4. CONCLUSIONI PAGEREF _Toc106531265 \h 61

 

A mio avviso il sistema organizzativo e gestionale sperimentato della regione Piemonte entro il quale si inserisce la vita indipendente e l’assistenza personale è caratterizzato da una visione sussidiaria, mista e integrata del sistema di protezione sociale ed è compatibile con i presupposti della filosofia della vita indipendente, le linee guida della Commissione Europea e le leggi specifiche sulla disabilità anche se il profilo dell’assistente personale è stato assimilato dal profilo del collaboratore domestico e l’accesso ai finanziamenti è precluso a chi vive in famiglia.

In questo sistema, le istituzioni socioassistenziali pubbliche valutano le richieste, erogano il finanziamento e ne controllano sia l’efficacia sia l’effettiva destinazione di spesa; la persona con grave disabilità motoria diventa il datore di lavoro e cliente di un assistente personale, cercato nel mercato o nel privato sociale e assunto come collaboratore domestico.

 

Le tre persone disabili intervistate, definiscono la vita indipendente come libertà di scegliere di poter gestire la propria vita autonomamente, supportati da un assistente personale che si sostituisce funzionalmente sia in casa sia sul territorio sia sul luogo di lavoro. La soluzione indicata dal movimento ENIL è un’ottima soluzione per una persona con una disabilità motoria ed è una forma di assistenza che assicura l’autodeterminazione e l’integrazione sociale del soggetto assistito. La vita indipendente è anche un impegno economico ed è anche libertà di sbagliare e imparare dai propri errori.

Per i servizi, la vita indipendente è prendere coscienza della propria situazione personale, decidere della propria vita, scrivere un progetto per chiedere il finanziamento e partecipare al mondo della formazione, sociale e del lavoro. Ricevere il finanziamento implica una valutazione preliminare e un controllo di gestione.

Su questo aspetto si può affermare che da un lato ci sono le istituzioni che controllano la correttezza e lo svolgimento dei progetti di vita indipendente e dall’altro ci sono le persone disabili che percepiscono questo controllo di gestione come una invasione del loro privato e quindi si oppongono.

In ogni caso avviare un progetto di vita indipendente realizza un’azione ulteriore di promozione sociale del territorio.

Sulla base di queste rappresentazioni si può dedurre che il pagamento diretto delle prestazioni di assistenza personale, come parte di un più ampio sistema di sicurezza sociale di uno stato di diritto, è indubbiamente la politica che fornisce migliore tutela alle persone con grave disabilità motoria; favorisce e permette una effettiva partecipazione alla vita sociale, stimolando la sfera relazionale della persona e della comunità in cui vive.

 

Nel territorio del Comune di Torino e del CISAP di Collegno e Grugliasco i cittadini clienti non si raggruppano in gruppi di acquisto sul modello STIL ma in associazioni di volontariato e tutela.

Queste associazioni non sono numerose e sono composte da un basso numero di soci.

Secondo gli interessati, anche se idealmente ne percepiscono l’utilità, difficilmente si potrà costituire una agenzia per la vita indipendente gestita direttamente dalle persone disabili a causa dell’individualismo tipicamente italiano.

Gli interessi dei cittadini disabili sono tutelati dai contratti che stipulano sia con l’amministrazione sia con gli assistenti. In caso di rigetto della domanda di finanziamento non esiste una procedura di ricorso ma la possibilità di inoltrare nuovamente la richiesta all’assistente sociale o fare pressione presso il sindaco e l’assessore del comune di residenza.

 

Per quanto riguarda la percentuale di invalidità in base alla quale si ha diritto ai finanziamenti per la vita indipendente, sia il CISAP sia il comune di Torino, stabiliscono che la percentuale di invalidità delle persone che possono richiedere il finanziamento è del 100%, con una connotazione di gravità certificata dalla medicina legale ai sensi della L104\94 art.3 comma3.

Il finanziamento può essere richiesto da cittadini disabili di entrambi i sessi che hanno un lavoro o studiano, hanno una casa ma non vivono con i propri genitori, sono in grado di auto determinarsi ed hanno una buona rete sociale contestuale.

 

I bisogni di assistenza delle due persone disabili “indipendenti” sono soddisfatti da ragazzi extracomunitari. Di solito si avviano due o più contratti di lavoro a tempo parziale. L’Assistente personale è assunto dal cittadino, con il contratto di collaboratore domestico di 2° livello e una paga oraria che varia da 4.50 a 8.00 euro. Attualmente non esiste un contratto di lavoro specifico per l’assistenza personale. I bisogni di assistenza personale della persona disabile che non si è ancora emancipato sono soddisfatti quasi esclusivamente dai familiari.

Le tre persone disabili intervistate affermano con parole diverse lo stesso concetto di assistenza personale e lo stesso inventario di prestazioni, aggiungendo che il bisogno di assistenza personale sorge in tutti i momenti in cui la persona disabile non ha la possibilità di fare le cose da sé, al lavoro, per strada e in casa. Alzarsi al mattino o mangiare, andare a fare una passeggiata o in pizzeria, l’igiene personale, la cura della casa e la qualità della relazione con l’assistente sono tutti bisogni da soddisfare.

Il luogo e le circostanze in cui nascono i bisogni sono legati alla casa, per le esigenze primarie ed anche sul luogo di lavoro, che richieda operazioni manuali e particolari, tipo spostare documenti o qualsiasi cosa richieda una certa manualità.

La quantità di assistenza personale di cui le persone disabili intervistate hanno bisogno nel corso dell’anno non è uniforme. Nei fine settimana il bisogno di assistenza è di 24 ore su 24 mentre nei giorni lavorativi si concentra di notte, alla mattina e alla sera. Quando ci si sposta per le ferie, anche se non cambiano il tipo di bisogni da soddisfare, la necessità di assistenza personale è maggiore rispetto al resto dell’anno.

 

L’assistenza personale rappresenta un aiuto fondamentale per la persona disabile, che sceglie, controlla e gestisce in tutte quelle attività o partecipazione che permettono di condurre una vita normale come tutti gli altri cittadini.

L’assistenza personale si concretizza nel rapporto che si instaura tra la persona disabile e il proprio assistente, che diventa in qualche modo colui che sostituisce e affianca il disabile in tutte quelle azioni che non riesce a svolgere autonomamente.

 

Secondo le finalità della vita indipendente chiunque può fare l’assistente personale, a patto che sia maggiorenne e disponibile.

Sul mercato del lavoro esistono persone alle quali affidare l’assistenza personale e sono reperibili singolarmente, tramite annuncio e contatto diretto ma non ancora attraverso Agenzie di Assistenza alla Persona.

Dal punto di vista pratico la fase di ricerca e sostituzione dell’assistente personale presenta delle difficoltà, perché si deve rinegoziare, mediare e decidere con l’altra persona orari e compiti precisi, altrimenti si rischia il conflitto e l’interruzione di comunicazione o del rapporto di lavoro.

Secondo la filosofia del movimento ENIL l’assistente è cercato e formato dalla persona disabile stessa, quindi non c’è una formazione a priori fatta da altri ma è la persona disabile che connota la relazione di fiducia tra lui e l’assistente, che ha formato e con lui è in relazione stretta.

Gli assistenti personali non hanno professionalità specifiche, si valutano sul campo e se vanno bene si assumono.

La struttura dei costi per l’assistenza personale è data dal salario, amministrazione, spostamenti e in alcuni casi anche di vitto e alloggio.

Inoltre, in caso di messa a disposizione di un locale per l’alloggiamento degli assistenti c’è bisogno del triplo dello spazio, per evitare il sovraffollamento.

 

La professionalizzazione degli assistenti personali è una delle maggiori preoccupazioni. Maggiore è il livello di formazione e di professionalità degli assistenti, meno potere ha la persona disabile, che rischia di partecipare al processo che riguarda la sua vita come un bambino intimidito che vive gli stessi meccanismi che regolano la vita negli istituti.

La professionalizzazione in quanto tale non porta automaticamente ad una più alta qualità del lavoro prestato, perché i criteri di qualità più importanti agli occhi delle persone disabili sono l'autodeterminazione, l’affinità ed il controllo diretto.

Solamente grazie ad un’assistenza personale e personalizzabile è pensabile togliere i disabili motori gravi dagli istituti, dalle residenze sanitarie assistite, da famiglie iperprotettive e realizzare in pieno le pari opportunità e la vita indipendente. Attraverso l’assistente personale e gli ausili si conduce una vita indipendente e in comunicazione con il mondo.

 

Per quanto riguarda le risorse, le disponibilità finanziarie attuali per soddisfare i piani personalizzati di vita indipendente sono in crescita (1.500.000 euro) ma non sono ancora sufficienti a soddisfare tutte le domande.

Pagamenti diretti, sganciati dal reddito, danno più potere alle persone con disabilità perché non ci sono disincentivi al lavoro. Molto raramente i costi amministrativi sono inclusi nella quota oraria pagata dall’ente pubblico e le persone con disabilità se ne accollano la  spesa, che è di circa 1000 euro l’anno.

La persona con disabilità non può utilizzare le ore di assistenza a seconda delle proprie esigenze reali, se nel rapporto ora\costo non è compreso il costo degli assistenti quando lo accompagnano fuori di casa. Si dovrebbe dare la possibilità di risparmiare e accantonare ore di assistenza, per poterle utilizzare tutte assieme in un secondo tempo.

 

La situazione ottimale pare essere quella di concedere alle persone con disabilità un budget di ore di assistenza, che essi gestiranno liberamente nell'arco di un anno, per potere organizzare la propria vita con una certa flessibilità.

Le retribuzioni che stanno alla base delle quote orarie previste e concesse alla persona con disabilità, devono assicurare agli assistenti personali una paga equa e il pagamento dei contributi, per scoraggiare in tutti i modi il lavoro nero. Le persone disabili dovrebbero essere messe in guardia contro il potenziale problema dell'aumento di dipendenza quando si stipendiano delle persone di famiglia, ma sta a loro prendere la decisione.

 

Inoltre, la ricerca ha rivelato e confermato che il sistema organizzativo e gestionale sperimentato della regione Piemonte per il pagamento diretto delle prestazioni di assistenza personale orientata alla vita indipendente di persone con grave disabilità motoria, richiede alla persona disabile capacità specifiche, che deve progressivamente apprendere per padroneggiare tutti i processi di gestione della propria assistenza personale.

Sulla base della documentazione raccolta, si deduce che per dare sostanza ad un progetto di vita indipendente, la persona con grave disabilità motoria deve sapere come situarsi in rapporto con le altre persone e all’ambiente esterno e aver preso coscienza della propria situazione esistenziale.

Deve conoscere la legislazione in materia di lavoro, sanità, assistenza e sapere come individuare i propri bisogni assistenziali.

Deve avere le idee chiare su come scrivere il progetto di vita indipendente, su come presentare e negoziare il piano personalizzato e la richiesta di finanziamento all'Ente Pubblico, e sapere come situarsi in relazione al contesto istituzionale, sociale e del mercato.

Deve conoscere e saper applicare le regole dell’imprenditore sociale, sapere come tutelare i propri diritti e interessi nei confronti degli Assistenti Personali e dell’Ente Pubblico e come negoziare in caso di conflitto.

Deve concretamente ricercare e selezionare gli Assistenti Personali, esprimere le proprie necessità, ascoltare le richieste dell’ Assistente Personale e adottare una condotta basata sull’accoglienza e il rispetto.

Deve sapere come assumere, formare, coordinare e supervisionare gli Assistenti Personali, gestire  burocraticamente un rapporto di lavoro (paghe, contributi,  assicurazione) e gestire le responsabilità \ autorità di datore di lavoro (puntualità nei pagamenti, rispetto impegni presi, pagamento contributi).

Deve sapere come organizzare la contabilità delle spese sostenute per la propria assistenza e come relazionare all’Ente erogatore l’andamento del progetto di vita indipendente.

Infine deve sapere come porsi nella “corretta implicazione relazionale” nei rapporti umani con gli Assistenti Personali e sapere come gestire la propria affettività ed emotività, rispettando la confidenza e l’intimità che si crea con gli Assistenti Personali.

 

In questa progressione, se lo ritiene necessario, può essere affiancato da un consulente alla pari, da un’assistente sociale o da un educatore dei servizi sociali.

 

Nell’eventualità che il cittadino con grave disabilità motoria decidesse di farsi accompagnare in questa progressione da un educatore dei servizi si può continuare il discorso e aggiungere che l’educatore professionale dovrà accompagnarlo utilizzando gli strumenti della progettazione educativa e della relazione interpersonale.

Tali strumenti sono orientati al recupero e allo sviluppo delle potenzialità della persona in formazione, e al raggiungimento di livelli sempre più avanzati di autonomia.

 

Per gestire in modo professionale il ruolo e l’intervento, l’educatore si deve anche dare, e applicare, specifiche competenze cognitivo-disciplinari.

 

Dal mio punto di vista la prospettiva pedagogica mi indica di porre molta attenzione al soggetto e all’uso di modelli di intenzionalità pedagogica di definizione della situazione personale e della scena educativa per finalizzare la ricerca di cambiamento.

Per istituire la scena educativa si deve formalizzare un “patto educativo” in cui si definisce quali cambiamenti raggiungere, quali significati dare agli eventi e con quale comunicazione.

Nella realizzazione del patto molto probabilmente si verificherà la “resistenza al cambiamento” della persona in formazione attraverso varie forme di conflitto e opposizione. Questi conflitti, suscitati dall’intenzionalità, sono la fonte principale di cambiamento. Inoltre, in questa fase la mia vicinanza deve stare sempre in un equilibrio variabile tra il coinvolgimento e il distacco.

 

La prospettiva psicologica pone in evidenza che per la realizzazione del “patto educativo” devo conoscere anche la “cultura” della persona in formazione ponendo l’attenzione sui suoi processi di apprendimento.

Sul piano affettivo, devo orientare l’azione sapendo che la realizzazione del patto si sviluppa in quattro fasi: istituzione, illusione, modulazione e scioglimento.

Per ridurre il rischio di fallimento è importante chiarire nel primo incontro la consapevolezza della persona in formazione circa le responsabilità che comporta la vita indipendente, esplorando le attese di cambiamento in relazione al tipo di aiuto che gli posso offrire, la motivazioni, le paure e la disponibilità a trattare le difficoltà.

Per aiutare efficacemente la persona in formazione è necessario un mio intervento che stimoli la sua capacità di rappresentarsi la sua storia, la sua condizione interna ed esterna e sulla base della rappresentazione ottenuta aiutarlo a tenere un discorso per intervenire immaginando, organizzando e progettando le sue mosse.

Per agevolare la persona in formazione nel processo di rappresentazione, apprendimento e intervento si può utilizzare lo standard ICF. Inoltre, utilizzare tale strumento lo metterà nelle condizioni di rispondere con lo stesso linguaggio alle richieste dell’amministrazione pubblica e formulare il mansionario dei suoi assistenti personali.

 

Le competenze delineate nel terzo capitolo si devono integrare sui presupposti metodologici della "ricerca-azione" (Lewin, 1942) perchè questa metodologia di ricerca "collega la riflessione tra le persone coinvolte, la ricerca sul campo e l’azione di cambiamenti d’ordine psico-sociale, la soluzione di problemi pratici e lo sviluppo delle scienze sociali" (J. Houssaye, 1985).

La ricerca-azione implica una relazione d’empatia critica tra educatore e soggetto in formazione e una emancipazione congiunta delle due parti.

Nella ricerca-azione l’educatore deve usare la possibilità strategica di introdurre nelle pratiche dei soggetti della ricerca delle innovazioni, ma nello stesso tempo deve considerare il sistema di premesse per ottenere l’integrazione dell’innovazione stessa.

La ricerca-azione in campo educativo non può ignorare il modo di essere dei soggetti in formazione.

La metodologia della ricerca-azione si sostanzia nella comprensione, piuttosto che nell’analisi, sempre più raffinata dell’intreccio stretto, a volte inestricabile, rappresentato dalle interdipendenze degli elementi in gioco, al fine di produrre soluzioni di sintesi accettate da tutti i protagonisti.

 

La progettazione “dialogica” è il modello di riferimento per programmare, gestire e verificare l’intervento educativo.

In questa prospettiva progettare significa comunicare, interagire, esplicitare, scambiare, confrontare, configgere se necessario, mediare, negoziare, condividere per arrivare a focalizzare strategie e obiettivi, modalità per gestire il problema e valutare il processo.

La progettazione diventa la ricerca e la costruzione condivisa, tra me e la persona in formazione, di che cosa è il problema e la relativa soluzione. Nel processo progettuale si considerano i diversi livelli cognitivi ed emotivi di tutti gli attori in campo e con essi le modalità attraverso cui si elaborano le informazioni, i “pre-concetti” e le influenze soggettive che portano a rappresentare in maniera differenziata  i dati della realtà. Si deve ricostruire il campo e le diverse mappe cognitive che vengono utilizzate dagli attori per dare significato a eventi, accadimenti e comportamenti.

Come primo obiettivo ci si pone la rappresentazione della complessità di cui la persona in formazione è portatore e di come essa entra in relazione con la mia, al fine di rendere possibile una costruzione condivisa di percorsi possibili di cambiamento.

La valutazione del processo è la principale fonte di alimentazione della progettazione. Valutare è ricercare e riconoscere i significati costruiti del problema e il senso di ciò che è successo, attraverso il confronto tra le diverse attribuzioni e con la partecipazione attiva dei diversi attori coinvolti.

Gli spazi per pensare sono accessibili a tutti i protagonisti e si aprono in ogni momento in cui è in essere la relazione tra due o più attori.

La relazione attraversa contemporaneamente sia me sia la persona in formazione ma anche il contesto, le premesse culturali e le attività pratiche, le condizioni materiali, gli strumenti, le tecnologie e le didattiche implicate nella prassi educativa.

 

La complessità della situazione, impone l’uso di strategie. Si tratta di mettere in campo una serie di mosse intenzionali, capaci di strutturare l’azione complessiva di progettazione della vita indipendente della persona in formazione.

Il mio compito è quello di verificare le opportunità e le possibilità che si presentano e sperimentare le mosse. Non si sperimenta a caso, tuttavia non si sperimenta nemmeno in completa e assoluta sicurezza.

 

Il lavoro educativo deve essere connotato e sostenuto da un atteggiamento di ricerca permanente rivolta alla sperimentazione di nuove modalità di azione e riflessione.

Per un educatore la connotazione sperimentale, comporta l’attivazione di un approccio che parte dall’esperienza e all’esperienza ritorna al fine di approfondire continuamente il proprio sapere professionale.

Lavorare costruendosi ogni volta una metodologia specifica richiede di non “abbandonarsi” completamente al metodo ma di “interpretarlo”.

Occorre mettere molta attenzione nella costruzione di una specifica metodologia educativa, e soprattutto occorre porre attenzione nell’utilizzo di metodi e tecniche che potrebbero determinare solo illusioni di cambiamento.

 

Educare utilizzando una metodologia educativa è il punto di arrivo per un educatore che non ha paura del confronto con la complessità e implica: una incessante interrogazione del proprio lavoro educativo; il confronto con i principali modelli educativi, finalizzato alla conquista di una minima oggettività; la generazione di sintesi prescrittive; la vigilanza e il governo della metodologia attraverso il confronto aperto con la realtà delle relazioni in gioco.

Si tratta di riuscire quotidianamente, coinvolgendo le altre persone con cui si condivide un pezzo della nostra esistenza, ad agire pensando e progettando e contemporaneamente a pensare in modo progettuale mentre si agisce, costruendosi nel tempo e attraverso l’elaborazione dell’esperienza quella che è di fatto la competenza metacognitiva che fonda e rappresenta l’identità di questo mestiere: la pratica riflessiva.