FONDAZIONE "C. FEYLES"
Scuola per Educatori
Professionali
TESI
DI DIPLOMA
"LE COMUNITA' NOMADI A
TORINO: INTERVENTI SUI MINORI"
Relatore: Prof. Prospero
CERCHIARA Candidato: Manuela LIUZZO
ANNO SCOLASTICO 1997/1998
INDICE
INTRODUZIONE: MOTIVAZIONE ALLA
BASE DEL LAVORO pag. 3
BREVE STORIA DELLE MIGRAZIONI
NOMADICHE IN EUROPA ED IN ITALIA pag.
7
I NOMADI A TORINO: UN'
INTEGRAZIONE POSSIBILE pag. 11
I MINORI NOMADI E LA SCUOLA: CONFRONTO
TRA MODELLI CULTURALI AUTOCTONI ED INTEGRATIVI pag. 17
I NOMADI E LA SOCIETA' LOCALE:
L'EDUCATORE PROFESSIONALE ALL'INTERNO DELLE STRUTTURE D'ACCOGLIENZA E DI
CORREZIONE pag. 30
L'EDUCATORE PROFESSIONALE ED I
SUOI STRUMENTI OPERATIVI NEI CONFRONTI DEI MINORI NOMADI: QUALI POSSIBILI
MIGLIORAMENTI pag. 40
IL MEDIATORE CULTURALE pag. 54
CONCLUSIONI pag. 67
BIBLIOGRAFIA DELLE LEGGI pag. 76
BIBLIOGRAFIA pag. 78
INTRODUZIONE: MOTIVAZIONE ALLA BASE
DEL LAVORO
Il nostro paese è un'enorme
società composta da una maggioranza di individui che condividono la stessa
lingua, la stessa cultura, gli stessi usi e gli stessi costumi. Quotidianamente
questi individui eseguono all'incirca le stesse azioni: alzarsi al mattino,
andare a lavorare o a scuola, svolgere sport, senza accorgersi che intorno a
loro, ogni giorno, vivono gruppi che non hanno nulla in comune con la nostra
società, a cominciare dalla lingua. Queste minoranze ruotano intorno a noi
quotidianamente e noi conviviamo più o meno forzatamente con esse; cerchiamo di
" convertirle " alla nostra società, ma non cerchiamo di conoscere e
comprendere la loro società, i loro usi ed i loro costumi.
Non esiste un gruppo sociale che
sia costituito da persone che reagiscono allo stesso modo. Un gruppo può
esistere soltanto perché inserito in un gruppo composto da molti altri gruppi.
Ogni persona è differente da un'altra: per il ruolo, le abitudini, la
famiglia... In questo modo si riesce ad ottenere l'identificazione di alcuni
modelli che sembrano più importanti degli altri perché essi vengono adottati da
un maggior numero di persone, in diversi gruppi, in diverse circostanze. I
"diversi", cioè le minoranze, non vengono capite in quanto non sono
mai state ascoltate; la loro rivendicazione si fonda sul diritto di essere
differenti e di preservare quindi la loro differenza. Vogliono essere sé stessi
e non la maggioranza. La nostra cultura cerca di cambiarli, loro no, perché?
Perché dobbiamo costringerli ad entrare a far parte della "nostra maggioranza"
se neanche sappiamo chi sono, e perché sono arrivati fin da noi. Sarebbe utile
a mio parere, prima imparare a conoscerli ed ascoltarli e poi in un secondo
tempo, vagliare l'ipotesi di una "conversione".
Questi sono i motivi che mi
hanno spinto a studiare le comunità nomadi ed in modo particolare i minori. La
mia curiosità mi spinge ad imparare la loro cultura, la loro lingua ed i loro
usi e costumi per cercare di capire se non sia possibile una pacifica
convivenza tra noi "maggioranza" e loro "minoranza". Sono
convinta che la figura dell'educatore può far molto in questo settore; grazie
alla sua esperienza ed alla sua "voglia di conoscere" può coinvolgere
e far convivere queste due forti culture profondamente diverse tra loro, senza
per questo costringerle a cambiare.
La mia scelta è motivata anche
dal fatto che a Torino i campi nomadi sono numerosi, ed il rapporto tra il
popolo Rom (gli Zingari) e la città di Torino dura da tempo ed è sempre stato
problematico a causa di continue tensioni
(etniche, razziali, sociali, politiche) e da continui arrivi che
continuano a sconvolgere i piani di chi non vuole che questo popolo venga
emarginato, ma al contrario tenta continuamente politiche di accoglienza.
BREVE STORIA DELLE MIGRAZIONI
NOMADICHE IN EUROPA ED IN ITALIA
Alcuni storici vollero cercare
le origini Zingare cominciando dallo studio dei nomi, ottenendo però, scarsi
risultati. Gli Zingari ovunque si trovino si denominano col nome di Rom, che
per loro significa popolo, ma soprattutto uomo nel senso di uomo per
eccellenza. Alcuni autori fanno derivare questa parola dalla voce ROMEI per il
loro incessante peregrinare, oppure dal persiano "suonatore di
strumenti". Le ipotesi sono molte, ma tutte prive di fondamento.
L'ipotesi più attendibile è
quella che vede gli Zingari come discendenti degli Ebrei tedeschi, che per
sottrarsi alle persecuzioni durante il quattordicesimo secolo, si rifugiarono
fra i boschi ed i deserti dove ci rimasero per cinquant'anni; l'attendibilità è
data dal fatto che il loro linguaggio era misto di ebraico e tedesco.
Per quanto riguarda la loro
diffusione in tutta Europa le ipotesi degli storici sono discordanti tra loro:
Krantz pone la loro venuta nel 1417, mentre Muratori pone il loro arrivo in
Italia solo cinque anni dopo. Altri autori sostengono che la prima migrazione
degli Zingari è da riportarsi intorno all'ottavo secolo quando l'imperatore
Costantino diede loro delle terre in Tracia dove fondarono una colonia che dal
loro capo Athingan presero il loro nome. La prima notizia storica, attualmente
accertata, dell'arrivo degli Zingari in Italia, è quella della Cronaca di
Bologna del 1422, in cui l'anonimo cronista descrive il loro arrivo il 18
Giugno; pochi giorni dopo viene annotato il loro passaggio a Forlì con
direzione ultima Roma. Si trattava di gruppi che erano entrati in Italia dal
nord durante la grande emigrazione che fra il 1417 e il 1447 aveva portato gli
zingari a diffondersi nell'Europa centrale e occidentale, come scrivevano i
cronisti che sottolineavano la stanchezza di quella gente che viaggiava in
bande sotto la guida di re.
Molto probabilmente c'era stata
già tempo prima un'immigrazione per piccoli gruppi nella parte meridionale
dell'Italia, dovuta a continui scambi commerciali con la Grecia; l'unica
testimonianza attendibile è quella della lingua in quanto i dialetti Zingari
dell'Italia centro - meridionale non contengono forme ne' tedesche ne' slave,
al contrario dei gruppi stanziati nel nord Italia. La situazione politica
dell'Italia, suddivisa in piccoli Stati permanentemente in guerra tra loro e
soggetti al dominio più o meno diretto della Francia, della Spagna e
dell'Austria, può aver influito sulla diffusione, sulla concentrazione e sullo
stile di vita degli Zingari, che appaiono fortemente differenziati tra loro.
Infatti gli Zingari di antico insediamento si denominano secondo la regione che
è stato al centro dei loro interessi sia economici che sociali.
I NOMADI A TORINO: UN'
INTEGRAZIONE POSSIBILE
Il nomade per la maggioranza
della popolazione rimane il "diverso da sé" colui che non ha niente
in comune con "noi"; rimane
al di fuori del nostro sistema sociale e non condivide il modello di cultura,
di economia e di relazione che esso presuppone.
Di fronte ad una così netta
diversità, il sentimento che prevale è quello di paura e di diffidenza; da loro
bisogna stare "lontani" perché appena possono ti fanno del male, sono
sporchi, sono ladri, non hanno voglia di lavorare, insomma non vogliono
diventare" come noi"; questi sono i pensieri più comuni che circolano
tra la gente della nostra città. Nonostante tutto la Costituzione Italiana,
all'articolo 6, protegge e garantisce le minoranze linguistiche, così come
sancisce la libertà di movimento e circolazione su tutto il territorio
nazionale.
La città di Torino nel 1979
iniziò la costruzione del primo campo sosta per i Sinti, dato che in città vi
erano 11 aree tollerate, ma non attrezzate. Nel 1982 venne istituito l'Ufficio
Stranieri e Nomadi deliberando delle "Linee di intervento", dal
momento che non era stata varata una legge regionale, che ponevano un limite di
1000 presenze (in questo periodo erano 900) e deliberando quattro aree sosta
attrezzate. L'ufficio Stranieri e Nomadi programmò un intervento di
integrazione della città sia sulla popolazione Sinti che su quella Rom in
questo modo:
- Avvio e gestione dei campi
sosta attraverso l'identificazione di tutti i presenti, l'autorizzazione, le
residenze ed i permessi di soggiorno.
- Inserimento sociale degli
adulti.
- Inserimento scolastico dei
minori, con insegnanti di sostegno e quindi fondi per le scuole dov'erano
inseriti i minori Sinti e Rom.
- Tutela dei minori.
- Ricerca lavoro per giovani ed
adulti.
- Attività culturali.
L'ufficio Stranieri e Nomadi fu
il primo vero mediatore tra la città e gli zingari; dopo qualche anno si inserì
l'ufficio Mondialità e Stranieri che ha il compito di seguire l'inserimento dei
Rom nel mondo del lavoro, con personale comunale di appoggio ai laboratori, di dare sostegno economico
all'inserimento scolastico (quota data alla scuola per materiali didattici ed
igienico sanitari), di dare la tessera dei mezzi pubblici per il trasporto e la
formazione del personale insegnante comunale.
Così facendo si ottenne che alla
fine del 1993 gli inserimenti nelle scuole dell'obbligo furono di 250 ragazzi.
Nella delibera del 1984 viene
ripreso il regolamento delle aree di sosta attrezzate per i nomadi.
Considerando che i dati statistici
dimostrano che in dieci anni (1982-1992) il ricambio all'interno dei
campi sosta è stato esiguo, in quanto un numero minimo di nomadi hanno cambiato
città spostandosi spontaneamente, il rapporto tra la città e gli abitanti dei
campi, ormai praticamente stanziali, è tutto da riconsiderare.
La città accoglie i nomadi e
offre loro:
- Aree di sosta attrezzate
(sempre quattro per 1000 persone).
- Servizi come per tutti i
cittadini: si pagano acqua, luce e telefono.
- Per i servizi scolastici viene
offerto il trasporto gratis per i più lontani e la mensa gratuita a tutti.
I nomadi, da parte loro, devono
però accettare:
- Le regole di convivenza
riassunte nel regolamento e nella L.R. del 1992.
- In particolare devono
sottoscrivere di essere privi di casa o terreno adeguato alla sosta per poter
risiedere nei campi sosta, di mandare i figli a scuola fino a 14 anni, di
pagare le utenze (acqua, luce, telefono), di avere il soggiorno se stranieri,
di mettersi nell'ottica di vivere di lavoro, di non sfruttare i figli
avviandoli ad attività illegali, quali furto e di tutelare la salute
(iscrizione servizio sanitario, cura e non abbandono di minori ed anziani in
ospedale).
Il controllo di queste norme
viene fatto da un nucleo di vigili che collabora con il tribunale adulti e
minori.
Questo modo di operare ha
portato discreti risultati, ottenendo un aumento della scolarità nell'età
dell'obbligo (3-14 anni) con esiti positivi elevati; una diminuzione di furto
da parte di minori (nel 1992 i minori residenti nei campi di sosta arrestati
per furto sono stati solo 6 contro le decine degli anni precedenti); un migliore
rapporto con i gagè; un discreto numero di persone, giovani e adulti, svolgono
un regolare lavoro dipendente; un'apertura da parte della città alle attività
culturali (musica, ballo, attività scolastiche e di quartiere...); utilizzo di
un Rom come mediatore culturale.
I MINORI NOMADI E LA SCUOLA:
CONFRONTO TRA MODELLI CULTURALI AUTOCTONI ED INTEGRATIVI
In Italia la scuola è pubblica
ed è compito dello Stato istituire scuole stabili di ogni ordine e grado; vi è
un piano generale di studi omogeneo e ci sono programmi per tutti gli ordini di
scuole. Lo scopo è quello di mettere gli alunni, sia nel corso degli studi sia
al termine degli stessi, su un identico piano di eguaglianza. Il principio
dell'unità nazionale poggia sull'unità della lingua come patrimonio comune di
sentimenti e di cultura dei cittadini e si realizza, nella scuola, attraverso
l'insegnamento della lingua Italiana.
Le eccezioni che subisce questa
regola trovano fondamento nell'articolo 6 della Costituzione che stabilisce la
tutela, con apposite norme, delle minoranze linguistiche. Particolari norme
tutelano le minoranze etnico- linguistiche della Valle d'Aosta, dell'Alto Adige
e del Friuli-Venezia Giulia con il riconoscimento del diritto all'insegnamento.
Gli alunni svantaggiati possono
trovare giovamento nella scuola dell'obbligo mediante interventi
individualizzati o di recupero nell'ambito di una scuola organizzata in classi
aperte o a tempo pieno. Purtroppo molte buone raccomandazioni sono rimaste
sulla carta o sono state vissute a livello sperimentale, senza un'adeguata
verifica.
In questi ultimi anni l'Italia,
da tradizionale paese di emigranti, conosce il fenomeno dell'immigrazione
straniera, popolazione clandestina di cui non si conosce la residenza, quale
lavoro fa e come sopravvive: tra costoro anche numerosi nuclei familiari
zingari provenienti dalla Jugoslavia, intenzionati a soggiornare in Italia.
I tentativi di scolarizzazione
attuati finora nei confronti dei bambini zingari, hanno avuto scarso successo,
indipendentemente dai paesi in cui sono stati effettuati e dalle politiche
messe in pratica al riguardo. In base alle statistiche, gli zingari in età
scolastica capaci di leggere sono una minoranza, ed ancor meno numerosi sono
quelli capaci di leggere e scrivere. Negli USA, per esempio, tra tutte le
minoranze etniche presenti nel paese quella che conta il maggior numero di
analfabeti è proprio la minoranza Rom. Analogamente in Europa dove
sedentarizzazione e scolarizzazione sono i due assi privilegiati della politica
attuata verso gli zingari, i metodi utilizzati hanno certamente bloccato il
nomadismo degli zingari, ma i programmi di scolarizzazione non hanno affatto
ottenuto i risultati previsti. Certamente i ripetuti spostamenti, dovuti a
questo modo di vita, implicano cambiamenti di classe, di insegnanti, nonchè
discontinuità nel ritmo di studio, non favorendo il buon andamento scolastico.
Tuttavia l'incapacità delle strutture scolastiche normali ad adeguarsi al ritmo
di vita dei nomadi, non può essere la causa unica e sola del ritardo scolastico
dei bambini zingari, oltretutto la maggior parte degli zingari sono
sedentarizzati o semisedentarizzati.
I bambini zingari generalmente
non frequentano la scuola materna; i loro genitori non li affidano volentieri a
noi gagè prima dei sei - sette anni, in quanto prima di quest'età essi li
considerano fragili ed irresponsabili. I genitori percepiscono l'atteggiamento
discriminatorio dei non-zingari nei loro confronti e pensano che i loro bambini
possano soffrire di tale atteggiamento. Inoltre, secondo le testimonianze
raccolte presso le famiglie intervistate, essi pensano che i gagè non abbiano
un amore profondo verso i loro bambini; questa convinzione è condizionata dai
comportamenti osservati e dai fatti diversi di cui sentono parlare, riferendosi
in modo particolare agli omicidi, rapimenti, abbandono ed ai maltrattamenti
fisici nei confronti dei bambini.
A causa di queste
considerazioni, non frequentando la scuola materna i bambini zingari non hanno
la possibilità di acquisire le basi formative che questa trasmette; inoltre
nelle famiglie dove si parla una lingua o un dialetto zingaro, i bambini hanno
una conoscenza imperfetta della lingua usata a scuola; questo per lo scolaro
zingaro è un handicap iniziale. A scuola gli zingari non solo devono adattarsi
ad un ritmo di lavoro intenso, ma devono anche sottomettersi ad una disciplina
che regola i loro movimenti, le loro modalità di espressione e l'organizzazione
del loro tempo. Gli scolari devono uniformarsi alle regole dell'insegnante, ed
il bambino zingaro non è abituato a questo genere d'insegnamento. Le
conseguenze sono indisciplina o inibizione che certo non aiuta un rapporto di
per sé già complesso. A scuola i bambini vengono a confronto con delle regole,
delle norme che per loro sono estranee ed anche a contatto con degli stranieri:
l'educatore ed i compagni "gagè". Gli insegnanti che lavorano nelle
classi miste gagè e nomadi, sono i testimoni di reazioni più di diffidenza che
di rapporti sereni ed armoniosi e tali situazioni rafforzano nei bambini
zingari i meccanismi di difesa già presenti a causa dei contrasti imposti in
classe che non favoriscono il loro adattamento al sistema scolastico.
Considerando l'analfabetismo di
una parte degli adulti, i libri e le riviste sono poco presenti nell'ambiente
nomade; guardano di più la televisione che non i libri ed usano di più il
telefono che non la scrittura. Il nomade per cultura è abituato a chiedere
senza complessi e troverà sempre qualcuno (nomade o gagè) che lo aiuterà a
leggere o scrivere; oltretutto non vivendo isolato è in grado di raccogliere le
informazioni di qualsiasi natura oralmente, partecipando alle conversazioni che
animano la vita di gruppo. L'esempio che gli adulti portano non aiuta gli
scolari nomadi che in questo modo percepiscono o meglio apprendono che la
riuscita economica è più un risultato del "sapersi arrangiare" che
conseguenza dell'alfabetizzazione; in questo modo quando si trovano a confronto
nella scuola, con un ritmo di lavoro che non conoscono, i ragazzi si trovano
spaesati poiché non conoscono queste regole o meglio non sono abituati ad esse:
nel loro ambiente non esistono. Fin dalla prima infanzia è abituato a vivere
secondo un ritmo suo e a muoversi liberamente tra l'interno della sua
abitazione e l'esterno occupato da tutto il gruppo residente: non è abituato ad
andare a dormire ad un orario stabilito, mentre è abituato ad addormentarsi
cullato dal corpo della madre e a dormire nel letto con i genitori; non è
obbligato a seguire i piccoli spostamenti quotidiani dei genitori, poiché viene
affidato alla sorveglianza di membri più anziani del gruppo.
Man mano che il bambino cresce
viene sollecitato a compiere diversi servizi, ma non è comunque vincolato da un
ritmo preciso da seguire. Per questi motivi le sue abitudini cozzano con le
regole precise che ci sono all'interno dell'ambiente scolastico; tali regole le
sono ancora più difficili da comprendere perché le sono imposte con metodi duri
a cui non sono abituati. I suoi genitori fanno più appello alla persuasione che
non alla coercizione per guadagnare la sua obbedienza, gli ordini degli
insegnanti sono categorici e non osservarli vuol dire essere puniti.
Sollecitudine e sollecitazioni sono le basi degli scambi tra le famiglie e
danno origine ad un sistema ambivalente di disposizioni che portano l'individuo
ad offrirsi verso il suo gruppo e lo orientano ad attività commerciali basate
sulla sollecitazione. In classe il bambino è sottoposto all'autorità di un
insegnante adulto, mentre nel suo gruppo è abituato ad una autorità più
suddivisa e meno personalizzata; nella sua educazione ruotano non solo i
genitori, ma anche tutti gli altri adulti: il bambino è circondato da tutti in
uno spazio che è di tutti. Di giorno vive con gli altri bambini e con i membri
più anziani del gruppo, di notte divide il letto o la camera con i genitori, i
fratelli e le sorelle.
Per gli zingari stare da solo è
anomalo, lasciare i figli da soli è prova di egoismo e soprattutto di
disumanità. Attraverso il contatto con gli adulti il bambino impara ciò che
bisogna o non bisogna fare; interiorizza le norme che costituiscono il gruppo
attraverso i richiami o i biasimi percepiti, attraverso il comportamento del
gruppo e attraverso i giudizi sui valori che gli adulti esprimono. Abituato fin
da piccolissimo a vivere in un ambiente collettivo il bambino non conosce la
solitudine ed in questa prospettiva l'isolamento è visto come una forma di
sanzione alle regole del gruppo. Trasgredire vuol dire esporsi alla
riprovazione collettiva che può avere come conseguenza l'isolamento che è
difficile da accettare proprio perché il bambino non è preparato ad
affrontarlo. Se nel gruppo gli adulti sono più sovente degli esempi che degli
educatori, se essi ricercano l'adesione più che la sottomissione, se essi
utilizzano più sovente la persuasione che la maniera forte, a scuola il bambino
si confronta in continuazione con l'autorità arbitraria e con gli ordini
categorici di un gagè. Questi bambini non solo a causa dell'educazione ricevuta
non sono predisposti a conformarsi ai ritmi di lavoro, agli orari ed alla
staticità che gli vengono imposti a scuola, ma percepiscono presso gli adulti
un rifiuto di queste costrizioni poiché rifiutano le regole rigide del lavoro,
gli orari e la stabilità che è tipica degli impieghi fissi e si orientano verso
delle attività che permettono loro di lavorare secondo un ritmo
"loro". Uno strumento innovativo è stato l'insegnante di sostegno per
gli alunni zingari in difficoltà di apprendimento e per l'attività di
mediazione tra scuola e famiglia, assegnato nei casi di necessità; a causa del
nomadismo, della frequenza irregolare, dello scarso supporto scolastico
ricevuto dalle famiglie i bambini zingari necessitano di interventi integrativi
e di doposcuola, nel tempo libero, soprattutto nell'ambiente più vicino alle
famiglie, cioè il campo sosta. Il più delle volte sono le Associazioni di
volontariato, religiose e laiche, ad intervenire.
Gli insegnanti dei vari ordini
di scuola provengono da corsi di studio base ed in realtà quasi sempre le
scuole che accolgono gli alunni zingari non hanno insegnanti con una
preparazione specifica; da qualche tempo però, specie dove il fenomeno della
presenza di alunni zingari é più consistente, per sedentarizzazione o per
semisedentarizzazione, si stanno attivando iniziative locali di aggiornamento
in aggiunta a quelle che l'Opera Nomadi già da tempo svolge soprattutto a
livello nazionale ed a titolo promozionale. La specializzazione dell'insegnante
che dovrà occuparsi anche di bambini nomadi, non può avere soltanto una base
professionale o una conoscenza degli zingari (cultura, modo di vita...), bensì
deve prevedere delle didattiche differenziali e la capacità di adottare
strategie flessibili per interventi anche solo di rassicurazione nei confronti
di alunni zingari e le loro famiglie.
Per favorire la frequenza della
scuola materna e della scuola dell'obbligo gli Enti Locali attivano iniziative
di assistenza scolastica -prescuola, doposcuola, centri educativi e ricreativi-
a cui sono preposti insegnanti con un rapporto scolastico più o meno stabile.
Attualmente nei tre ordini di
scuola é possibile contare su insegnanti di ruolo delle Dotazioni Organiche
Aggiuntive (DOA) per realizzare, nell'ambito della programmazione
didattico-educativa, interventi volti all'inserimento scolastico di tutti gli
alunni, specie quelli che hanno delle difficoltà di apprendimento o sono
bisognosi di interventi specifici. Il dispositivo, che sulla carta è ottimo,
non offre garanzie sufficienti per una didattica continuativa a causa di
insegnanti con nomina solo annuale ed insegnanti non sufficientemente
specializzati. L'unica soluzione sarebbe una formazione specifica del personale
docente preposto alla scolarizzazione o per le attività di sostegno per alunni
zingari, che permetta agli insegnanti di dedicarsi in modo non episodico, ma
continuativo nelle iniziative scolastiche con gli alunni zingari.
L'Opera Nomadi insieme con il
Centro Studi Zingari di Roma, cura gli studi e le ricerche specifiche nel
settore dell'educazione degli alunni zingari e nomadi e si occupa della
informazione, della preparazione e dell'aggiornamento degli insegnanti.
I NOMADI E LA SOCIETA' LOCALE: L'EDUCATORE PROFESSIONALE ALL'INTERNO
DELLE STRUTTURE D'ACCOGLIENZA E DI CORREZIONE
Arrivata a questo punto del
percorso di conoscenza (a livello storico) della popolazione nomade, mi sono
addentrata all'interno delle strutture di accoglienza e correzione per i nomadi
ed ho incontrato persone che lavorano per e con i nomadi, in modo particolare
con i minori.
Dall'intervista con un animatore
culturale che lavora presso l'Ufficio Stranieri e Nomadi del Comune di Torino,
ho appreso una serie di nozioni molto interessanti ed utili per la mia
professione di educatore professionale.
Oggi a Torino per struttura di
correzione si intende unicamente il "Ferrante Aporti", il carcere
minorile che attualmente ospita numerosi minori extracomunitari, tra cui anche
un'alta percentuale di minori zingari.
Per struttura di accoglienza,
invece, si può intendere il campo nomadi, o meglio le quattro aree sosta
(Sangone, Le Rose, Arrivore ed Aeroporto) dove vivono le persone autorizzate
alla sosta.
Il compito principale degli
operatori che lavorano all'interno dei campi è quello di mantenere in
condizioni accettabili, a livello igienico, il campo e l'unico grosso intervento
è quello di promuovere, incentivare, invogliare i minori a frequentare la
scuola, anche se i risultati sono scarsi, intendendo per scarsi il fatto che i
risultati non progrediscono e le percentuali di minori che effettivamente
frequentano le scuole, sono sempre le stesse da diversi anni, se non
addirittura inferiori.
Rispetto a vent'anni fa dove
nessuno li voleva e dove le percentuali erano quasi inesistenti, oggi non è
proprio così: molto è stato fatto e qualche piccolo risultato è stato ottenuto,
ma si potrebbe fare ancora di più se ci fossero gli strumenti giusti per
operare.
I bambini e le loro famiglie
sono state cercate come si suol dire col "Lanternino" con una
campagna di questo tipo: "Mandate i bambini a scuola e vi sarà data
l'autorizzazione per la sosta al campo".
Nel 1984 è stato varato un
Decreto Legge per i campi nomadi per consentire ai bambini di frequentare le
scuole, e gli operatori dovevano essere ex insegnanti.
Sette anni dopo, nel 1991, la
legge affermava che l'autorizzazione alla sosta nei campi sarebbe stata
assegnata solo a quelle famiglie che avrebbero mandato i figli a scuola.
Nonostante la legge severa del
1991, i bambini che vanno a scuola sono all'incirca il 50% (rispetto alla
popolazione complessiva); quasi tutti hanno il contatto con la scuola
elementare; circa il 10 - 20 % sono inadempienti totali; il 70 % circa
frequenta a singhiozzo. Soltanto 3 o 4 bambini hanno percorso l'iter scolastico
completo. [dati ricavati dall'intervista con Giuliano Taurisano, animatore
culturale dell'Ufficio Stranieri e Nomadi].
Queste percentuali non sono
sconvolgenti se si pensa che questi minori provengono da famiglie che non sanno
né leggere né scrivere, e che hanno preso in mano per la prima volta una penna
nel momento in cui si sono trovati tra i banchi di scuola.
Come già detto precedentemente i
motivi per cui le famiglie non mandano i propri figli a scuola sono svariati,
ma durante l'intervista sono venuta a conoscenza di altri motivi che a noi
"Gage" possono risultare sconcertanti, ma che dal punto di vista
degli zingari non lo sono affatto.
Alcuni gruppi preferiscono
mandare a scuola solo i figli maschi e non le femmine per tradizione o per
comodità (per esempio devono occuparsi dei fratelli minori quando i genitori
sono assenti). In altri gruppi esiste ancora la vendita delle ragazze per il
matrimonio; queste naturalmente al matrimonio devono arrivarci vergini e quindi
per sicurezza le famiglie se le tengono a casa.
Infine altri gruppi ancora sono
dediti ai furti d'appartamento; l'addestramento incomincia verso i nove anni
per averli attivi intorno agli undici anni, quindi è molto probabile che i
bambini appartenenti a questo ultimo gruppo vadano a scuola dai sei agli otto
anni e poi smettono completamente.
L'unica figura di educatore che
si occupa attivamente dei minori è l'insegnante, se per educatore non si vuole
intendere solo quello professionale, ma qualsiasi figura atta ad educare,
"tirare fuori" (dal latino ex-ducere) e quindi migliorare la qualità
di vita e le prospettive di futuro per questi bambini.
Le famiglie nomadi sono nelle
mani degli insegnanti che, fino ad oggi, sono gli unici che hanno fatto
qualcosa che abbia un minimo di senso per i minori nomadi; sono riusciti a
trovare diverse modalità che se fossero state supportate da strumenti di
intervento utili, avrebbero alzato le percentuali di cui parlavo prima. Senza
nessun supporto hanno realizzato schede, modalità per l'insegnamento della
lingua italiana dal momento che non bisogna dimenticare che per gli zingari
l'italiano non è la lingua madre, e che quindi non è possibile utilizzare le
stesse modalità che vengono usate per gli alunni di lingua italiana.
A questo proposito sono stati
fatti diversi tentativi: all'interno delle scuole, con il doposcuola e fuori
dalla scuola, direttamente nei campi, in classi speciali solo per i nomadi,
etc... Hanno fatto veramente di tutto e qualche esperienza positiva c'è stata.
Il comune di Torino che è sempre
stato presente all'interno dei campi, non è stato in grado di valutare le
diverse esperienze, sia quelle positive che quelle negative, considerarle nella
loro globalità e scegliere quindi quelle positive. Prima del 1992 quand'era
l'Ufficio Nomadi e Stranieri che si occupava del problema scolarizzazione,
qualche risultato si è ottenuto. Dopo il 1992 il tutto è passato all'Ufficio
Mondialità e Stranieri che ha sì continuato a mantenere il rapporto tra la
scuola e la famiglia nomade, ma non ha mantenuto il contatto tra gli
insegnanti; tra di loro non ci sono stati scambi di esperienze, ognuno di loro
è partito da zero. Il progetto per gli insegnanti di sostegno è sempre lo
stesso, ogni anno e per tutti i bambini. Ci si è occupati unicamente del
trasporto e dell'esenzione dal pagamento della mensa per invogliare la famiglie
a mandare i figli a scuola, ma per i figli è stato progettato veramente poco.
Il compito principale delle
altre figure che lavorano con i nomadi, compreso l'educatore professionale è
quello di responsabilizzare le famiglie e cioè insegnare loro ad usufruire dei
servizi del territorio (medico, mutua, servizio di igiene). Oggi gli educatori
prendono direttamente i bambini dal campo e, per esempio, li portano
all'Ufficio di Igiene per le vaccinazioni; quello che manca è l'obiettivo e la
chiarezza per cui si decide di fare un intervento piuttosto che un altro.
L'unica cosa chiara è che i
nomadi sono un problema per la società che li ospita e gli uffici che si
occupano di questo problema, insieme con i loro operatori, hanno come obiettivo
quello di contenere il problema.
L'educatore professionale non ha
compito specifico nel mondo dei nomadi; il suo compito è uguale a quello
dell'obiettore, dell'insegnante e dell'animatore culturale. Gli zingari non
distinguono molto le varie figure professionali: per loro qualsiasi operatore è
considerato "un maestro o una maestra". L'unica figura che conoscono
bene è quella dell'Assistente Sociale, perché sanno che può inoltrare al
Tribunale dei Minori la dichiarazione di stato di abbandono dei bambini.
L'educatore professionale è
considerato "maestro" se lavora con i minori, anche se la sua
professionalità non ha un ruolo importante e ben definita, in quanto chi lavora
con i bambini non ha autorevolezza e addirittura non viene considerato.
E' un grande errore cercare di
socializzare con i minori per poter riuscire, in un secondo tempo, a instaurare
un rapporto con gli adulti.
Altro problema per il lavoro
degli educatori (questo discorso vale anche per gli altri operatori) è il
tempo: pochissimo ne viene trascorso all'interno dei campi, mentre per conoscere
questa cultura così affascinante, ma molto problematica, bisognerebbe passare
molto più tempo a stretto contatto con i campi e con le persone che ci vivono.
Se questo avvenisse ci si potrebbe rendere conto realmente dei problemi e
soprattutto delle esigenze di questa gente; l'educatore potrebbe vedere con i
suoi stessi occhi i bisogni primari e di conseguenza intervenire nel modo
migliore. A questo punto si potrebbe pensare ad una struttura di accoglienza
diversa dal campo, oppure un intervento tempestivo potrebbe far evitare ai
ragazzi zingari l'unica struttura di correzione quale il carcere minorile.
L'EDUCATORE PROFESSIONALE ED I
SUOI STRUMENTI OPERATIVI NEI CONFRONTI DEI MINORI NOMADI: QUALI POSSIBILI
MIGLIORAMENTI
Riprendendo per un istante il
discorso del punto precedente, il comune di Torino, che da circa vent'anni si
occupa dei nomadi, dovrebbe dotarsi di progetti. Dall'intervista con un
animatore culturale dell'Ufficio Stranieri e Nomadi sembrerebbe che il comune
non abbia ancora "detto" cosa intenda fare e come comportarsi nei
confronti dei Rom; non si riesce a capire se li vuole allontanare, integrare,
assimilare o cosa altro ancora.
Gli educatori professionali che
si occupano dei nomadi sono pochissimi ed ancora meno i progetti che li
riguardano. Soltanto tre sono i progetti riguardanti gli zingari e soltanto uno
è diventato realtà; gli altri due sono ancora solo sulla carta e non si è
ancora riusciti a realizzarli.
Il progetto Itaca, l'unico
strumento effettivamente operativo nei confronti dei minori, è un progetto del
comune di Torino gestito dall'Assessorato al sistema educativo, settore
Gioventù. Itaca è ancorato in gran parte al carcere minorile, dove i giovani
sono in grande difficoltà, devianti ed a rischio per se stessi e per la
società. Per questi ragazzi e ragazze il comune ha il compito di organizzare
attività professionali, culturali, ricreative e sportive per sette ore al
giorno. L'obiettivo, da una parte, è quello di portare all'interno del carcere esperienze
positive che provengono dalla città e dall'altra per permettere al
ragazzo/ragazza, quando uscirà dal carcere, di avere agganci sul territorio
cittadino cui possa rivolgersi.
All'interno del carcere gli
obiettivi sono, nei confronti dei ragazzi, la riduzione del danno ed offrire
loro riferimenti utilizzabili dopo aver scontato la pena. Gli strumenti che gli
operatori utilizzano sono:
-ATTIVITA' PROFESSIONALI:
laboratori di arte bianca; di decorazione e muratura; di oggettistica; di
artigianato; di pittura e tessile.
-ATTIVITA' CULTURALI
RICREATIVE: lingua araba; attività di primo ingresso; laboratorio di
disegno e pittura; laboratorio musicale; laboratorio di teatro; laboratorio di
comunicazione e giornalino.
- ATTIVITA' LUDICO SPORTIVE:
cineforum; sala giochi; attività
sportive di vario genere.
Per i minori nomadi che
attualmente stanno scontando una pena all'interno del carcere, un progetto così
strutturato sicuramente aiuta questi giovani a cambiare e ad avere una
prospettiva di vita migliore. Secondo me (l'animatore culturale intervistato é
d'accordo su questa ipotesi) un vero miglioramento ci sarebbe se si riuscisse a
cambiare questi ragazzi prima che entrino in carcere; se ci fossero più persone
sensibili a questo problema e che si occupassero di loro durante la vita
quotidiana all'interno del campo, molto probabilmente pochi ragazzi vivrebbero
l'esperienza del carcere. Come educatore professionale mi sentirei molto più
soddisfatta se riuscissi ad intervenire prima che il danno fosse compiuto.
Intervenire successivamente non solo mi procurerebbe poca soddisfazione, ma
enorme è la possibilità che l'interesse del minore alla partecipazione al
progetto proposto possa essere esclusivamente finalizzata alla sua uscita dalla
struttura carceraria.
I miglioramenti che si vogliono
apportare, letti sugli altri due progetti AUTOROMIA e NOMADI DOMANI,
concordano con il mio modo di pensare, peccato però che per il momento siano
soltanto sulla carta e non si sa quando si riuscirà a metterli in pratica.
Analizziamo per un attimo il
progetto AUTOROMIA a favore della popolazione ROM di strada
dell'Arrivore. Il campo ospita circa cinquecento persone (i dati risalgono al
1995) tra autorizzati, profughi ed abusivi e quindi per consentire agli
operatori possibilità d'intervento, è necessario ridurre il numero delle
presenze all'interno dei campi anche se questo comporta la ricerca di nuovi
campi sosta.
Per abitudine pensiamo agli
zingari come persone in continuo movimento da una città all'altra. In realtà la
maggior parte degli zingari che si trovano all'Arrivore vive lì da più di dieci
anni e quindi un miglioramento per la loro condizione di vita sarebbe
l'assegnazione di alloggi in condomini al pari dei "gage", anche
perché come mi è stato fatto notare durante l'intervista, nomadi molti lo sono
diventati successivamente; nei loro paesi vivevano "regolarmente" in
alloggi come la maggior parte della nostra popolazione.
Per tutti coloro che non hanno
la residenza bisognerebbe trovare una sistemazione alternativa; attualmente per
evitare il loro rientro al campo, vengono fatti dei controlli sull'accesso al
campo da un nucleo di Vigili Urbani. Un miglioramento possibile sarebbe quello
di delimitare meglio il campo, ma soprattutto rinnovare l'attuale nucleo di Vigili
Urbani, poiché nel corso degli anni i costanti rapporti che si sono instaurati
con la popolazione nomade potrebbero causare situazioni conflittuali
determinate dall'eccessiva familiarità che potrebbe venirsi a creare tra
autorità e nomadi.
Infine per i 250 residenti
sarebbe opportuna una loro ridistribuzione in altri campi, al fine di
raggiungere il numero previsto dalla normativa regionale.
I miglioramenti pensati per il
campo possono, però, soltanto funzionare se si apporta un miglioramento
all'équipe che lavora nel campo dell'Arrivore. Anzi, secondo me, bisognerebbe
prima pensare ad un ampliamento (più che ad un miglioramento) dell'équipe e poi
pensare alla situazione del campo. Quasi tutto il carico del lavoro grava
sull'assistente sociale, pertanto è necessario, dato anche lo sviluppo del
progetto, l'incremento dell'attuale gruppo di lavoro; in modo particolare
sarebbe necessario aggiungere in organico un altro educatore professionale
(attualmente ce n'è soltanto uno) ed a seguire, aggiungere un impiegato amministrativo, un assistente
domiciliare ed un obiettore.
Siccome gli operatori che si
occuperanno di questo progetto, hanno una conoscenza limitata della
collettività nomade e poiché si pensa che ogni intervento deve essere svolto
nel rispetto della loro tradizione, si ritiene necessario un corso o meglio un
iter formativo ed informativo sulla realtà nomade.
In modo particolare l'obiettivo
di questo progetto è quello di realizzare una politica in cui coesista anche la
valorizzazione del diverso. Per farlo bisogna conoscere, capire, intuire la
logica di fondo che sta alle base della gente Rom; la scuola, il consultorio
pediatrico, gli ospedali, il consultorio famigliare, le associazioni e i vari
settori dell'amministrazione comunale si sono occupati ed hanno fatto molto per
i nomadi dell'Arrivore, ma in modo frammentario e non sincronizzato tra le
varie agenzie. L'obiettivo è quello di trovare un giusto equilibrio tra le
risorse, cioè un insieme di persone differenti (per natura, motivazioni, convinzioni,
mentalità) che finalmente si uniscono e lavorano insieme per e con i nomadi.
Questo tipo di percorso prevede
una serie di incontri, fatti con una certa periodicità, con l'obiettivo di
mettere insieme le informazioni di ciascuno, ampliando in questo modo il piano
di lavoro.
E' molto importante coordinare
il lavoro, ma è altrettanto importante mantenere la "rete" di
rapporti lasciando a ciascuno la possibilità di dire la propria opinione.
Secondo questo progetto è
indispensabile individuare anche altri spazi meno professionali e più informali
ed elastici. Perché questo riesca è necessario che ognuno degli operatori metta
in gioco se stesso e non soltanto la sua professionalità, che si rivolga anche
al volontariato ed alle associazioni di quartiere che portano sul campo prima
la loro persona e poi la loro esperienza nel settore. L'ideale sarebbe che
operatori e volontari si mettessero insieme per una migliore riuscita del
progetto.
Come è stato già detto
precedentemente i progetti sulla questione zingara sono pochissimi e nella
maggior parte sono nati per tamponare delle situazioni che altrimenti sarebbero
esplose. Con questa prospettiva gli operatori che hanno dovuto realizzare nei
campi questi progetti, se così li vogliamo definire, hanno operato per esigenza,
per contenere cioè l'emergenza, senza i mezzi e le conoscenze adeguate. Tutto
questo a causa di una quasi totale mancanza
di verifiche sul lavoro svolto.
Spesso gli interventi sono stati
di carattere normativo e di contenimento (regolamento di accesso e sosta ai
campi, multe etc..) o repressivo (sgomberi forzati, divieto di accesso per
alcune etnie, etc..). Le amministrazioni si sono limitate a stanziare
finanziamenti per allestire aree per la sosta o per le emergenze di vario
genere (per esempio igienico-sanitario) senza prevedere dei progetti per la
scolarizzazione, inserimenti lavorativi e di mediazione culturale.
Il medesimo discorso è stato
pensato per il campo nomade di Strada dell'Aeroporto. Qui l'emergenza è rivolta
ai minori nomadi, in particolare rispetto ad alcune situazioni segnalate dal
Tribunale per i Minorenni, dove in tempi molto brevi è richiesta la presa in
carico di questi bambini; con questo progetto si pensa di salvaguardare la
popolazione minorile.
Il progetto è nato nel Gennaio del
1996 con un équipe così composta:
-1 responsabile Socio
Assistenziale.
-3 Educatori professionali.
-3 Assistenti Sociali.
-1 Impiegato
Amministrativo.
In questo gruppo di lavoro si
sta inserendo gradualmente anche la figura del mediatore culturale che cercherà
di facilitare l'avvicinamento delle famiglie ROM al progetto. Come in ogni
progetto le difficoltà che il gruppo di lavoro ha riscontrato sono:
-l'elaborazione dei dati
difficile da fare a causa della cultura nomade (l'identificazione anagrafica
dei soggetti non é certa), ma che sarebbe necessaria per migliorare il progetto
già in corso;
-l'inesperienza della maggior
parte degli operatori che ha reso necessario l'aiuto degli uffici che da
parecchio tempo si occupano dei nomadi.
Il progetto, quindi, non nasce
dalla diretta conoscenza delle problematiche esistenti, ma utilizza
l'esperienza degli altri.
Il supporto che danno gli
operatori dell'Ufficio Stranieri, dell'Ufficio Mondialità, dell'Ufficio tecnico
presso l'Istituto "Ferrante Aporti", fornisce informazioni utili e
significative per il lavoro diretto degli operatori che lavorano nei campi. Il
rapporto che si instaura con i servizi e la collaborazione reciproca é
fondamentale per la riuscita del progetto, anche se ritengo che ci sarebbe un
miglioramento ulteriore se la conoscenza venisse direttamente dagli operatori
che quotidianamente lavorano nei campi con i nomadi.
Utopia sarebbe che il progetto
fosse messo in pratica da operatori formati che periodicamente (ogni quindici
giorni circa) si incontrano per verificare e ripuntualizzare il lavoro svolto e
quello ancora da svolgere, in base alla realtà ed ai bisogni che via via
vengono riscontrati, attraverso un contatto diretto con l'utenza, nonché
mediante una progressiva conoscenza diretta del problema.
Gli interventi proposti finora,
per il campo dell'Aeroporto, sono stati molteplici, realizzati da parte
dell'Amministrazione e da parte di varie associazioni di volontariato. Come già
detto, il problema principale sono i minori e per loro, oltre all'intervento
specifico su situazioni di particolare difficoltà, si é pensato un progetto
educativo che si pone due obiettivi fondamentali:
-creazione di opportunità
relazionali positive, attraverso la proposta di situazioni di attività e gioco;
-mediazione, per i minori
presenti al campo, tra il loro contesto di vita e la realtà esterna.
La scelta di intervenire sulla
fascia d'età sei-undici anni é rafforzata dalla presenza sul territorio di un
coordinamento scuola-servizi. La collaborazione con le scuole del territorio
rafforza il lavoro degli operatori in quanto diventano i mediatori tra la
scuola e le famiglie dei minori. Il servizio non opera solo sul minore, ma opera
anche con la famiglia affinché questa si avvicini in modo più consapevole alla
scuola che in questo modo acquisisce gli strumenti per entrare in contatto con
una cultura che non la ritiene fondamentale per lo sviluppo del bambino.
Questa impostazione porta,
infine, ad una estensione verso la fascia della scuola materna: da un lato si
cerca di attivare iniziative di informazione e sensibilizzazione volte ai
genitori sul tema della scuola; dall'altro di offrire alla scuola un sostegno
per rendersi più consapevole ed adeguata all'accoglienza non solo del minore,
ma anche del contesto di cui é portatore.
IL MEDIATORE CULTURALE
L'Opera Nomadi é stata la prima
associazione che, a livello nazionale, ha posto il problema della
scolarizzazione dei ROM e dei SINTI.
Scolarizzare ed integrare gli
alunni ROM e SINTI é compito di tutte le scuole che, pertanto, devono essere un
"laboratorio di azione". Nel loro insieme, i bambini zingari
presentano caratteristiche peculiari dovute al fatto che in parte per la loro
stessa cultura, in parte per alcune risposte negative della società nei loro
confronti, non sono sedentari (se non in minima parte) e sono esposti
costantemente al rischio di essere trasferiti da un posto all'altro.
L'Opera Nomadi, sezione di
Milano, ha dunque ritenuto opportuno ed interessante dare una risposta a questa
esigenza, individuando un ruolo nuovo, quello delle "Mediatrici
Culturali". Si tratta di figure educative appartenenti alle etnie degli
zingari, appositamente formate e preparate, che intervengono nella scuola con
obiettivi precisi, svolgendo compiti ed attività peculiari. La loro presenza
nelle scuole elementari é una realtà positiva che ha fatto sì che la presenza
di alunni ROM e SINTI aumentasse.
Queste nuove figure di
operatrici scolastiche rendono effettiva la mediazione tra campo nomade e
scuola, fra docenti ed alunni zingari, realizzando così una fattiva
collaborazione tra mondo "gagè" e mondo ROM". La loro presenza
nelle scuole ha prodotto, come già detto, un innalzamento della percentuale di
frequenza scolastica degli alunni zingari ed una maggiore regolarità della
stessa.
Era un risultato atteso, visto
che essi si pongono come punto di riferimento culturale e linguistico per tutti
i bambini ROM, che le vedono come figure rassicuranti, il punto d'unione con il
loro mondo che altrimenti sarebbe troppo diverso dalla nostra scuola.
L'attività di mediazione
culturale, soprattutto linguistica, si é rivelata importante, ma non bisogna
trascurare l'attività di animazione e quella espressiva, soprattutto
all'interno dei laboratori. La cultura Rom, infatti, si presta bene alla
musica, al canto, alla danza che sono mezzi espressivi universali, ancora più
immediati rispetto alla parola, quindi facilmente utilizzabili anche tra
soggetti appartenenti a culture diverse.
Le mediatrici già operanti a
Milano, hanno frequentato un apposito corso di formazione, seguito da un
tirocinio nelle scuole destinate ad accoglierle nel lavoro. Tale corso é durato
tre mesi, per 250 ore totali, ed ha visto la presenza di quattordici ragazze
ROM. I relatori (docenti universitari, assistenti sociali, esperti in cultura
ROM) hanno fornito una preparazione di base sulle tematiche di: identità -
gruppo - affidabilità; cultura - storia - lingua ROM; nozioni basilari di didattica
e metodologie; rapporti con i bambini, lavoro di gruppo ed analisi dei casi;
contenuti della scuola elementare; rapporto con i docenti, struttura della
scuola ed organizzazione del lavoro; elementi basilari di legislazione
scolastica; nozioni riguardanti i Servizi Sociali e Sanitari.
Importante é stata la figura dei
tutors, che hanno seguito le ragazze direttamente nel loro processo di
formazione ed in seguito hanno supervisionato l'attività.
Il corso é risultato positivo al
punto di farne un altro, con conferma di tematiche e modalità, nel caso si
realizzino altre iniziative di formazione.
Le ragazze che hanno seguito il corso possono operare
in tutta la fascia della scuola dell'obbligo: materna, elementare, media
inferiore.
L'obiettivo generale che il progetto
si pone é l'integrazione degli alunni ROM e SINTI nella scuola dell'obbligo.
Dal momento che la scolarizzazione é da considerarsi il primo elemento di
socializzazione inteso come acquisizione di regole positive di convivenza
sociale e civile, se la scuola dovesse fallire tutta la società ne pagherebbe
le conseguenze. Da quì la necessità di garantire il successo di questa
iniziativa, quella di "mediatore culturale" da intendersi come
attività di mediazione fra i campi - sosta e la scuola, fra le due culture
affinché l'approccio bambini - docenti sia più facile e come mediazione fra
lingue, affinché anche il dialogo iniziale sia comprensibile sia per gli alunni
che per gli insegnanti.
All'interno del progetto
"SCOLA ANDE KEER", promosso dall'AIZO (Associazione Italiana Zingari
Oggi), viene esplicitato che nella scelta delle persone che avrebbero seguito
il corso di formazione, sarebbe stata privilegiata la figura femminile in
quanto, all'interno del gruppo zingaro, le donne si occupano dell'educazione dei
bambini. All'inizio le mediatrici hanno dato la loro disponibilità con molto
entusiasmo cercando di aderire al progetto educativo con costanza, rispettando
il ruolo che era quello di preparare il luogo dell'incontro, radunare i bambini
prima dell'arrivo dell'insegnante; suggerire il modo di fare le schede
didattiche, invitare i bambini a parlare italiano per impararlo meglio, facendo
da traduttrici per quelli che parlano quasi esclusivamente il Romanes.
Molto più importante é stato il
loro intervento relativo alla disciplina improntato a:
-controllare i bambini ed a
modificare comportamenti aggressivi e scherzosi affinché non ci fosse disturbo
per l'intero gruppo;
-vietare comportamenti dandone
motivazione secondo le poche regole flessibili stabilite ed accettate dal
gruppo.
Dal progetto emerge, inoltre,
che, col passare del tempo, il loro interesse per il ruolo che ricoprivano é
venuto meno, sia a causa della stanchezza dovuta ad una continuità a cui non
sono abituate sia per l'impreparazione dovuta ad un percorso scolastico
saltuario. A causa di ciò pare che si siano dimenticate in fretta del loro
ruolo ed abbiano trascorso parecchio tempo con i bambini a disegnare, colorare,
senza rendersi più conto di quello che succedeva intorno. Alle insegnanti é
capitato più volte di dover sollecitare le mediatrici ad intervenire sul
degenerare di alcune situazioni, ad esempio adulti del campo interessati a fare
le attività dei bambini.
Siccome le mediatrici erano
impegnate anche nella conduzione domestica, ad esempio fare il caffé, da
mangiare, lavare, durante il periodo di doposcuola si é provveduto a sostituire
una di loro con un ragazzo che, dal punto di vista scolastico, per l'AIZO, é il
mediatore culturale migliore, in quanto la sua condizione di uomo é più
favorevole a stabilire un rapporto sociale con la società.
Concludendo questa prima parte é
bene dire che mentre la figura del mediatore culturale sta avendo successo
fuori dalla comunità zingara, in quanto punto di riferimento tra campo ed
esterno, la comunità ROM non ha ancora colto il vero senso del suo ruolo.
Alcune famiglie si chiedono come mai pochi zingari possono accedere a questa
professione, visto che il bisogno di lavorare é grande per tutti e quindi
strumento per fare soldi.
Il ruolo di mediatore culturale
viene vissuto dalla comunità principalmente come fonte economica, senza che ci
si soffermi a pensare che non tutti possono essere in grado di farlo vista la
necessità di una adeguata preparazione scolastica e formativa. E' necessario,
quindi, rendere consapevoli le famiglie e il gruppo del ruolo del mediatore
culturale affinché siano esse stesse a motivare i giovani a frequentare i corsi
ed a non ritenerli inutili com'é accaduto fino ad ora.
Sempre a proposito dei mediatori
culturali ho trovato molto interessante il colloquio che ho avuto con Secondo
Massano dell'Opera Nomadi, in quanto egli stesso si é occupato del corso di
formazione ed in prima persona é a contatto con i nomadi che vivono a Torino.
Da parte loro i ROM hanno
necessità di farsi conoscere ed hanno, pertanto, bisogno di una figura che
faccia da "cuscinetto", soprattutto nella scuola, tra loro ed i gagè;
il mediatore culturale ha il compito di reclamare i loro diritti non come
zingari, ma come uomini, facendo conoscere a
tutti chi sono e dove loro ufficialmente vivono. Non essendoci delle
leggi specifiche (se non quelle dell'inserimento degli stranieri nelle scuole
dell'obbligo e quella sull'immigrazione, dove si fa menzione dell'utilizzo di
esperti di madre lingua) c'é quindi bisogno di questa nuova figura: IL
MEDIATORE CULTURALE.
Tra il 1992 ed il 1994 ci sono state le prime esperienze di
formazione di mediatori culturali ROM (M.C.R.) a Udine e Milano, seguite da una
sperimentazione nazionale nell'ambito del progetto Europeo Socrates - Comenius
voluta dall'Opera Nomadi.
A Torino sono state proposte due
iniziative di formazione di M.C.R. attuate dall'Opera Nomadi locale, con il
sostegno economico del Comune di Torino: nel 1995/1996 (corso di primo livello
per M.C.R. con una durata di 200 ore) e nel 1998/1999 (corso di secondo livello
per M.C.R. già in servizio e preparatorio per giovani ROM alla prima esperienza
con una durata complessiva di cento ore).
Il progetto del 1995/1996 é nato
per rispondere alle esigenze, ma soprattutto alle richieste di interventi
sull'educazione nelle scuole e per facilitare rapporto tra scuola e comunità
ROM. I contenuti prevedevano l'approfondimento della comunicazione orale e
scritta; l'introduzione ad argomenti tecnico-professionali nell'ambito dei
servizi per i cittadini; la conoscenza della normativa, il tirocinio, etc...
Il corso é stato attuato nel
periodo 18-01-96/10-05-96 per un totale di 200 ore di lezioni/ attività
pratica/ ricerca. Al colloquio finale
erano presenti 20 allievi: 15 con il giudizio "positivo per
regolarità e profitto" e 5 con il giudizio "positivo per impegno e
volontà".
Negli anni che vanno dal 1995 al
1999 l'Ente Locale di Torino (servizi Socio-Educativi ed Istruzione) ha attuato
un servizio di accompagnamento scolastico per alunni ROM "particolarmente
disagiati" avvalendosi della figura dei M.C.R. con l'obiettivo di:
-fare opera di sensibilizzazione
nei confronti delle famiglie sottolineando l'importanza che ha la scuola nello
sviluppo e nella crescita di ogni individuo;
-sollecitare i bambini e
radunarli al momento della partenza per la scuola;
-essere presenti sull'autobus
durante il percorso verso la varie scuole ed al momento del rientro nei campi;
-di instaurare un rapporto di
fiducia e collaborazione tra la famiglia, i bambini e la scuola.
Dal momento che la figura dei
M.C.R. ha avuto esito positivo, nel 1997/1998, é sorta l'esigenza di un
ulteriore formazione (in servizio) per gli accompagnatori ROM da parte delle
Istituzioni Scolastiche in genere. Per questa necessità é stato organizzato un
secondo corso di formazione di 100 ore (secondo livello) da parte dell'Opera
Nomadi insieme con l'Associazione "R.P.T." (i ROM per il futuro) nel
periodo tra il 24-02-1999/10-05-1999.
Il secondo corso ha previsto la
partecipazione di circa 20 allievi, aperto a giovani ROM che non avessero
precedentemente frequentato il corso di primo livello; il corso ha previsto
lezioni frontali, gruppi di lavoro e di discussione per un apprendimento
motivato e duraturo, articolandosi in tre argomenti fondamentali quali:
attività di comunicazione orale e scritta, studio e documentazione
giuridico/legislativa, conoscenza di alcuni servizi del territorio.
Il corso é stato concluso
regolarmente con curiosità ed interesse da parte dei partecipanti a cui é stato
dato come incentivo per la frequenza un contributo finale simbolico, quale
rimborso delle spese di trasporto.
Dei 22 allievi di partenza 14
hanno finito il corso di cui 6 con "attenzione di frequenza e
profitto" e 8 con "dichiarazione di frequenza".
CONCLUSIONI
La domanda che mi sono posta
all'inizio del mio percorso é stata quella di chiedermi se era possibile una
convivenza pacifica tra il mondo zingaro e la nostra società e se la figura dell'educatore
professionale potesse essere d'aiuto per il raggiungimento di questo obiettivo.
Mi sono anche chiesta se fosse giusto o meno volere a tutti i costi
"convertirli" al nostro mondo e se gli aiuti da parte nostra
nascessero solo ed esclusivamente per contenere questo grosso problema che si
chiama ZINGARI.
Dopo un anno di ricerca
specifica su questo tema attraverso libri, documenti, interviste, progetti,
grafici, leggi..., ho capito che non si possono dare delle risposte assolute
alle mie domande di partenza, perché il tema é troppo ampio ed in continuo e
repentino movimento. Alle domande iniziali, ne seguono altre e poi altre ancora
in quanto nessuno é in grado di dare delle risposte certe e sicure; i nomadi si
muovono velocemente ed il loro numero cresce di anno in anno, mentre le leggi e
gli Enti sono rimasti indietro, non riescono a tener testa alla continua ondata
migratoria che ogni anno in Italia e nella nostra città. Non si ha il tempo o
forse la voglia di occuparsi attivamente di queste persone; si é più
preoccupati a contenere il "problema zingari" affinchè questo non
degeneri, che non dei singoli zingari che da ormai più di dieci anni vivono
nella nostra città.
E' vero che molto é stato fatto
e si sta facendo, ma é anche vero che ci sono molta confusione, molte
inesattezze ed incomprensioni in quello che si fa o si vorrebbe fare. Le idee
ci sono e sono anche buone, ma poi rimane difficile applicarle, farle diventare
realtà in quanto gli obiettivi non sono chiari ed il personale (volontario e non)
é sempre insufficiente. Anche quando gli operatori ci sono, i loro ruoli non
sono chiari e specifici; tutti alla fin fine devono essere in grado di fare
tutto, anche se non sono in grado di farlo perché non hanno una formazione
specifica; ed anche là dove la formazione c'é il personale scarseggia e quindi
persino l'educatore professionale, che una formazione specifica ce l'ha, deve
assumersi, per esempio, il ruolo di animatore culturale e, perché no, anche di
mediatore.
La nostra società, e noi torinesi
per primi, crediamo di sapere tutto sui nomadi; crediamo di conoscerli a fondo
e di intervenire per il loro "bene" utilizzando degli strumenti che
fino ad oggi non si sono rivelati così utili, visto che il "problema"
sussiste ancora e non si é riusciti ad ottenere molto né per loro né per noi.
L'educatore professionale ha il
compito di svolgere un lavoro concreto; deve poter lavorare in modo pratico
"su" e soprattutto "con" altri gruppi.
Il lavoro educativo nei
confronti degli zingari deve essere assolutamente concreto; infatti solo
attraverso questo strumento ci si può avvicinare ad un popolo che poggia la sua
esistenza proprio sulla concretezza. Noi educatori dobbiamo essere in grado di
capire che questo popolo é in continuo contrasto con una società più ampia ed
il nostro compito é quello di fare da "cuscinetto" (come dice Massano
per i M.C.R.) tra le due culture (quella sedentaria e quella nomade) tenendo
presenti i bisogni, i desideri e le aspettative di entrambe.
Nel nostro lavoro dobbiamo stare
attenti a non far emergere soltanto le nostre competenze educative, ma anche
quelle comunicative, entrando in particolar modo nelle modalità comunicative di
chi abbiamo di fronte ed in questo caso specifico nelle modalità di
comunicazione dei nomadi.
E' sbagliato porre l'accento su
quello che si vorrebbe far "imparare" agli zingari; bisogna imparare
a capire, o meglio captare tra le righe, quello che l'interlocutore ci sta
dicendo o chiedendo per potergli essere veramente d'aiuto. Dobbiamo imparare
realmente a metterci nei panni della persona che ha chiesto o ha bisogno del
nostro intervento.
L'obiettivo che si vuole
raggiungere deve essere ben chiaro fin dall'inizio, com'é ben chiaro che non é
possibile svolgere il proprio lavoro sulla carta o mantenendo una certa
distanza; l'educatore deve scendere in campo e trasmettere direttamente non
soltanto quello che sa, ma anche quello che lui stesso é. Il non verbale assume
un ruolo importantissimo. Grazie a questa modalità espressiva si comunicano
molte più cose, e chi ci sta di fronte é in grado di comprendere quasi subito
le nostre intenzioni, e cioé se la nostra presenza è solo professionale o se
c'è un interesse personale che sta alla base di tutto il lavoro.
Lo zingaro ha bisogno più di
altri che la sua cultura venga rispettata, conosciuta ed anche vissuta; chi
scende in campo non può sbrigare il suo lavoro e andarsene, non concluderebbe
assolutamente nulla; deve avere la voglia di condividere un momento di vita con
loro rispettando una serie di riti, per loro molto importanti, quali ad esempio
una festa tradizionale o semplicemente un pranzo od una cena.
Tutto questo perché ci é stato
insegnato che la comunicazione si costruisce in due e tanto più le parti
(educatore-utente) si conoscono, tanto più il lavoro sarà efficace.
I temi che ho trattato fino a
questo momento, sono stati da me appresi durante i tre anni di corso di
formazione per educatrice professionale e sono sempre stati da me condivisi e
messi in pratica nel mio lavoro. E' fondamentali conoscerli, ma è altrettanto
fondamentale sentirli dentro; in qualsiasi settore si lavori bisognerebbe
metterli in pratica. Il nostro lavoro, come quello di tutti gli altri
operatori, non é da intendersi come una catena di montaggio dove ognuno fa il
suo pezzo ed il resto non esiste; quì ognuno di noi é tenuto sì a svolgere il
proprio compito al meglio, ma deve avere perfetta conoscenza di tutto ciò che
lo circonda e del lavoro degli altri colleghi. E' importante che periodicamente
ci si incontri per fare il punto della situazione:
-verificare che gli obiettivi
siano quelli giusti;
-che ognuno abbia svolto il
proprio lavoro;
-se ci sono state richieste da
parte dell'utente;
-se ci sono stati dei problemi;
-se ci sono state delle
difficoltà.
Secondo me questo é il modo
migliore di lavorare, per poter raggiungere gli obiettivi che ci si è proposti.
Se già vent'anni fa (quando é
iniziato l'esodo degli zingari a Torino) tutti avessero lavorato insieme con
unico obiettivo, oggi gli zingari non sarebbero ancora un grosso problema. Ci
sono stati numerosi interventi, ma mai un unico grosso intervento. Purtroppo
ancora oggi l'ignoranza fa da padrona e l'insensibilità ed il razzismo sono
vivi tra le persone che ci circondano, che non sono disposte a mediare in
nessun modo.
La nostra società é la migliore
e quindi necessariamente chi noi riteniamo diverso, deve conformarsi alla
nostra società, altrimenti verrà etichettato e automaticamente emarginato.
Questo avviene con gli handicappati ed i barboni che appartengono alla nostra
società, figuriamoci se non avviene con un popolo che vediamo sempre in giro
scalzo, sporco, con i capelli arruffati, ad ogni angolo di strada che chiede
soldi e che se non glieli dai ti fa il "malocchio".
Per la maggior parte della
popolazione italiana non vale la pena perdere tempo con gli zingari perché
"non impareranno mai". La loro cultura é troppo differente dalla
nostra ed il loro modo di pensare cozza continuamente con il nostro.
A conclusione di tutto ritengo
che ognuno sia libero di pensare ed agire come crede; in quanto educatrice
professionale e soprattutto in quanto essere vivente sono contenta che ci siano
parecchie persone che come me pensano che tutti abbiano diritto di avere delle
possibilità e si muovono e lavorano perché questo accada realmente.
Provocatoriamente voglio
concludere con una domanda: chi può decidere chi debba essere a cambiare?
BIBLIOGRAFIA DELLE LEGGI
-Documento del Consiglio
d'Europa, Conferenza degli Enti Locali e Regionali d'Europa, 29 ottobre 1981,
Risoluzione nr. 125 sul ruolo e le responsabilità delle collettività locali e
regionali di fronte ai problemi di origine nomade.
-Deliberazione del Consiglio
Comunale di Torino, giugno 1984, "Linee programmatiche generali sul
problema della presenza di nomadi sul territorio cittadino".
-Deliberazione della Giunta
Comunale di Torino, 28 luglio 1992, "Campi nomadi comunali, costituzione
di una commissione per le autorizzazioni e per la gestione".
-Legge Regione Piemonte, 10
giugno 1993 nr. 26, "Interventi a favore della popolazione zingara".
-Delibera della Città di Torino, n. mecc. 8407293/23,
"Linee programmatiche generali sul problema della presenza di nomadi sul
territorio cittadino".
-Delibera
della Giunta comunale della Città di Torino, del 19/9/94 nr.06959/19,
"Mediatrici e mediatori culturali presso i servizi comunali.
Autorizzazione alla trattativa privata per l’affidamento del servizio".
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