Banche armate: Bnl all’incasso
Dopo
anni passati sotto coperta, gli istituti di credito si buttano a capofitto nel
mercato di sostegno all’industria armiera. Il gruppo Paribas, di cui fa parte
la Bnl, ha il 36% del mercato, seguito da Deutsche Bank, Société Générale e
Gruppo Intesa San Paolo. Ai margini, ormai, la “Popolare” di Milano.
Il fantasma si materializza.
Grazie all'agenzia di stampa Adista ricompare all'improvviso
la tabella delle banche armate, grande assente nel Rapporto
del presidente del consiglio dei ministri sull'esportazione e il transito di
materiale d'armamento, uscito a fine marzo. Un'assenza
grave, perché quella tabella fotografa l'appoggio degli istituti di credito
all'industria militare italiana. Ed è fondamentale per tutte le associazioni
della società civile e per i singoli correntisti, perché consente loro di poter
verificare se agli annunci di una parte del mondo bancario di abbandonare
questo business corrispondono, poi, dei fatti concreti.
Le cifre che si leggono nella
tabella, e che noi abbiamo ordinato in ordine decrescente, sono davvero
sorprendenti. Una montagna di soldi, infatti, è circolata sui conti correnti
delle banche che operano in Italia. Anche se dominano le sigle straniere. Nel
2008 il numero delle autorizzazioni è raddoppiato (1.612) rispetto al 2007
(882). Il valore complessivo delle stesse, invece, è quasi triplicato (4 miliardi
e 285 milioni di euro, contro il miliardo e 329milioni dell'anno precedente).
Le autorizzazioni relative ad operazioni di esportazione definitiva sono state
1120 (677 nel 2007) per un ammontare di 3 miliardi 701milioni di euro (contro
il miliardo e 224 milioni del 2007).
Dopo anni di timori e
titubanze, insomma, le banche hanno spalancato le porte a chiunque proponesse
affari e liquidità. In astinenza da profitti, il business armiero è un unguento
miracoloso per le ferite finanziarie.
Il confronto con il 2007 è
imbarazzante. La Banca nazionale del Lavoro, del gruppo Paribas, 2 anni fa ha
supportato le aziende armiere per 62 milioni e spiccioli di euro. Quest'anno
per un miliardo e 253 milioni. Un'abbuffata pantagruelica, che la pone
indiscutibilmente al primo posto della classifica. Ma è una gran fetta del
mondo della finanza ad essersi messo a tavola con il tovagliolo al collo. La
stessa Deutsche Bank, che nel 2007 aveva incassato 174 milioni di euro,
quest'anno si piazza al secondo posto con 519 milioni di euro. Nell'elenco
compare ancora il Gruppo Intesa San Paolo (detiene ancora il 7,16 del mercato),
nonostante le mille promesse di abbandonare il campo; anche il gruppo
Unicredit, seppur con cifre (119 milioni) nettamente inferiori rispetto al 2007
(404 milioni di euro) compare nella top ten. Un bel balzo in avanti lo fa,
invece, Ubi Banca, con i suoi satelliti finanziari piazzati geograficamente nel
cuore del comparto armiero italiano (soprattutto nella zona del bresciano): 209
milioni di euro e quasi un 6% del mercato complessivo (dato assai eloquente,
visto che nel 2007 aveva lo 0,27%).
Sembra ai margini del
business, invece, la "Popolare" di Milano, banca che ha stretti
rapporti con Banca Etica: nel 2008 non ha avuto alcuna autorizzazione concessa,
anche se c'è da segnalare che ha ancora in carnet 437 mila euro, circa, di
importi segnalati, cifra che si riferisce alle autorizzazioni degli anni
precedenti il 2008. (Giba)
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