3. COMPETENZE DELL’EDUCATORE PER L’ORIENTAMENTO ALLA PROGETTAZIONE DELLA VITA INDIPENDENTE.. PAGEREF _Toc106531261 \h 45

3.1. La prospettiva pedagogica (la scena educativa, l’attenzione al soggetto e l’intenzionalità) PAGEREF _Toc106531262 \h 45

3.2. La prospettiva psicologica (Rappresentarsi, apprendere e intervenire) PAGEREF _Toc106531263 \h 49

3.3. Gli strumenti (Il modello ICF per rappresentare il funzionamento personale) PAGEREF _Toc106531264 \h 53

 

 

3. COMPETENZE DELL’EDUCATORE PER L’ORIENTAMENTO ALLA PROGETTAZIONE DELLA VITA INDIPENDENTE

 

Come si è detto nei capitoli precedenti, la persona disabile che desidera la vita indipendente deve assumersi la responsabilità di scegliere autonomamente quale tipo di vita vuole vivere, progettare la vita indipendente, presentare una richiesta di finanziamento, assumere i suoi assistenti e diventare un datore di lavoro “controllato” dall’ente pubblico.

 

Per strutturare un progetto di vita indipendente e formulare una richiesta di finanziamento, la persona deve sapersi rappresentare e leggere, e in seguito a questa sua personale lettura, comunicare ad altri quali limitazioni ha nelle attività personali, quali restrizioni nella partecipazione sociale e quali facilitatori migliorerebbero la sua situazione, dove e quanto ne ha bisogno e quanto costa in un anno.

Le competenze necessarie alla realizzazione di un progetto di vita indipendente sono inerenti le conoscenze normative, l’identità imprenditoriale, i rapporti con l’istituzione e con gli assistenti personali e la relazione con le altre figure coinvolte; la dinamica relazionale inerente la comunicazione, il riconoscimento e la stima di sé, la gestione dei conflitti.

 

In questo processo può farsi orientare sia da un “consigliere alla pari” sia da un educatore professionale.

Il progetto è un elemento cruciale poiché, riflettendo su se stessi, si orienta intenzionalmente la fase di realizzazione.

 

A questo punto come potrei aiutare il sig. ZETA a definire il suo progetto di vita indipendente? Nei paragrafi che seguono espongo la prospettiva pedagogica, la prospettiva psicologica e lo standard ICF attraverso il quale condurre ZETA alla rappresentazione di sé fuori da sé.

Rappresentazione utile alla riflessione di ZETA su quale vita indipendente desidera realizzare, per la definizione della richiesta di finanziamento e del “mansionario” dell’assistente personale, da allegare al contratto di lavoro.

 

 

3.1. La prospettiva pedagogica (la scena educativa, l’attenzione al soggetto e l’intenzionalità)

 

Per orientare ZETA nella progettazione della vita indipendente, le “scienze dell’educazione” possono essere utili per i saperi[1] della prospettiva ”umanistica” e “materialista”.

La prospettiva umanistica mi indicherebbe che l’intervento con ZETA dovrebbe essere finalizzato alla sua progettazione esistenziale. Solo in questo modo riuscirei a rintracciare le direzioni di senso intenzionali, sulle quali costituire l’intervento educativo.

La prospettiva materialista mi indicherebbe che l’intervento educativo devo concepirlo sia sul piano intellettuale, così come l’avevano intesa le prospettive umanistiche, sia come rappresentazione “di tipo teatrale”, di attività materiali che hanno una valenza simbolica, che sono autoreferenziali, irreversibili, processuali, ricorsive. Il cuore di questo discorso pedagogico è rappresentato dal tema della proceduralità. La formazione come potenziamento delle capacità, che produce effetti sull’esistenza. 

 

Il dott. Demetrio[2], restringendo il campo, mi indicherebbe che per aiutare ZETA nella definizione del suo progetto di vita indipendente devo porre l’attenzione al soggetto, ossia a ZETA in tutta la sua unicità.

Aggiungerebbe che anziché adattare ZETA ad un modello “del perfetto disabile motorio indipendente” devo adattare un modello pedagogico alla “gestione dell’esperienza teatrale” utile al cambiamento desiderato da ZETA.

Un modello che consenta ad entrambi la costruzione dei processi cognitivi denominati “spiegazione”, “interpretazione”, “orientamento” e quindi di non perderci nella complessità del reale.

Attraverso la “spiegazione”, “interpretazione”, “orientamento” possiamo elaborare “mappe” di “significati” e “compiti”, opzioni comportamentali, valori e schemi di azione.

 

In questa visione dell’intervento educativo, i termini da utilizzare con ZETA e gli altri attori coinvolti sono quelli di paradigma, sistema, processi.

I paradigmi sono quegli eventi, esperienze, che marcano la vicenda formativa, la contrassegnano e invitano ZETA a riferirsi ad essa per ispirarsi scelte o modalità di azione.

Sistema e processi devo impiegali allo scopo di “individuare” con ZETA gli elementi essenziali, sia separatamente sia in interazione tra loro, presenti nella sua storia di formazione (ZETA, io e il mio ruolo, i metodi, gli scopi formativi, le informazioni, il tempo, gli spazi).

 

L’uso di questi termini e la loro rappresentazione grafica (vedi tav3- Elementi essenziali presenti nel contesto formativo), mi facilitano la comunicazione con ZETA rispetto agli elementi presenti nel contesto formativo e mi permettono di indagare in profondità, oltre l’apparenza, permettendomi in oltre la costruzione scientifica del punto di vista.


 

Tav.3- Elementi essenziali presenti nel contesto formativo

 

 

  Ovale: Vita indipendente
  

 


 

                         

 

 

 
  

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

Questi termini, deprivati di ogni significato valoriale, hanno una funzione prettamente operativa e mi consentono di descrivere e interpretare le esigenze di entrambi.

Questi termini mi permettono di dotarmi scientificamente di “mappe”, provvisorie e in continuo aggiornamento, e di studiare quanto concorre ad ampliare il “funzionamento” di ZETA.

Con tali concetti posso organizzare un discorso, coerente e comprensibile, sull’evento formativo.

Dalla rappresentazione sistemica che ne deriva si possono “svelare” quali relazioni, incontri, contatti siano generatori di cambiamento e trasformazione evolutiva, e quindi della vita indipendente.

Il mio compito principale consiste nell’identificare cosa cambia in ZETA di fronte all’introduzione intenzionale di informazioni, esperienze, relazioni.

 

Seguendo la lezione di Demetrio devo ricordarmi che tale approccio è uno dei molti possibili punti di vista (temporaneo e contingente) orientato alla ricerca di “cambiamenti” con ZETA.

Un punto di vista che prescrive la necessità di negoziare con ZETA le interpretazioni degli interventi di aiuto e le sue attese di cambiamento.

 

La dinamica che si stabilisce tra le aspettative di cambiamento di ZETA e le evidenze dei processi e degli esiti reali di vita indipendente poterebbe essere una fase conflittuale ma feconda.

Per rendere feconda la fase di valutazione degli scostamenti, prima di istituire l’intervento, devo negoziare e definire con ZETA cosa significa “educazione”, dei limiti e dei poteri dell’educare e dell’essere educati, facendogli presente che la ricerca scientifica ha rivelato e ammesso che il dolore mentale insito nei processi di apprendimento non è evitabile.

Devo spiegare che il mio ruolo di educatore e la sua esperienza di vita indipendente, non sono in antitesi tra loro perché nella mia gestione del ruolo non perseguo “l’insegnamento” ma l’apertura di prospettive di analisi sulla vita indipendente, di presa di coscienza, di ricerca di soluzioni.

Dovrei spiegare a ZETA, in parole semplici, che il ruolo dell’educatore è quello del ricercatore sperimentale, critico e intenzionalmente orientato.

Aggiungere che lo studio fenomenologico e storico dell’educazione ha rivelato che in ogni scena educativa sono presenti le dimensioni progettuale, gestionale e prefigurativa del mio agire. Un agire educativo orientato a generare un cambiamento desiderato dai soggetti in formazione, sia nella sfera dei saperi cognitivi sia in quelli dei comportamenti sia in quella degli affetti.

Indicare che solo in questo modo e con questo linguaggio possiamo ricostruire pedagogicamente la sua storia di formazione personale per la vita indipendente; ricostruibile in rapporto alle componenti intenzionali chiarite con ZETA ossia attese,  progettazione e gestione.

 

Come ricercatore critico e intenzionale devo identificare le esperienze, le stagioni evolutive, le ingiunzioni e seduzioni, i suggerimenti e le imposizioni, i metodi e le improvvisazioni per suggerire strategie intenzionali finalizzate a far ottenere a ZETA la realizzazione della vita indipendente desiderata.

Ad esempio proponendo il profilo delle capacità necessarie alla gestione della vita indipendente, riflettere con ZETA sulla sua percezione di importanza.

L’esperienza di riflessione condivisa sulle limitazioni delle capacità, sulle strategie e sulle soluzioni da assumere e realizzare, ha la finalità di far apprendere a ZETA una modalità con cui rappresentarsi la vita indipendente e pensare, per “far emergere dall’indistinto nuove strategie per raggiungere l’obiettivo formativo e per uscire dalla sofferenza” (Demetrio, 1998).

 

L’intenzionalità progettuale e relazionale agita con ZETA e l’uso di strumenti e metodi educativi, mi pongono il problema della “resistenza” all’intento educativo di cambiamento. Resistenza che molto spesso si manifesta attraverso forme diverse di conflitto concreto.

A questo proposito la lezione di Demetrio, insegna che la gestione dei conflitti inizia con la condivisione e la ricerca di un accordo sulla intenzionalità da agire nell’esperienza tra me e ZETA.

L’accordo raggiunto deve essere formalizzato in un “patto fiduciario” (vedi tav5- Guida per la definizione del patto) in cui ZETA accetta di essere accompagnato da me nella definizione dei problemi e mi riconosce il legittimo potere di ricercare soluzioni e orientare azioni.

Nel patto devono essere definiti: quali cambiamenti? Quali significati? Quale comunicazione? Le risposte, con cui si è costruito il patto, serviranno a mediare i conflitti tre me e ZETA nella fare di realizzazione e a chiarire la mia intenzionalità rispetto ai contesti e alle forme che definiscono il “copione della scena educativa”, dove io assumo il ruolo di regista della esperienza intenzionalmente concordata, progettata, orientata, in conflitto continuo con le resistenze di ZETA e gli imprevisti contestuali.

 

Tav.5 – Guida per la definizione del patto

 

Intenzionalità educativa

 

cambiamenti

· Successi di apprendimento?

· Competenze corporee?

· Capacità relazionali?

· Comportamenti operativi e tecnici?

· Motivazioni e interessi?

 

significati

· Esperienze affettive?

·  Esperienze di impegno?

·  Esperienze  di esplorazione e ricerca?

· Esperienze  di autoriflessione e ricerca di identità?

 

comunicazione

· Organizzazione di incontri?

· Esercizio di stili comunicativi e di linguaggi?

· Trattamento delle informazioni?

· Criteri interattivi con il soggetto o gruppo in formazione

· Sollecitazioni per la ricerca della propria identità?

 

 

3.2. La prospettiva psicologica (Rappresentarsi, apprendere e intervenire)

 

Secondo questa prospettiva, ZETA è caratterizzato dall’essere costituito da diverse e complementari dimensioni: corpo, relazioni sociopolitiche, psiche, aspetti spirituali, ambiente biologico, storia (cronologica).

La psicologia trova il suo spazio scientifico nello studiare i vari processi psichici di ZETA, non isolatamente ma come funzioni umane.

La psicologia applicata deve essere intesa come l’utilizzazione di dati psicologici caratteristici di ZETA per la soluzione dei suoi problemi pratici e si articola in tre aree: clinica e di comunità, educativa e dello sviluppo, lavoro e organizzazioni.

Per la psicologia è fondamentale che il mio intervento si fondi sulla consapevolezza della condizione psicologica di ZETA poiché è da questa che devo partire per sostenerlo nel suo percorso verso la vita indipendente.

 

Restringendo il campo, la prospettiva[3] psicologica dell’educazione, mi invita ad integrare le descrizioni sistematiche dei saperi pedagogici “materialisti” e “umanisti” con la consapevolezza che non è solo il patto formale che regola il mio intervento educativo con ZETA ma anche  un “collante di natura affettiva e un insieme di valori, atteggiamenti, modalità di lettura dei dati di realtà, quadri di riferimento concettuale, riassunti nell’espressione gergale di cultura” (C. Kaneklin, F. O. Manoukian, 2003).

Secondo questi autori, ZETA potrebbe non essere consapevole di come apprende e interiorizza la sua cultura e in questo caso per accompagnare ZETA nel processo di progettazione dei processi di evoluzione delle sue capacità di risposta non automatica alla realtà, devo mettere al centro la sua capacità di “apprendimento”. Distinguere, classificare e apprendere dall’esperienza per ZETA non è automatico, come non è una capacità sviluppata in modo analogo in tutti gli uomini (Bion,1963).

La capacità di apprendere dall’esperienza di ZETA è stata innescata e caratterizzata dalla relazione con sua madre, “poiché il neonato non possiede apparati per formulare pensieri e mosso dal dolore e dal bisogno, agisce all’esterno dove sua madre accoglie, rielabora e da una risposta” (Freud).

Inoltre, l’ampliamento delle attività della mente di ZETA “è predisposta per via di maturazione, se favorita dall’esperienza” (Bion, 1963). ZETA, per apprendere dall’esperienza e realizzare il suo progetto di vita indipendente ha bisogno di una “spinta a conoscere  per andare al di la di ciò che è già contenuto nel bagaglio genetico o nella memoria accumulata” (Meltzer,1981).

Per di più, la scrittura con ZETA del patto formativo e di ZETA del suo progetto di vita indipendente rappresenta la possibilità per entrambi di tenere un discorso sull’esperienza ma anche “il polo difensivo fondamentale nella lotta perenne instaurata dall’uomo, per affermare una continuità sovraindividuale che antagonizzi il puro fluire e la sua caducità.

La scrittura del progetto di vita indipendente è fondamentale perché costituisce una relazione di coppia tra ZETA che scrive verso mete in parte note e ZETA che rilegge lo scritto, analizzandolo” (Morpurgo, 1987).

Lo scritto risulterà anche un atto comunicativo che, utilizzato a proposito, veicolerà dati e descrizioni evidenti, stili di pensiero e significati culturali impliciti.

 

A questo punto ZETA potrebbe non rinunciare ad immaginare la vita indipendente, aggredire i problemi, ricercare nuovi valori capaci di rispondere a necessità e problemi oppure potrebbe difendersi attraverso idealizzazioni estreme e giudizi di valore penalizzanti la vita indipendente, poiché realizzarla potrebbe sconfermare capacità realizzative individuali sovrastimate.

L’idea della mente di Bion evidenzia come le esperienze sensoriali ed emotive, costituite da dati insieme esterni e interni, possano essere elaborate, accolte e sviluppate in pensiero, eventualmente fino ai massimi livelli di astrazione, o non elaborate.

 

Restringendo ancora il campo sulla natura affettiva del patto formativo, il dott. Mottana[4] afferma che la relazione affettiva che si verrebbe ad innescare nella scena educativa tra me e ZETA avrebbe una scansione interna suddivisa in quattro fasi: istituzione, illusione, modulazione, scioglimento.

Nella fase di ISTITUZIONE si fonda la relazione, si chiarisce e condivide la natura della relazione. Viene chiarito il patto formativo, il quadro procedurale e normativo, il disegno dei ruoli / funzioni e delle gerarchie, gli obiettivi, le pratiche e i metodi e l’elaborazione delle fantasie presenti.

Nella fase di ILLUSIONE si struttura la fiducia tra me e ZETA. In questa fase devo cercare di se-durre a me e alla situazione ZETA al fine di fargli accettare la dipendenza che l’apprendere esige.

Nella fase di MODULAZIONE la scena educativa mette ZETA a contatto con l’esperienza reale e ne esige l’elaborazione di apprendimento. L’irruzione della differenza tra intenzione e azione, dell’impotenza e delle fantasie metamorfiche richiedono al ruolo dell’educatore di interpretare pienamente la “funzione adulta della mente” e di contenere le ansie e le proiezioni aggressive di ZETA, restituendogliele bonificate e digeribili.

Nella fase di SCIOGLIMENTO si devono restituire le interpretazioni degli elementi esperienziali ed elaborare la separazione per restituire ZETA alla realtà esterna alla scena educativa, facilitando il distacco da me. Fargli ritrovare la dimensione individuale, la coerenza tra obiettivi e risultati.

 

Quindi per intervenire con ZETA nella ricerca dello sviluppo della sua capacità di lettura, di analisi e di intervento devo innanzitutto svolgere un primo colloquio di consultazione.

Durante il colloquio devo esplorare la consapevolezza o meno di ZETA sulle responsabilità personali che comporta fare la vita indipendente, confrontare la richiesta e le attese con il tipo di lavoro proposto.

Le fantasie di ZETA sono la forza che più lo motiveranno nella fase realizzativa.

Devo esplorare la consapevolezza di ZETA a partire dalla richiesta e le attese e, anche, dalla relazione con me e il “patto”.

Il colloquio di consultazione con ZETA mi serve a capire se per lui è il primo passo del processo di elaborazione e di pensiero o l’espressione di non trattabilità dei nodi di difficoltà.

Devo capire se ZETA possa e voglia effettivamente pensare e analizzare i contenuti di difficoltà che comporta la realizzazione di un progetto di vita indipendente valutandone anche le paure; potrebbe emergere che ZETA non si senta assolutamente in grado o non abbia voglia di risolvere le sue difficoltà per fare la vita indipendente.

Nella ipotesi che ZETA scelga di assumersi le responsabilità che comporta realizzare la vita indipendente, il mio primo obiettivo metodologico è ricercare conoscenza con lui per realizzare il progetto personale di vita indipendente e spiegargli che il “progetto” è  un possibile modo della mente di avvicinare la realtà attuale e desiderata e mettere a punto ipotesi realistiche, atte ad intervenire sulle condizioni specifiche dell’esistenza.

Seguendo la lezione di Mottana, per far “fare esperienza” e far “apprendere” a ZETA come progettare la sua vita indipendente, mi devo assumere la responsabilità di elaborare la comunicazione, metabolizzando simultaneamente il contenuto e la relazione, i conflitti, e di orientare la mia funzione adulta a valutare i fatti.

Elaborare il contenuto e la relazione della comunicazione, consente a ZETA l’elaborazione di una sua forma di sapere e un controllo della sua dimensione affettiva, ma anche il riconoscimento della dipendenza necessaria per ottenere sapere, un’accettazione provvisoria della dissimmetria implicata da qualsiasi processo formativo.

 

Il dott. Mottana mi suggerirebbe che con ZETA dovrei agire sulla sua doppia capacità di rappresentarsi e intervenire, in modo concreto, tra modelli rigidi e improvvisazione, a partire dalla sua domanda, da situazioni specifiche, dai problemi aperti e offrendogli una scena educativa predisposta ad accogliere e ad elaborare tali elementi in obiettivi di cui ZETA si possa appropriare.

ZETA, per rappresentare e intervenire, deve usare la capacità cognitiva predisposta ad apprendere dall’esperienza tramite l’utilizzo di feed back.

La capacità di apprendere dai feed back permette a ZETA, rispetto alla realtà, di rielaborare le risposte, rapportarsi agli imprevisti della vita indipendente, non solo con tattiche di “assorbimento” e “adattamento” ma anche creative e personalizzate. La fantasia non transitando direttamente nell’azione può essere mediata dal pensiero diventando accessibile al linguaggio e aprendo orizzonti nuovi al cambiamento individuale.

Capacità di analizzare i feed back come rappresentazione a sé di una esperienza, ma anche e contemporaneamente come la rappresentazione di sé nell’esperienza.

Tenere distinte le due dimensioni, senza scinderle o confonderle, è un nucleo di difficoltà del processo formativo. Ma tenere distinte le due dimensioni, consente a ZETA la rappresentazione di sé (nell’esperienza) a sé e di non trattare la difficoltà come una realtà oggettiva, ma come un’esperienza dalla quale poter apprendere attraverso un lavoro del pensiero riflessivo.

Il cambiamento possibile avverrà sia sul piano oggettivo sia nei processi mentali atti a pensare l’esperienza, a pensarsi in essa e ad apprendere da essa. Apprendere dall’esperienza significa, elaborarla, trattarla alla luce di quel che già si sa e alla ricerca di quello che ancora non si sa, attraverso un processo di riflessione che ZETA fa su se stesso, sul suo stile di pensiero, sui suoi modi di essere, leggere e decodificare le situazioni in cui è specificatamente coinvolto, compresa quella formativa.

La capacità di rappresentarsi e intervenire sulle condizioni dell’esistenza offre la possibilità a ZETA di apprendere costantemente e consapevolmente dall’esperienza.

 

Ma, apprendere dall’esperienza non è la stessa casa che fare esperienza o accumulare esperienza. Per apprendere dall’esperienza occorre che la “scena educativa” sia chiara e rassicurante.

La “scena educativa” serve a dare coerenza al patto formativo concordato, evidenza delle condizioni contrattuali, dei ruoli e degli obiettivi, delle regole, dei tempi, degli spazi e dell’adesione provvisoria alla artificiosità della “scena educativa”.

Questo perché l’esperienza e l’apprendere minacciano e insidiano la coerenza fra le parti di ZETA e gli suscitano la paura che dalla mancanza di coerenza si possano liberare i nuclei primari e rimossi della sua personalità.

La “scena educativa” deve garantire a ZETA che dentro quello spazio e in quel tempo lui può abbandonare per un poco la sua corazza di personalità e rimettere in gioco l’equilibrio fra le parti di sé in uno stato di sicurezza, può sbagliare senza conseguenze definitive, può sperimentare e creare.

La “scena educativa” protegge anche me dalle mie ansie e fantasie onnipotenti o predatorie, dai miei timori e istinti incontrollabili[5].

Il mio intervento si deve concretizzare nella promozione di esperienze, attraverso la messa in gioco di atteggiamenti, modelli culturali, valori, difese e stili di pensiero che possano favorire lo sviluppo delle capacità di apprendimento e delle competenze di ZETA.

Nella scena si possono incontrare delle difficoltà nell’utilizzo delle informazioni inerenti la rappresentazione di sé a sé ma l’obiettivo principale da perseguire è sempre la preservazione e lo sviluppo della doppia capacità di ZETA di rappresentare a sé stesso, le condizioni esterne e interne a sé, la propria esistenza e su queste tenere un discorso; intervenire sulle condizioni dell’esistenza attraverso l’attività immaginativa di anticipare, organizzare, formulare e riformulare un progetto di azioni realizzabili.

L’elaborazione coerente e approfondita di tali dimensioni garantisce l’esito programmato.

 

3.3. Gli strumenti (Il modello ICF per rappresentare il funzionamento personale)

 

Rispetto all’esigenza di ZETA di rappresentarsi per comunicare ad altri esigenze e servizi richiesti, in questi anni sono strati proposti diversi modelli concettuali per capire e spiegare le disabilità e il funzionamento personale e sociale, che possono essere espressi nei termini di una dialettica tra “modello medico” e “modello sociale”.

Il “modello medico” vede la disabilità come un problema di ZETA, causato direttamente da malattie, traumi o altre condizioni che necessitano di assistenza medica, sotto forma di trattamento individuale da parte di professionisti. In questo modello la gestione della disabilità mira alla cura oppure all’adattamento ad essa da parte di ZETA e a un suo cambiamento comportamentale.

Il “modello sociale” della disabilità, vede la questione principalmente come un problema creato dalla società e in primo luogo nei termini di una piena integrazione di ZETA nella società. La disabilità non è la caratteristica di ZETA, ma piuttosto una complessa interazione tra elementi, molti dei quali sono creati dall’ambiente sociale. Ne deriva, che la gestione del problema richiede azioni sociali di facilitazione all’integrazione ed è responsabilità collettiva implementare le modifiche ambientali necessarie per la piena partecipazione di ZETA in tutte le aree della vita sociale.

 

L’ICF è basato sull’integrazione di questi due modelli per cogliere l’integrazione delle due prospettive di disabilità e funzionamento (medico e sociale).

L’approccio utilizzato è di tipo “biopsicosociale” e tenta di arrivare ad una sintesi, in modo tale da fornire una prospettiva coerente delle diverse dimensioni della salute a livello biologico, individuale e contestuale.

La disabilità viene definita come la conseguenza o il risultato di una complessa relazione tra la condizione di salute di un individuo e i fattori personali, e i fattori ambientali che rappresentano le circostanze in cui vive l’individuo.

 

In quanto classificazione, l’ICF non presenta il processo del funzionamento e della disabilità, ma può essere usato per descriverlo fornendo gli strumenti per delineare i diversi domini e costrutti.

L’ICF offre un approccio multiprospettico alla classificazione del funzionamento e della disabilità secondo un processo interattivo ed evolutivo.

 

fig.6 interazioni tra le componenti dell’ICF (fonte ICF)

 

 
 
  

 

 

 

 

 

 

 

 


 

Nella figura 6, il funzionamento di un individuo in un dominio specifico è un interazione o una relazione complessa fra la condizione di salute, disturbo o malattia e i fattori contestuali (ambientali e personali).

Tra queste entità c’è un’interazione dinamica: gli interventi a livello di una entità potrebbero modificare una o più delle altre entità. Queste interazioni sono specifiche e non sono sempre in una relazione biunivoca prevedibile. L’interazione opera in due direzioni; la presenza di una disabilità può anche modificare la stessa condizione di salute.

Derivare una limitazione di capacità da una o più menomazioni, o una restrizione nella esecuzione pratica da una o più limitazioni, può in molti casi sembrare logico. È importante però raccogliere i dati relativi a questi costrutti in maniera indipendente e in seguito analizzare le associazioni e le relazioni causali tra essi. Tutte e due le componenti possono essere utili per descrivere la condizione di salute globale.

 

Le informazioni ricavate dall’uso di ICF sono una descrizione delle situazioni che riguardano il funzionamento umano e le sue restrizioni, e la classificazione serve da modello di riferimento per l’organizzazione di queste informazioni, strutturandole in modo significativo, interrelato e facilmente accessibile.

Nel nostro caso i suoi scopi principali sono: quello di stabilire un linguaggio comune per la rappresentazione della situazione di ZETA e delle condizioni ad essa correlate, allo scopo di migliorare la comunicazione tra ZETA e me, gli operatori socio sanitari, gli esponenti istituzionali; rendere possibile il confronto fra dati raccolti in Paesi, discipline socio sanitarie, servizi e periodi diversi.

Il suo uso è come strumento educativo di programmazione delle mie attività, rivolte a conseguire gli obiettivi formativi del processo educativo messo in scena con ZETA, mediante l’integrazione continua e flessibile degli obiettivi cognitivi, dei contenuti culturali, dei metodi di apprendimento, delle tecniche di valutazione esposte nei precedenti paragrafi e il miglioramento della consapevolezza di ZETA e delle conseguenti azioni sociali.

Dal momento che l’ICF rappresenta una classificazione della salute e degli stati ad essa correlati diventa lo strumento adeguato per lo studio del sistema di assistenza personale di ZETA.

 

I termini utilizzati dal modello ICF, servono a ZETA per definire i costrutti, ossia l’ordine e la disposizione delle parole, le frasi, proposizioni, espressioni, che danno un senso logico alla sua richiesta di finanziamento e al mansionario per l’assistente personale.  Ad esempio, ZETA nella sua richiesta di finanziamento potrebbe dire ha una certificazione di grave limitazione dell’autonomia e che senza assistenza ha una limitazione completa nell’esecuzione di attività personali e una restrizione completa della partecipazione sociale e che attraverso una assistenza personale in specifiche attività e partecipazione si ridurrebbero sia la limitazione sia la restrizione. Al suo assistente potrebbe far vedere la lista delle attività e partecipazione dove gli è richiesto di intervenire e definire il contratto di lavoro.

 

I termini utilizzati dalla classificazione sono:

·       Benessere è un termine generale che racchiude tutto l’universo dei domini della vita umana, inclusi gli aspetti fisici, mentali e sociali, che costituiscono una “buona vita”. I domini della salute sono un sottoinsieme dei domini della vita umana. Nell’ICF vengono considerati solo quei domini del benessere che sono correlati alla salute.

·       I domini della salute sono insiemi significativi di funzioni fisiologiche, strutture anatomiche, azioni, compiti o aree di vita correlati fra loro. I domini costituiscono i diversi capitoli e blocchi all’interno di ciascuna componente.

·       Lo Stato di salute è il livello di funzionamento all’interno di un dato dominio di salute dell’ICF.

·       Condizione di salute è il termine ombrello per malattia (acuta o cronica), disturbo, lesione o trauma. Può comprendere altre circostanze come la gravidanza, l’invecchiamento, lo stress, un’anomalia congenita o una predisposizione genetica. Le condizioni di salute vengono codificate usando l’ICD-10.

·       Funzionamento è il termine ombrello per le funzioni corporee, le strutture corporee, attività e partecipazione. Indica gli aspetti positivi dell’interazione tra un individuo (con un disturbo o malattia) e i fattori contestuali di quell’individuo (ambientali e personali).

·       Disabilità è il termine ombrello per menomazioni, limitazioni dell’attività e restrizioni della (alla) partecipazione. Indica gli aspetti negativi dell’interazione tra un individuo (con un disturbo o malattia) e i fattori contestuali di quell’individuo (ambientali e personali).

·       Le funzioni corporee sono le funzioni fisiologiche dei sistemi corporei (incluse le funzioni psicologiche). “Corporeo” si riferisce all’organismo umano nella sua interezza, includendo così il cervello. Per questo le funzioni mentali (o psicologiche) sono comprese nelle funzioni corporee. Gli standard per queste funzioni sono quelli considerati come norme statistiche per gli esseri umani.

·       Le strutture corporee sono le parti strutturali o anatomiche del corpo, come gli organi, gli arti e le loro componenti. Gli standard per queste strutture sono quelli considerati come norme statistiche per gli esseri umani.

·       Le menomazioni sono una anormalità nella funzione fisiologica (comprese le funzioni mentali) o nella struttura del corpo, intesi come una deviazione o una perdita significative. Il termine “anormalità” viene usato solo ed esclusivamente per indicare uno scostamento significativo rispetto a norme statistiche stabilite e dovrebbe essere utilizzato soltanto in questa accezione.

·       L’attività è l’esecuzione di un compito o di una azione da parte di un individuo. Rappresenta la prospettiva individuale del funzionamento.

·       La partecipazione è il coinvolgimento di una persona in una situazione di vita. Rappresenta la prospettiva sociale del funzionamento.

·       Capacità è un qualificatore ed è un costrutto che indica il più alto livello probabile di funzionamento che una persona può raggiungere in un momento determinato in un dominio nella lista di Attività e Partecipazione. La capacità viene misurata in un ambiente considerato come standard o uniforme, e riflette quindi l’abilità dell’individuo adattata all’ambiente. La componente Fattori Ambientali può essere usata per descrivere le caratteristiche di questo ambiente uniforme o standard.

·       Esecuzione (performance) è un qualificatore ed è un costrutto che descrive quello che l’individuo fa nel suo ambiente attuale\reale, e quindi introduce l’aspetto del coinvolgimento di una persona nelle situazioni di vita. L’ambiente attuale è descritto anche utilizzando la componente Fattori Ambientali.

·       Le limitazioni dell’attività sono le difficoltà che un individuo può incontrare nell’eseguire delle attività. Una limitazione dell’attività può essere una deviazione da lieve a grave, in termini quantitativi o qualitativi, nello svolgimento dell’attività rispetto al modo o alla misura attesi da persone senza la condizione di salute.

·       Le restrizioni della partecipazione sono i problemi che un individuo può incontrare nel coinvolgimento, nelle situazioni reali di vita della persona. La presenza di una restrizione alla partecipazione viene determinata paragonando la partecipazione dell’individuo con quella che ci si aspetta da un individuo senza disabilità in quella stessa cultura o società.

·       I fattori ambientali costituiscono gli atteggiamenti, l’ambiente fisico e sociale in cui le persone vivono e conducono la loro esistenza.

·       Facilitatori. Nell’ambito dei fattori ambientali di una persona, i facilitatori sono dei fattoti che, mediante la loro assenza o presenza, migliorano il funzionamento e riducono la disabilità. I facilitatori possono evitare che una menomazione o una limitazione dell’attività divengano una restrizione della partecipazione, dato che migliorano la esecuzione (performance ) di una azione, nonostante il problema di capacità della persona.

·       Barriere. Nell’ambito dei fattori ambientali di una persona, le barriere sono dei fattoti che, mediante la loro assenza o presenza, limitano il funzionamento e creano disabilità.

·       I fattori personali sono quelle caratteristiche dell’individuo che comprendono il sesso, la razza, l’età, la forma fisica, lo stile di vita, le abitudini, l’educazione ricevuta, la capacità di adattamento, l’istruzione, la professione e l’esperienza passata e attuale, modelli di comportamento generali e stili caratteriali, che possono giocare un certo ruolo nella disabilità a qualsiasi livello.

 

L’ICF organizza le informazioni in due parti che interagiscono tra loro: FUNZIONAMENTO e DISABILITA; FATTORI CONTESTUALI. Ogni parte è composta di due componenti.

La parte FUNZIONAMENTO e DISABILITA è composta dalla componente Corpo che classifica i “cambiamenti” sia delle funzioni dei sistemi corporei sia delle strutture corporee e dalla componente Attività e partecipazione che comprende la gamma completa dei domini che indicano gli aspetti del funzionamento da una prospettiva sia individuale sia sociale e classifica la “capacità” e la “esecuzione”pratica.

Queste classificazioni (cambiamenti, capacità e esecuzione) sono rese operative utilizzando i “qualificatori”, che sono dei codici numerici che specificano l’estensione o la gravità del funzionamento o della disabilità in quella categoria, o il grado in cui un fattore ambientale rappresenta un facilitatore o una barriera.

Le due componenti possono essere usate sia per indicare aspetti non problematici della salute e degli stati ad essa correlati raggruppati sotto il termine ombrello “funzionamento” sia per indicare problemi (menomazioni, limitazione dell’attività o restrizione della partecipazione) raggruppati sotto il termine ombrello “disabilità”.

La parte FATTORI CONTESTUALI è composta dalla componente “fattori ambientali” che hanno un impatto su tutte le componenti del funzionamento e della disabilità e sono organizzati secondo un ordine che va dall’ambiente più vicino alla persona a quello più generale e dalla componente “fattori personali”, che non sono classificati a causa della grande variabilità sociale e culturale ad essi associata.

La componente dei fattori ambientali classifica la funzione “facilitante” o “ostacolante” che il mondo fisico, sociale e degli atteggiamenti può avere sulle persone.

 

Nella tavola7 viene rappresentata la sintesi dell’organizzazione delle informazioni proposta da ICF.

 

Le unità di classificazione sono le “categorie” interne alle due parti. L’ICF non classifica le persone ma descrive la situazione di ciascuna persona all’interno del contesto dei fattori ambientali e personali. L’ICF non è una classificazione di “eventi” come l’ICD-10, nel quale una particolare condizione di salute viene classificata con un singolo codice.

Dato che il funzionamento di ZETA è compromesso a livello corporeo, individuale e sociale, devo sempre prendere in considerazione tutte e due le componenti della classificazione. Le informazioni su cosa ZETA sceglie o non sceglie di fare non sono correlate a un problema di funzionamento associato ad una condizione di salute, e quindi non devo codificale.

Devono essere codificati solo quegli aspetti del funzionamento di ZETA rilevanti in un contesto temporale prestabilito.

Nell’ICF, il funzionamento di ZETA può essere descritto e classificato con un insieme di codici attribuiti ai domini delle componenti della classificazione.

Il numero massimo di codici disponibile per ciascuna applicazione è di 34 al primo livello d9i descrizione, quello del capitolo della classificazione (8 codici per le funzioni corporee, 8 per le strutture corporee, 9 per la performance (esecuzione pratica) e 9 per le capacità), e di 362 al secondo livello di descrizione.

Al terzo e al quarto livello le descrizioni si fanno ulteriormente dettagliate e sono disponibili fino a 1424 codici, che presi tutti insieme costituiscono la versione completa della classificazione.

Nel nostro caso, una gamma da 3 a 18 codici può essere adeguata per descrivere una situazione al secondo livello di precisione (3cifre).

In genere la versione più dettagliata, quella a quattro livelli, è prevista per servizi specialistici (riabilitazione, geriatria, salute mentale), mentre la classificazione a due livelli può essere usata per la valutazione del funzionamento. In allegato si propone la lista a due livelli ipotizzata (allegato 6.3).


 

Tav.7 Contesto della salute dell’ICF[6]

 

P1- FUNZIONAMENTO E DISABLITÀ

P2: FATTORI CONTESTUALI

 

 

Componenti

 

Funzioni e Strutture Corporee

 

Attività e Partecipazione

 

Fattori Ambientali

 

Fattori Personali

 

 

 

Domini

Funzioni corporee

Strutture corporee

 

Aree di vita

(compiti, azioni)

Influenze esterne su P1funzionamento e disabilità

Influenze interne su P1funzionamento e disabilità

 

Primo qualificatore

Qualificatore generico con significato negativo usato per indicare il grado o l’entità di una menomazione

Esecuzione pratica

Qualificatore generico

Problema nell’ambiente attuale della persona

Qualificatore generico con significato negativo e positivo per indicare rispettivamente l’entità delle barriere o dei facilitatori.

Non applicato

 

Secondo qualificatore

Nelle Strutture corporee viene usato per indicare la natura del cambiamento

Capacità

Qualificatore generico

Limitazione senza assistenza

Nessuno

Non applicato

 

 

 

 

Costrutti

 

 

Cambiamento nelle funzioni corporee (fisiologico)

Cambiamento nelle strutture corporee (anatomico)

Capacità (abilità) eseguire compiti in un ambiente standard

Esecuzione pratica dei compiti nell’ambiente attuale

Impatto facilitante o ostacolante delle caratteristiche del mondo fisico, sociale e degli atteggiamenti

 

Impatto delle caratteristiche della persona

 

 

 

 

Aspetto positivo

Integrità funzionale e strutturale

Attività e partecipazione

Facilitatori

Non applicato

 

Funzionamento

 

 

Aspetto negativo

Menomazione

Limitazione dell’attività

Restrizione della partecipazione

Barriere / ostacoli

Non applicato

 
 

Disabilità

 

 

Le indicazioni etiche per l’utilizzo dell’ICF si riferiscono agli ambiti della riservatezza e del rispetto, al suo utilizzo in una scena educativa e nella società:


 

 


 

[1] A cura di W. Brandanti e P. Zuffinetti, le competenze dell’educatore professionale, Carocci Faber, 2004.

[2] Duccio Demetrio, L’educatore professionale tra formazione e lavoro, EGA, Torino 1998.

[3] Cesare Kaneklin, Franca Olivetti Manoukian; CONOSCERE L’ORGANIZZAZIONE – formazione e ricerca psicosociologica (Nuova Italia Scientifica).

[4] Paolo Mottana; FORMAZIONE E AFFETTI – il contributo della psicoanalisi allo studio e alla elaborazione dei processi di apprendimento, (saggi, Armando Editore).

[5] FORMAZIONE E PERCEZIONE PSICOANALITICA,  proposte per gli operatori sociali a cura di Roberto Speziali Bagliacca, 1990, FELTRINELLI.

[6] Fonte ICF a cui ho aggiunto le righe “qualificatori” prese da un'altra tabella presente nella Classificazione.