente, perché ci danno un permanente effetto d'immersione e al contempo si "piantano" piuttosto di rado. Il crash non è altro che l'espulsione dal paradiso immersivo. E con il crash, talvolta, l'utente si accorge che in fondo il mondo in cui si trovava è limitato nel tempo ed è apparenza. Viene colto da un attimo di disorientamento, una piccola crisi epistemologica che supera ripristinando il setting interattivo (riavviando il sistema sociale o il computer) o rivolgendosi a uno nuovo. La natura dell'immersione si fonda sul presupposto che esistano interazioni sicure, standardizzate:

 So come si apre il frigorifero e dov'è il burro. So che ho un posto per dormire e che è facile da usare. Il martello ha un'impugnatura e la parte d'acciaio sul davanti è per i chiodi.




Tutti gli utensili e gli artefatti con cui abbiamo costruito i nostri spazi culturali e i nostri media offrono dunque moduli d'azione che all'occorrenza possiamo adoperare senza dover per forza ripercorrere la loro complessa genesi. Non siamo costretti a reinventare ogni volta daccapo il martellare, il segare, il radiotrasmettere, il telefonare, la posta elettronica. Artefatti e utensili sono shortcuts per affrontare la nostra quotidianità, e la loro affidabilità e disponibilità generalizzata ci danno sicurezza e comfort.
E proprio qui, paradossalmente, sorge un problema enorme. La cultura poggia sull'innegabile comfort costituito dal fatto che, sotto forma di tecniche e media, noi accumuliamo un arsenale di possibilità d'interazione e di comunicazione che però ci serve davvero solo se escludiamo il suo uso dalla nostra attenzione [1]. In altre parole: in tutta la sua scontatezza1 la maggior parte della nostra cultura ci sfugge, e tendiamo a raggiungere la fase di immersione il più in fretta possibile, spesso ancor prima di aver affrontato un'innovazione sul piano della coscienza. In pratica siamo piuttosto pigri: vogliamo trarne beneficio senza elaborarla, e ciò avviene quanto più si accelera il "progresso tecnologico".
Naturalmente questo rende anche più difficile compiere il salto evolutivo da consumatore di media a produttore di media. Chi ha sempre fatto una vita da couchpotatoe difficilmente si trova a suo agio in un ambiente mediale che richiede attività propria [2], e spesso esercita un rifiuto della realtà in un significato nuovo: non nel senso di un rifiuto a "percepire" la realtà, ma nel senso di un rifiuto a partecipare alla produzione di realtà.


L'autopoiesi dei nuovi media nell'esempio dei "weblogs"

Mentre la televisione ci dà a intendere di ritrarre la realtà, i nuovi media ci offrono molte più possibilità di partecipare direttamente alla sua produzione. I produttori sono al contempo consumatori della realtà e viceversa; ecco allora che abbiamo in mano un valore inestimabile: possiamo tornare a essere coscienti del fatto che siamo noi a determinare la realtà, e possiamo anche partecipare attivamente alla sua produzione. In questo modo prendiamo in mano anche la nostra stessa personalità e reinventiamo la nostra identità.
La forza dei media progettati collettivamente e il loro effetto di alterazione dell'identità sono una questione relativamente annosa [3] in internet. Dopo la prima fase di newsgroups e online-communities incentrati su un interesse comune (per esempio il computer, il sesso, il calcio), nel movimento degli "weblogs" si è avuta ora una svolta di grande importanza: negli weblogs a stare al centro è l'individuo.
A prima vista un weblog è un diario online in cui l'autore o l'autrice espone i suoi interessi e le sue esperienze. Contrariamente al buon vecchio diario cartaceo, il weblog è pubblico e i lettori hanno la possibilità di rispondere. Di conseguenza anche il contenuto è meno intimo, e si rivolge volutamente a una piccola comunità di amici e conoscenti. Naturalmente anche gli amici hanno un weblog, e ognuno rimanda ad altri mediante links sulla pagina iniziale. E naturalmente ognuno vuole avere il suo weblog personale, e ormai tutto questo è diventato un piccolo movimento di massa. Non sono necessarie nozioni di HTML; si scrive e si edita in un webclient.
Per lo più ci si dedica a temi banali, come l'ultimo film o l'ultimo concerto che si è visto, oppure si commentano i siti web visitati. Ma non è questo il punto. Il fatto interessante, per noi, è che ha preso forma un movimento letterario di massa in cui molte persone iniziano a scrivere pubblicamente. Dal momento che gli autori scrivono i loro pensieri e i lettori i loro commenti nell'arco di diversi anni, qui diventa visibile e ripercorribile la genesi e l'evoluzione della loro identità di rete. L'intessersi delle personalità e i reciproci influssi tra gli autori sono ritratti alla perfezione.
Ma la diffusione massificata e la grande somiglianza per forma e struttura ci offrono anche un bel quadro dell'autopoiesi di un medium: anche senza manovrare l'evento e senza istituzioni di standardizzazione, un medium nasce spontaneamente, quasi da sé. L'impulso sta nella fervida voglia di scrivere e nell'entusiasmo disinteressato di designer e programmatori. Le strutture che prendono forma nel medium nascono spontaneamente e seguono interessi collettivi. O, in altre parole, gli interessi individuali stimolano la diffusione e la standardizzazione: ognuno ha interesse a essere letto e trovato, e perciò ci si attiene a certe convenzioni minime senza che nessuno abbia preteso la loro osservanza. Su questa base diviene allora possibile la comunicazione, e come ulteriore conseguenza la nascita di nuove identità e la costruzione comune di realtà.


Liberalismo? Sì, grazie!

E' esattamente così che immaginerei il "liberalismo"; non il libero gioco del capitale, un capitalismo da casinò che invade internet con irrealistiche aspettative di guadagno e di crescita, bensì il libero gioco di creatività e comunicazione che conduce a strutture reali e sviluppatesi naturalmente. - Un po' come Maria Montessori immaginava l'"ambiente propedeutico" per i bambini. - In pratica la differenza sostanziale tra una forma di sviluppo libera e una forma di sviluppo imposta sta nel fatto che mentre in quest'ultima viene stabilita a priori una struttura evolutiva, l'altra si limita a creare un ambito protettivo all'interno del quale lo sviluppo può aver luogo spontaneamente. Certi utensili e certe tecnologie possono stimolare l'autostrutturazione e la generazione spontanea (autopoiesi) dello spirito, ma il risultato a cui questo sviluppo conduce non è prestabilito, bensì segue le doti e le esigenze individuali. Internet non è certo come un bambino trascurato, anzi, semmai soffre di un eccesso di aspettative e desideri che il più delle volte puntano unicamente a risultati a breve termine. Questo comporta che quasi tutti i progetti vengano svolti secondo obiettivi irrealistici e con una fretta disumana. Ecco come si spreca lo spirito e l'energia umana. Ma evidentemente la rete ha un carattere forte, e non si lascerà abbattere. Come dimostra l'esempio degli weblogs - o anche il movimento legato a Linux - esistono culture di rete in cui lo spirito ha la possibilità di fluire e di cercarsi forme nuove in piena libertà. E sono proprio questi sviluppi lenti e a prima vista insignificanti che finiranno per affermarsi.


Glossario

Media
Un medium è ciò che noi accettiamo come uno standard comunicativo generalizzato. Non andrebbe immaginato come un anello di congiunzione tra i soggetti della comunicazione, ma semmai come un involucro comune o uno spazio a cui si può accedere. I media non sono mai neutri rispetto al contenuto che comunicano, ma anzi lo alterano. L'interazione in un medium ha sempre luogo sullo sfondo di tutte le interazioni precedenti, che definiscono questo spazio un po' come una stanza è definita dai suoi quadri, carta da parati, oggetti e utensili. In un medium si sviluppano sempre determinati modelli di interazione che da un lato riflettono le interazioni già avvenute e dall'altro sono a disposizione a mo' di guida per le interazioni presenti. Questi modelli d'interazione si manifestano in forma di utensili, programmi, attrezzi, ma anche in forma di parole e frasi. Quando noi comunichiamo in un medium, facciamo sempre ricorso a tali artefatti e dunque a modelli d'interazione standardizzati.
Il ricorso a modelli d'interazione preesistenti facilita la "formulazione" di un bisogno comunicativo, e in una certa misura garantisce anche di essere capiti da chi ci sta di fronte.

Nuovi media
Innanzitutto nei nuovi media non c'è alcun modello d'interazione standardizzato. A causa dell'elevata tecnicizzazione dei media, spesso gli standard vengono prestabiliti da tecnici o manager di marketing; ma nella pratica spesso non coincidono con i reali bisogni dell'utente, e in seguito vengono modificati in modo permanente. Sicché il cosiddetto e-commerce, per esempio, continua ancora a fallire per modelli d'interazione standardizzati e sicuri, come la scelta della merce o il suo pagamento. In linea di principio, però, la mancanza di modelli d'interazione standardizzati non va vista negativamente. Fa il "fascino del nuovo". E' un campo da gioco per sogni e visioni.
I media privi di modelli d'interazione standardizzati li chiamo "virtuali". Dal mio punto di vista, quindi, la virtualità non c'entra granché con l'illusione dei sensi o la simulazione, ma definisce piuttosto uno spazio culturale che si trova "in corso di realizzazione", che - come direbbe Flusser - "incita alla realtà". Per le persone capaci di visioni gli spazi virtuali sono il luogo più indicato per perseguire i loro obiettivi artistici e di trasformazione della società. Qui, grazie alla mancanza di standardizzazione, c'è molto spazio per modelli d'interazione non convenzionali e sperimentali, il che assume anche un grande valore per settori più stabili della nostra cultura. D'altro canto, però, uno spazio virtuale è un luogo piuttosto sfavorevole per svolgere affari, perché per questo ci vogliono standard e convenzioni. Leggi, contratti e programmi Microsoft non sono altro che modelli d'interazione altamente standardizzati che nel nuovo medium sono preposti alla sicurezza.
Visioni e interessi di profitto sono forze contrastanti, che però hanno bisogno l'una dell'altra e possono trarre vantaggio l'una dall'altra. Forse internet è anche uno spazio in cui trovano posto entrambe le forze, senza doversi necessariamente respingere. Forse però è solo questione di tempo, fin quando anche l'ultimo angolo della rete sarà regolato da leggi e totalmente commercializzato... ma a quel punto avremo già trovato un nuovo medium.


Riferimenti bibliografici

Media in generale:
McLuhan, Marshall (1964): Understanding Media. NY: McGraw Hill.

Immersione:
Laurel, Brenda (1991): Computers as Theater. Menlo Park, California: Addison-Wesley.

Utensile:
Bødker, Susanne (1991): Through the Interface - a Human Activity Approach to User Interface Design. Hillsdale, NJ: Lawrence Erlbaum Associates.

Comunità virtuale:
Rheingold, Howard (1994): Virtuelle Gemeinschaft, Soziale Beziehungen im Zeitalter des Computers. Bonn: Addison-Wesley.

Ipertesto:
Nelson, Theodor (1987), Literary Machines (Edition 87.1), published by the author; San Antonio, Texas.

Weblogs:
Blood, Rebecca (2000), Weblogs: a history and perspective, http://www.rebeccablood.net/essays/weblog_history.html

Autopoiesi:
Maturana, R. Humberto; Varela, Francisco J. (1987): Der Baum der Erkenntnis. Die biologischen Wurzeln des menschlichen Erkennens. Bern: Scherz.

Montessori:
Montessori, Maria (1972): Das kreative Kind (Der absorbierende Geist). Freiburg: Herder.

altre pubblicazioni dell'autore:
Tscherteu, Gernot (1998). Medien.Kulturen.Wirklichkeiten, zur kulturellen Bewältigung alter und neuer Medien. Tesi di laurea: Universität Wien.


Note:

[1] spesso e volentieri questa scontatezza viene simulata o perlomeno inscenata: il tecnofeticista ama maneggiare un nuovo artefatto (telefonino, palmare, PC tascabile) davanti a tutti, dimostrando così la leggerezza dell'essere.

[2] in quest'ottica possiamo leggere anche l'attuale spostamento a destra di Austria, Italia e altre parti d'Europa: qui una massa tecnologicamente sovraccarica si raccoglie sotto l'ingannevole manto protettore di vecchi monopolisti dei media. Berlusconi non è altro che il santo patrono di una cultura danneggiata dalla televisione, i cui seguaci non vogliono staccarsi dal familiare luccichio dei loro teleschermi.

[3] vedi per esempio "Comunità virtuale" di Howard Rheingold.