Archivio storico della Città di Torino



Mostre

NOTE PER LEGGERE LA MOSTRA
di Luciana Manzo

La città che attendeva il corteo ducale raffigurato nel grande disegno che apre la mostra (fig.1 - vetrina1) stava vivendo le prime battute di un processo di trasformazione radicale. Intorno al 1620, periodo in cui è databile il disegno, stava infatti per avviarsi la costruzione della Città Nuova meridionale, decretata da Carlo Emanuele I su progetto di Carlo di Castellamonte.
Al programma di rinnovamento urbanistico della città aveva già dato inizio Ascanio Vitozzi, architetto ducale dal 1584, con la risistemazione di piazza Castello, il taglio della Contrada e della Porta Nuova. La portata innovativa consisteva nel fatto che la contrada di Dora Grossa (attuale via Garibaldi), l'antico decumanus maximus, perdeva il ruolo millenario di arteria principale che veniva assunto dalla Contrada Nuova (l'attuale via Roma), attestata sul nuovo palazzo ducale.
Testimonia tale fase il disegno di Aureliano Monsa (fig. 2 - vetrina1), realizzato nel 1605 quando l'impianto del palazzo ducale non era ancora completato e stava per essere decretato il progetto per il «reinquadramento» di piazza Castello, che imponeva ai proprietari delle case di provvedere all'allineamento delle facciate che dovevano, per maggior decoro, essere a portici.
Nel 1620, in occasione dell'arrivo a Torino di Cristina di Francia, promessa sposa del principe Vittorio Amedeo, ebbe luogo l'inaugurazione della Città Nuova. Numerosi documenti testimoniano lo svolgimento dei lavori per la costruzione della Porta Nuova, attestata sull'arteria principale del nuovo ampliamento, attraverso la quale la principessa avrebbe fatto il suo ingresso in Torino. A contribuire a coprire i costi dell'impresa era chiamata la Città, che il 24 ottobre 1619 si rivolgeva al duca con un memoriale a capi lamentando che «havendo accordato a vostra altezza due milla ducati per la porta nova credeva non le fosse per essa più chiamata cosa alcuna sendo Vostra Altezza informata del misero stato in qual si trova priva di sue entrate et d'ogni credito, et comandata da Vostra Altezza di far il resto è prontissima come fu, e sarà sempre, e massime in quest'occasione del felicissimo matrimonio del serenissimo Principe: ma resta impossibile poterlo fare senza l'agiuto de habitanti in detta Città et perché sono imminenti altre spese per l'entrata di Luoro Altezze, quali anco saranno gravi . . . Piaccia a Vostra Altezza permetter e comandare si metta un sussidio sopra tutti li habitanti in essa et suo finaggio». (fig. 5 - vetrina 2).
Per far fronte alle difficoltà finanziarie del Comune, il Duca rispondeva «la Città darà la notta delle spese della porta nova et ponte sottoscritta da Carlo Castellamonte, et del resto che pretende fare per la venuta di Madama» e che su tale base «si faccia un repartimento sopra li cittadini et habitanti in detta Città e Territorio». Tra le varie carte inerenti all'argomento che l'archivio custodisce ne sono state proposte alcune a titolo esemplificativo per testimoniare le fasi del lavoro di costruzione: un biglietto ducale che ordinava ai Sindaci di Torino e dei comuni del circondario di fornire carri e buoi per trasportare pietre e marmi dalla valle di Susa (fig. 4 - vetrina 2), un altro di Carlo di Castellamonte che comunicava al Sindaco l'ammontare della spesa per la fornitura di marmi (fig. 6 - vetrina 2); infine alcune scritture che attestavano la stipula di convenzioni con numerosi capimastri per la fornitura di materiale e realizzazione di opere (fig. 7 - vetrina 2).
Nello stesso periodo un editto ducale del 12 marzo 1619 (fig. 8 - vetrina 3) ordinava che la Contrada di Po «sia tirata a livello, et demolite quelle case, che in esso restano comprese, et che sia sternita di pietra dal suo principio fino al ponte di Po, acciò si mantenghi sempre polita, et netta, per più comodità di tutta la Città, et passeggeri, et in particolare de padroni delle vigne della Montagna di detta Città».
La Contrada di Po diventerà l'asse principale dell'ampliamento orientale della città nella seconda metà del XVII secolo, tuttavia le parole con le quali Carlo Emanuele esordiva nell'editto dimostrano che, se le fasi costruttive furono distinte tra loro, legate a vicende economiche e politiche contingenti, le tappe progettuali furono parti di un unico progetto globale:
«Volendo noi, che si doni principio, et metti mano alla fabrica, et construttione della Città nuova, qual dopo molte considerationi habbiamo risoluto, et determinato di fare, poiché la Città vecchia di Torino non resta capace se non con infiniti incomodi dell'alloggiamento della Corte, Cavalieri, negotianti, et altri habitanti, lasciando molti d'habitarvi, et venirvi con loro famiglia per mancamento di case, et siti per fabricarne, che più non si ritrovano».
Nel 1630 Carlo Emanuele moriva e gli succedeva il figlio Vittorio Amedeo I, riprodotto in un'incisione di Giovenale Boetto del 1633 mentre a cavallo assiste ai lavori delle nuove fortificazioni della città. Gli è accanto l'architetto Carlo di Castellamonte che tiene in mano un grande foglio, forse i disegni della cinta da edificare. Malgrado concessioni e sgravi fiscali i lavori di edificazione della Città Nuova andavano a rilento (fig. 3 - vetrina 1).
Ancora nel 1640, come si desume da un'altra incisione di Boetto, il vallo residuo della fortificazione preesistente separava la città vecchia dalla nuova e il collegamento era reso possibile grazie ad un ponticello. L'edificazione della piazza Reale (ora San Carlo) avveniva tra il 1640 e il 1650 sui terreni demaniali del vallo, punto di congiunzione tra le due parti della città e fulcro del nuovo ingrandimento. Nella piazza adibita a mercato (figg. 12, 13, 14 - vetrina 4), utilizzata per spettacoli e parate, i due isolati meridionale vennero assegnati per volontà ducale l'uno alla congregazione dei domenicani, che costruirono la chiesa e il convento di San Carlo, l'altro a quella delle carmelitane che costruirono la chiesa e il convento di Santa Cristina. Solo quest'ultima fu portata a compimento in epoca barocca: su disegno di Juvarra venne infatti ultimata la facciata nel 1718, mentre la facciata di San Carlo rimase incompiuta fino al 1834, quando venne realizzata da Ferdinando Caronesi.
Il 23 ottobre 1673 con una solenne cerimonia accuratamente registrata nei verbali del Consiglio Comunale (fig. 15 - vetrina 5), si inaugurava l'ampliamento della città verso il Po decretato da Carlo Emanuele II che tra numerose ipotesi aveva accolto il parere di Sébastien La Preste marchese di Vauban, sovrintendente alle fortificazioni di Francia, optando per tener fuori dalla cinta difensiva il Po e la Dora.
Il progetto dell'ampliamento orientale, messo a punto da Amedeo di Castellamonte, succeduto al padre Carlo nella carica di architetto ducale, si atteneva al criterio di uniformità delle facciate che aveva caratterizzato già l'ampliamento meridionale.
Nell'editto di Maria Giovanna Battista Savoia-Nemours del 16 dicembre 1675 si affermava infatti «che le fabriche che saranno fatte, o si faranno da una parte e dall'altra della strada che và dalla piazza Castello alla Porta di Pò, e sopra detta Piazza, e la Carlina, dovranno essere tutte di un'altezza uniforme con li Portici, e ornamento, che saranno da Noi prescritti».
Amedeo di Castellamonte aveva previsto in un primo tempo come polo principale del nuovo ingrandimento una piazza Carlina di forma ottagonale porticata, compresa tra i prolungamenti delle attuali via Giolitti e via Maria Vittoria (figg. 18, 19 - vetrina 6). Motivazioni economiche indussero la reggente ad abbandonare ben presto il progetto, optando per l'idea formulata da Michelangelo Garove di una piazza di forma quadrata, collocata a nord rispetto alla soluzione precedente, attraversata dall'attuale via Maria Vittoria: la piazza perdeva così il carattere magniloquente di spazio chiuso della place royale per cedere il passo agli interessi di economici.
Il memoriale a capi della Città, approvato il 22 agosto 1678 da Maria Giovanna Battista ne consacrava la destinazione a mercato e stabiliva la costruzione di ali permanenti sui lati nord e sud della piazza, rimaste per buona parte dell'800 e ora demolite: «E' parte di buona politica il procurare di dar tutte le commodità possibili a particolari, che introducono robbe nella città, ad effetto d'invitarne molti al concorso, per il che la medesma si rende più doviziosa, e, popolata; che perciò avendo veduto la città come il mercato del vino resta in un luogo troppo aperto, sottoposto a' raggi del sole, per il di cui calore il vino si guasta, et all'ingiurie de' tempi, e li commercianti non puonno col fermarsi soffrir nella maggior parte dell'anno l'ardor delli suddetti raggi, e l'incomodità delle pioggie, nevi, ed altre ingiurie del tempo, ha pensato di quello introdur nella piazza Carlina ed in essa farvi ale all'intorno, o altrove quando disconvenisse alla prospettiva d'essa piazza, acciò gli uomini, robbe, e bestie possino esssere difesi dalle ingiurie del tempo».
La pianta di Torino incisa da Giovanni Abbiati nel 1680 (fig. 21 - vetrina 6), che servirà di modello per oltre un secolo, descrive una città fortezza a forma di mandorla protetta da un imponente sistema difensivo: ogni "isola" della città riporta la sua denominazione, sono visibili i portici che danno prestigio a piazza Castello, via Po e piazza San Carlo, mentre solo accennato è l'ampliamento occidentale dei quartieri militari, al quale verrà posta mano circa un ventennio dopo.
Il 14 novembre 1700 il Consiglio Generale della Città riferiva la richiesta del duca «di qualche soma per la spesa del novo ingrandimento della stessa Città dalla parte di Porta Susina». Stremata dalle continue richieste di denaro la città prendeva tempo, chiedeva «che si formi un topo, o' sij figura di detti siti col disegno del nuovo ingrandimento» (fig. 22 - primo pannello). I lavori per l'allargamento delle fortificazioni nella zona occidentale iniziarono due anni dopo, sotto la direzione di Michelangelo Garove, e dalle piante dell'assedio del 1706 esse risultano ultimate, mentre la zona è ancora priva di fabbricati e destinata alle manovre militari, separata dalla città dalla presenza delle vecchie mura. (fig. 25 - secondo pannello). Alla progettazione dei Quartieri Militari di San Celso e San Daniele si dedicò Filippo Juvarra, architetto regio dal 1714, che definì negli anni del soggiorno torinese tutto l'ampliamento occidentale. L'intervento si fondeva con il più vasto progetto di ristrutturazione che per tutto il Settecento coinvolse la città vecchia, in particolare la rettifica della Contrada di Porta Palazzo (attuale via Milano), con la definizione di un più dignitoso accesso alla città da settentrione nel 1729 (fig. 28 - terzo pannello).
L'ampliamento juvarriano dei Quartieri Militari che aveva disegnato il proseguimento della Contrada di Dora Grossa di larghezza maggiore rispetto al tratto dell'antico decumanus, con isolati uniformi, venne esteso come modello per il dirizzamento della contrada con l'editto di Vittorio Amedeo II del 27 giugno 1736 (fig. 30 - quarto pannello): «Se ad ogni Città è cosa sconvenevole assai, che si veggano anguste, e storte le principali contrade, ed ancor più se fornite sieno di case in gran parte meschine, o vecchie, e rovinose; ciò maggiormente disdice ad una Metropoli, massime quando coteste strade sono altresì incommode al pubblico, ed al commerzio medesimo, quindi è, che in un tale stato essendo purtroppo quella di questa nostra Capitale, che chiamasi di Doragrossa, allorchè l'altre eziandio men esposte, perché dal centro della città più remote, sono in così bella architettura ordinate, si è accresciuto in noi il desiderio, il qual ebbimo sempre, di vederla in un aspetto più dicevole, ed in corrispondenza di quella, nella quale termina questa stessa contrada verso l'ingrandimento di porta Susina, non solamente per decoro ed ornamento, ma ancora per commodo pubblico, e di que' negozianti primarj, che ivi, come in miglior sito, si sono introdotti e stabiliti, mancando loro ormai quell'ampiezza proporzionata di fondachi, e di abitazioni, che all'esigenza de' loro traffichi sono opportuni, e necessarj». Dalle parole del sovrano emerge chiaramente, oltre all'esigenza di decoro, la connotazione commerciale precisa della via «destinata per li negozianti, e mercatanti più riguardevoli, cioè d'oro, d'argento, di seta, di panno, di tele, et altri di simile condizione».
Nel corso del XVIII secolo le esigenze abitative della popolazione in forte crescita furono preoccupazione costante della monarchia che, intervenne sia per arginare l'aumento esagerato del prezzo degli affitti, sia per favorire con incentivi la costruzione di moderne case a più piani in luogo delle piccole case medievali della città vecchia.
Spia della politica di rigido controllo sociale che contraddistinse il secolo fu nel 1752 l'istituzione dei Capitani di quartiere, corpo alle dipendenze del Vicario, con il compito di tenere sotto stretto controllo le "isole" per individuarvi forestieri senza occupazione, persone sospette, mendicanti (fig. 31 - quarto pannello).
Nonostante tutto la città chiusa nella cinta delle mura che per ben tre volte erano state ampliate nel corso di un secolo non era più adeguata alla situazione. Nel corso della seconda metà del Settecento prese pertanto l'avvio un intervento di riassetto dei borghi esterni della città, in particolare di Borgo Po e di Borgo Dora, sede di attività produttive, dove vennero individuate nuove aree residenziali: per la città il fatto segnò la fine di un'era, la svolta verso una evoluzione moderna.

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primo pannello: "L'ampliamento occidentale e le ristrutturazioni settecentesche" secondo pannello: "L'ampliamento occidentale e le ristrutturazioni settecentesche" terzo pannello: "L'ampliamento occidentale e le ristrutturazioni settecentesche" quarto pannello: "L'ampliamento occidentale e le ristrutturazioni settecentesche" quinto pannello: "L'ampliamento occidentale e le ristrutturazioni settecentesche"

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