
10 DIC 03 Politica
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«La scelta francese: nucleare con
sviluppo sostenibile»
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
PARIGI - Comunque le si voglia giudicare, le scelte della Francia per
l’ambiente sono senza se e senza ma: nucleare e sviluppo sostenibile, con
appoggio deciso al Protocollo di Kyoto. Di questi temi, il presidente Jacques
Chirac ha fatto un programma di legislatura e una bandiera sulla scena
internazionale, con qualche strizzata d’occhio al Terzo Mondo e al movimento
no global.
Proprio Kyoto rischia di delineare due concezioni del mondo e nuove
divisioni, quasi che anche l’ambiente e la salute del pianeta possano, loro
malgrado, riprodurre tensioni della diplomazia. Con qualche polemica anti
americana e, in questo caso, anche anti russa. «Ci sono divergenze, ma
non voglio cedere al pessimismo», dice Roseline Bachelot, ministro francese
dell’Ecologia e dello sviluppo sostenibile, da oggi in Italia. «La conferenza
di Milano dimostra una presa di coscienza universale che va al di là delle
politiche nazionali e delle posizioni del momento. E’ la consapevolezza che
il cambiamento climatico è soprattutto opera dell’uomo e che occorre
intervenire al più presto sul modello di sviluppo, sul nostro modo di vivere
e consumare. Questo non lo nega più nessuno nella comunità scientifica e
nell’opinione pubblica».
Il problema è il «come». E’ stato sostenuto che gli accordi di Kyoto siano
in qualche modo incompatibili con lo sviluppo stesso. Nella comunità
scientifica c’è anche chi afferma che esistono altre soluzioni, più
«sostenibili» sul piano economico e forse più avanzate sul piano tecnico.
«L’Europa e molti altri Paesi hanno approvato gli accordi. Kyoto deve
essere considerato un traguardo minimo da raggiungere, senza alternative.
Ogni revisione è un passo indietro negativo. Certamente possono essere
discussi tempi e modalità, in uno spirito di dialogo e cooperazione. Ma non
ci sono cure alternative per la salute del pianeta che non siano l’intervento
sulle cause della malattia».
Stati Uniti, Russia, Australia esprimono posizioni diverse, con
considerazioni anche di natura scientifica. Anche l’Italia sembra disponibile
ad un ripensamento degli accordi.
«Gli americani vogliono fare affidamento sulle nuove tecnologie per
ridurre le emissioni. E’ una strada interessante, ma non porta da nessuna
parte se non è accompagnata da un cambio profondo del modo di consumare e di
produrre».
Si sostiene anche che il costo degli accordi non sia sostenibile per i
Paesi in via di sviluppo.
«L’esistenza del pianeta riguarda tutti. Desertificazione, riscaldamento
della terra, ritiro delle acque, esaurimento di risorse toccano ancora di più
i Paesi poveri. E’ una questione di cooperazione fra ricchi e poveri. Non è
assurdo immaginare che di questo passo si debba un giorno affrontare il
problema del rifugiato ecologico. Kyoto non è un capriccio di alcuni Paesi
ricchi. Al contrario, può e deve permettere un migliore sviluppo dei Paesi
poveri».
Come spiega sensibilità così diverse?
«America e Australia sono Paesi giovani, cresciuti nella visione delle
risorse illimitate e dell’abbondanza. Il sistema federale americano rende
difficile una posizione comune e univoca, ma in alcuni Stati la coscienza
ecologica è molto avanzata e favorevole a Kyoto. Tra l’altro, l’opinione
pubblica americana ha dato un forte contributo alla coscienza ecologica. Per
la Russia la questione è contingente alla situazione economica e alla
riorganizzazione del Paese. D’altra parte, anche diversi Paesi della nuova
Europa, come l’Ungheria, sono favorevoli agli obiettivi di Kyoto. La Francia
ritiene che sia necessaria la fermezza nel difendere gli accordi ma anche
l’apertura per fare avanzare una coscienza universale e obiettivi condivisi.
Spero che l’Europa resti unita su questo argomento».
Un’altra questione decisiva è la scelta nucleare. Per la Francia è
irreversibile?
«Il nucleare non è una scelta ideologica. L’opzione resta aperta perché
oggi offre vantaggi rispetto alle fonti energetiche tradizionali, come il
carbone e il petrolio. Finora la scienza non ha offerto strade migliori per
garantire energia allo sviluppo. Chi non ha il nucleare compra energia dai
Paesi vicini che hanno fatto questa scelta. D’altra parte sono importanti lo
sviluppo di fonti energetiche alternative e rinnovabili e la garanzia di
sicurezza assoluta per i cittadini».
L’Italia ha vissuto in questi giorni un’aspra battaglia per il trattamento
delle scorie. I francesi dormono sonni tranquilli?
«E’ comprensibile che l’opinione pubblica si preoccupi e che nessuno
voglia le scorie nel proprio giardino. In Francia il trattamento è sottoposto
a controlli rigorosi. E’ stata varata una legge sulla trasparenza per
permettere maggiori possibilità di controllo ai cittadini. Anche se non c’è
nulla da nascondere.
Non giudico le scelte energetiche degli italiani. Dico però che il nucleare
offre vantaggi rispetto al rischio di crisi energetiche o ai pericoli da
effetto serra».
In questi giorni, il sud della Francia è sconvolto da inondazioni. Colpa
del clima o dei geometri?
«Sono fenomeni che hanno sconvolto anche la Germania e l’Europa dell’Est.
Nei prossimi anni potrebbe andar peggio. Una politica del territorio può e
deve avere effetti preventivi, ma la prima causa di queste catastrofi è il
cambiamento climatico, non l’urbanesimo. Occorre quindi agire in diverse
direzioni: per ridurre emissioni dell’industria, riscaldamento domestico e
traffico automobilistico».
Vedremo presto Parigi chiusa al traffico privato?
«C’è chi vuole copiare Londra, introducendo i pedaggi. La Francia sta
investendo anche in progetti per una mobilità meno inquinante. Ogni città ha
condizioni climatiche e disegno urbano diversi. Non esiste una soluzione
perfetta e adatta a tutti».
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