IL RISPETTO DEI DIRITTTI UMANI ALL’INTERNO DEL QUADRO DELLE NAZIONI UNITE E DEL DIRITO INTERNAZIONALE

(settembre 2002)

 

Evoluzione storica dei diritti umani.

Definire i diritti umani è un’operazione tutt’altro che semplice. Una prima risposta ci porterebbe ad affermare che "sono quei diritti riconosciuti nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948", ma ovviamente non basterebbe a chiarire il concetto.

In realtà la legislatura dei diritti dell’uomo è il risultato di una lunga evoluzione giuridica e storica che occorre tenere presente affinché si riesca a identificarne una forma e una sostanza. In altre parole, la rivisitazione della memoria storica, in particolare da un punto di vista giuridico, permette di disegnare i contorni nonché di capirne meglio i contenuti.

Fare un salto nel passato significa ritornare alla conquista delle Americhe. Avvenimento che ha costretto la cultura occidentale a confrontarsi con un popolo del tutto sconosciuto sotto qualsiasi profilo, specie quello umano. Più semplicemente, se l’Occidente riconosce, sostanzialmente, la cultura ottomana sia sotto il profilo politico che giuridico, lo stesso atteggiamento non lo si assume nei confronti degli "indios" del Nuovo Mondo. Avere a che fare con una comunità così "anomala", composta da individui così "diversi", conduce il mondo occidentale a chiedersi: "che cos’è un essere umano?".

Sono proprio le teorie giusnaturalistiche che permettono di far fronte, in qualche maniera, a tale enigma, attraverso l’idea per cui esiste un elemento di diritto imprescindibile legato al fatto che un individuo è un essere umano. Di conseguenza, indipendentemente dalle norme di origine storica e umana, esiste un complesso di norme universali di origine naturale.

Occorre, comunque, attendere la fine della Guerra dei Trent’anni per assistere alla nascita della comunità internazionale di Stati sovrani indipendenti. La pace di Westfalia del 1648 sancisce l’inizio del diritto internazionale (dominato dall’approccio giusnaturalistico), il quale deve essere in grado di regolare i rapporti tra gli Stati sovrani, considerati gli unici soggetti di diritto internazionale. E gli individui? In realtà alle persone non viene riconosciuta nessuna soggettività in quanto vengono considerati dei sudditi. Tale impostazione viene modificata in seguito al passaggio allo Stato Liberale, la cui vita copre il periodo storico che va dalla fine del XVII fino al XX secolo.

Lo Stato Liberale si fonda su un accordo a cui il sovrano ha il diritto-dovere di dare esecuzione; dall’altra parte del contratto non ci sono più i sudditi ma cittadini ai quali vengono riconosciuti i diritti civili e politici (diritto di partecipazione alle decisioni pubbliche, diritto di voto…). Per la prima volta si è di fronte a documenti solenni (Bill of Right del 1689, la Costituzione degli Stati Uniti, la Dichiarazione di diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 in Francia) che ufficializzano i diritti inalienabili dei cittadini fondati sul principio in base al quale ogni persona è uguale davanti alla legge.

E’ necessario sottolineare, però, che il principio di uguaglianza giuridica, all’interno dello Stato Liberale, anche se presente, viene solo toccato o, comunque, non rispettato nel modo più coerente possibile con il messaggio di cui si rende titolare il suo enunciato. Occorre assistere ad un ulteriore passaggio storico affinché tale principio si concretizzi in uguaglianza non più solo formale ma anche sostanziale di fronte alla legge: quello che porta alla nascita dello Stato Sociale (Welfare State). La data simbolica, in questo caso, è il 1929. In seguito, infatti, alla crisi economica, i paesi intraprendono la strada che porta a forma di assistenza sociale dando vita ai diritti sociali, economici e culturali (diritto all’istruzione, all’assistenza medica…).

Siamo, finalmente, davanti alle due grandi categorie di diritti umani: la categoria dei diritti civili e politici da un lato; quella dei diritti sociali, economici, culturali dall’altro.

La prima rappresenta i c.d. diritti negativi, nel senso che richiedono l’impegno dello Stato nell’astenersi dall’ostacolare l’attività dell’individuo. La seconda rappresenta i c.d. diritti positivi, in quanto esigono intervento attivo da parte dello Stato affinché i cittadini ne possano beneficiare.

 

A partire dalla Dichiarazione Universale.

Finalmente giungiamo al periodo del dopoguerra. La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948 è il frutto di una doppia mediazione: quella tra le molteplici culture mondiali rappresentate dai Paesi facenti parte le Nazioni Unite; quella tra le teorie giuridiche giusnaturalistiche e giuspositivistiche.

In realtà, tale documento presenta un "vizio" di fondo: ha lo status di dichiarazione, ossia non è giuridicamente vincolante. In altre parole, la Dichiarazione rappresenta un impegno a proseguire verso la realizzazione di tali diritti come obiettivo futuro. A tale documento, comunque, se ne aggiungono altri due: Il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici e il Patto Internazionale sui Diritti Sociali, Economici e Culturali, entrambi del dicembre 1966. I patti in questione, a differenza della Dichiarazione, sono giuridicamente vincolanti, vale a dire che gli Stati che li hanno firmati si vedono obbligati a rispettarli. Sia chiaro che l’attività giuridica in materia di diritti umani non si è arrestata ma ha dato vita ad altri documenti ufficiali come:

A questo punto è possibile tracciare una classificazione dei diritti umani attraverso la tabella a

Tab. a

CLASSIFICAZIONE DEI DIRITTI UMANI

Da un punto di vista storico

Da un punto di vista del soggetto tutelato

Da un punto di vista della pretesa verso lo Stato

Da un punto di vista delle condizioni di esercizio

1° generazione : diritti civili e politici

Individuali: dir. Alla vita, alla riservatezza…

Dir. Positivi: esigono un intervento dello Stato

Inderogabili

2° generazione: diritti sociali, economici e culturali

Collettivi: dir. Alla pace, allo sviluppo…

Dir. Negativi: l’attività dell’individuo non deve essere ostacolata dallo Stato

Derogabili, a determinare condizioni previste tassativamente dalla legislazione internazionale

3°generazione: diritti di solidarietà

Fonte: Training Amnesty International: "Introduzione ai diritti umani" 2001.

 

Domande e risposte.

Come abbiamo potuto notare, nella seconda metà del XX secolo si è prodotto un corpus legislativo in materia di diritti umani che racchiude circa duemila anni di storia. Tutto ciò è segno evidente di un progresso da parte dei popoli e degli Stati. Qual è, allora, l’esito di questa evoluzione storica? Possiamo serenamente affermare di essere giunti quasi alla fine del processo? Purtroppo la risposta non può non contenere degli aspetti critici al riguardo. La riconoscenza verso il lavoro e il forte impegno visti fino ad ora è inevitabile, malgrado ciò, questo non è sufficiente.

Procediamo attraverso una semplice, ma importante riflessione. Affinché un diritto si realizzi occorre che sia imperativo, il che implica la sanzionabilità di un’azione che violi tale diritto e l’irrefragrabilità della pena. Con il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici anche agli individui viene riconosciuta la capacità di agire, vale a dire che questi ultimi, qualora si ritenessero danneggiati, a seguito di una violazione dei diritti riconosciuti dal Patto, da parte del proprio Stato, potrebbero denunciare lo stesso in quanto dotati di soggettività giuridica internazionale piena. Il problema, però, consiste nell’effettività dei diritti riconosciuti. In altre parole, l’atto una volta riconosciuto deve essere sanzionato, e per fare ciò è necessaria l’esistenza di un’istituzione in grado di adempiere a tale compito, ad esempio, un Tribunale Internazionale Permanente. Tale questione è stata affrontata nella Conferenza di Roma del giugno-luglio 1998, ma i lavori sono appena alla fase iniziale.

Concludendo, possiamo trarre due considerazioni. La prima è nettamente positiva: dopo circa mezzo millennio dalla nascita del diritto internazionale, si è giunti, finalmente, a riconoscere l’inevitabile soggettività giuridica dell’individuo titolare di diritti civili, politici e di diritti sociali, economici e culturali, ossia di diritti umani e indivisibili. La seconda considerazione è categoricamente negativa in quanto, purtroppo, la comunità internazionale è in ritardo nella fase attuativa. Non credo che l’istituzione del Tribunale Permanente passerà attraverso un processo facile e veloce. La storia, ma anche il presente, non manca mai di farci osservare quanto sia difficile per uno Stato privarsi di alcuni poteri istituzionali acquisiti per trasferirli ad un organismo internazionale o soprannazionale. Purtroppo la "gelosia nazionale" risulta, quasi sempre, più forte del senso di giustizia di chi realmente da una ragione d’essere allo Stato, ossia gli individui.

A cura di Luca Andriani.